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Sui Fori Imperiali domenica ha sfilato soprattutto la demagogia, l'unico carburante che alimenta una repubblica a sobrietà variabile ormai in crisi persino con i suoi simboli e le sue istituzioni. Dopo i tagli dell'edizione 2012, determinati dalla crisi economica e dalla necessità di ricordare le vittime del sisma emiliano di pochi giorni prima, quest'anno la parata militare ha subito ulteriori drastici tagli. La scusa è ancora una volta la necessaria "sobrietà" (rimasta una parola d'ordine nonostante il governo di Mario Monti non ci sia più) ma si tratta appunto di una scusa demagogica per giustificare la trasformazione della parata per la festa della Repubblica da militare in "mista" con preponderanza alle organizzazioni civili, volontariato, no-profit, ecc. In pratica quanto richiesto da sinistra pacifista con il sostegno non certo irrilevante di alcune istituzioni.
Hanno cancellato dalla sfilata tutti i mezzi militari, frutto delle migliori tecnologie dell'industria nazionale che cerchiamo, spesso con successo, di esportare. In tutto il mondo le parate militari servono anche da vetrina, per questo vengono invitati gli addetti militari di tutte le ambasciate, e le relative spese vengono considerate un investimento. Inoltre negli ultimi anni la parata del 2 giugno ha rappresentato anche un momento di celebrazione popolare del sacrificio e dell'impegno dei militari nelle operazioni oltremare e non è certo un caso che quest'anno la ridotta presenza militare abbia coinciso con un forte calo del pubblico presente.
L'Italia però ha "voltato pagina" e il governo sembra strizzare l'occhio a quei pacifisti presenti in gran numero non solo a sinistra ma anche negli ambienti cattolici, dove si riesce a giustificare i nuovi tagli alla parata e giustificare l'acquisto dei 90 cacciabombardiere F-35 perché "servono per fare la pace". Come ha ricordato Gian Micalessin su "Il Giornale" la sobrietà ha imposto di rinunciare a far sfilare persino i "gipponi" Lince la cui protezione antimina ha salvato decine di soldati italiani in Afghanistan. La sobrietà è stata invece messa da parte quando si è trattato di far sfilare, ognuna su un autoveicolo, le bandiere di tutte le regioni d'Italia.
Il colpo grosso inflitto alla parata del 2 giugno riguarda però la rinuncia al sorvolo delle Frecce Tricolori. Nel 2012 se ne fece per la prima volta a meno, adducendo il lutto per i morti del sisma emiliano (come se le scie tricolori della Pattuglia Acrobatica Nazionale potessero offendere le vittime del terremoto) ma quest'anno per giustificare lo stop a quelle Frecce Tricolori che tutto il mondo ci invidia si è utilizzata la motivazione dei costi. Una scusa ridicola, specie per uno Stato che non è riuscito a tagliare i costi della politica, i mega-stipendi dei dirigenti pubblici e neppure le province, ma che cela probabilmente l'obiettivo di far scomparire la PAN dagli occhi degli italiani per poterle poi scioglierle senza troppo proteste.
Il sedativo populista propinato negli ultimi giorni agli italiani non regge perché il costo del passaggio delle Frecce Tricolori sulla parata sarebbe stato in realtà zero. I piloti basati a Rivolto (Udine) devono infatti effettuare regolarmente frequenti voli acrobatici addestrativi, già previsti in bilancio. Le ore di volo sui jet MB-339 PAN costano quasi 8mila euro ognuna (secondo le tabelle dell'Aeronautica Militare) tutto incluso. Una cifra che verrà comunque spesa che i piloti sorvolino i Fori Imperiali o si addestrino sulle campagne friulane o effettuino esibizioni altrove. Del resto sia quanti si stracciano le vesti per ogni spesa militare (come se la Difesa non fosse una funzione dello Stato alla stregua di Sanità e Istruzione) sia il Quirinale dovrebbero spiegarci perché le Frecce Tricolori in volo costavano troppo il 2 giugno ma evidentemente non rappresentavano uno spreco di risorse il 20 aprile scorso, quando hanno accompagnato con le scie tricolori le celebrazioni per la rielezione del presidente Giorgio Napolitano.
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