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Ha vinto Beppe Grillo. Per capire cosa è successo ieri, senza rimanere disorientati dalle spericolate analisi delle no stop televisive che dalle 14 alle 2 di notte hanno rincorso exit poll e proiezioni, commenti a caldo e smentite, è meglio partire da un punto fermo, tra l'altro evidente a tutti fin dal primo pomeriggio.
Il Movimento 5 Stelle ha sfondato e oggi (questo lo si scoprirà verso tarda notte) è addirittura il primo partito italiano con il 25,55%. A nulla sono serviti i campanelli d'allarme dell'ultimo anno e le piazze che lo Tsunami Tour ha riempito all'inverosimile nelle ultime settimane – da ultima la "rossa" San Giovanni –. La classe politica ha completamente sottovalutato questo fenomeno e ha scelto di non riformarsi, anche se non sembra essere stata aiutata in questo dai sondaggisti. Tra gli esperti, infatti, chi dava la forza politica del comico ligure terza, fino allo spoglio di ieri, passava quantomeno per uno a cui piace azzardare.
Dato il carattere anti-sistema, il rifiuto del compromesso e di ogni tipo di alleanza dei grillini, questa vittoria non dovrebbe tradursi in un impegno di governo. Un dato che ha reso paradossale il testa a testa televisivo tra centrosinistra e centrodestra a colpi di aggiornamenti di qualche percentuale, quasi che la premiership fosse un premio di consolazione.
E sì, perché a differenza di quanto avevano previsto i grandi giornali, anche questa volta Silvio Berlusconi si è confermato, nel bene e nel male, un fuoriclasse da campagna elettorale e si è imposto nella breve lista dei vincitori di questa tornata.
È lui l'autore di una rimonta fino a ieri fa impensabile per il centrodestra. Col 21,56% alla Camera infatti il Pdl riduce quasi totalmente il gap dal Pd (25,41%), ma soprattutto la coalizione tiene testa all'armata Bersani-Vendola nello spoglio tv fino alle 3 di notte, per poi cedere all'aritmetica, ma solo per qualche decimale (29,13% al centrodestra, 29,53% al centrosinistra). Una differenza troppo sottile che, in virtù del Porcellum, fa scattare comunque il premio di maggioranza per il Pd e i suoi alleati (340 deputati al csx, 124 al cdx), ma che non garantisce una legittimazione sufficiente al centrosinistra per governare. Anche perché al Senato è proprio la coalizione del Cavaliere ad avere più seggi (116, contro 113) in virtù del meccanismo di assegnazione su base regionale.
In parole povere: pareggio, stallo, ingovernabilità. Un capolavoro per l'ex premier di cui la grande stampa aveva già composto l'ennesimo prematuro necrologio.
E così arriviamo agli sconfitti. Chi è stato trattato da presidente del Consiglio prima del tempo è Pier Luigi Bersani, ieri lontano dalle telecamere e da una sala stampa del Pd funerea.
Il segretario democratico, certo di diventare premier, non ha "smacchiato" nessun fantomatico giaguaro. Profetica una battuta di Crozza, a cui l'ex ministro dell'Economia deve anche il suo discutibile slogan, di poco tempo fa a Ballarò. «Tranquilli, avete ancora un mese per perdere le elezioni. Cosa vi inventerete questa volta?». Le risate sguaiate dello studio nascondevano la certezza di un risultato che nel Paese era tutt'altro che acquisito. Ieri però è arrivata la doccia fredda. Chi annunciava che avrebbe governato con il 51% dei consensi, comportandosi responsabilmente come se avesse solo il 49%, non ha in mano nemmeno il 30% e ottiene la maggioranza in Parlamento solo per i perversi meccanismi della tanto contestata legge elettorale di calderoliana memoria.
L'armata Monti-Casini-Fini, dal canto suo, non può far altro che leccarsi le ferite. Il progetto, nato dall'esperienza del governo tecnico, è stato sonoramente bocciato dagli italiani (solo il 10,54% alla Camera e 9,13% al Senato). Le conseguenze sono addirittura catastrofiche per l'ex presidente della Camera che con lo 0,46% di Fli è costretto ad abbandonare il Parlamento. Uno smacco per l'ex leader di An, che forse chiude qui la sua carriera politica.
Male anche Ingroia e la sua "rivoluzione civile". Alla Camera non ci sarà e, di conseguenza, non prenderà più posto l'Idv di Di Pietro, che aveva partecipato a questo nuovo soggetto politico di stampo giustizialista.
La Lega Nord tiene con uno scarso 4,08% alla Camera, ma punta tutto sull'elezione di Maroni in Lombardia (lo spoglio inizierà oggi pomeriggio). Non pervenuti gli estremisti rimasti di destra e sinistra, i Radicali e Fare per fermare il declino di Oscar Giannino, protagonista di un infortunio "suicida" nell'ultima settimana prima delle elezioni.
Terminata la lista dei vincitori e dei perdenti sul Paese resta un enorme e drammatico punto di domanda. L'Italia non può permettersi un vuoto politico di queste dimensioni nei prossimi mesi, ma non esistono soluzioni comode all'orizzonte. Centrodestra e centrosinistra riusciranno a trovare un accordo su alcuni punti essenziali da raggiungere prima di tornare al voto? Apriranno addirittura una legislatura costituente? Oppure Bersani si illuderà di compensare il suo insuccesso raccogliendo pezzi di centro o, addirittura, inseguendo Beppe Grillo?
La dura realtà è che al momento nessuno ha una risposta, a cominciare dai protagonisti. E questo è chiaro a tutti, mercati compresi...
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