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Il 22 novembre di 50 anni fa moriva, a 46 anni, il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy (1917-1963), vittima, a Dallas, in Texas, di un attentato ancora avvolto nel mistero. La sua giovane età, la sua fine scioccante e l'aura quasi mistica che ne aveva accompagnato l'ascesa alla presidenza ne hanno da subito fatto una sorta di divinità laica: un novello re Artù – come si continua ancora a ripetere – che, dalla Camelot eretta sulle rive de Potomac (la Casa Bianca), inaugurava un'era di pace e di prosperità per le nazioni, continuando tutt'ora a ispirarle.
Criticare uno come Kennedy equivale dunque ad attraversare un campo minato. Ma l'inibizione più grande resta quella riguardante il mito intoccabile del "primo presidente cattolico degli Stati Uniti", di cui resta comunque innocente il beato Giovanni XXIII (1881-1963), sempre sconsideratamente raffigurato a fianco del presidente americano nell'Olimpo trasognato e irenista di quei "formidabili" anni 1960 che invece (come ha acutamente osservato l'opinionista cattolico George Weigel) scatenarono una guerra senza precedenti alla morale e al costume con la diffusione della contraccezione prêt-à-porter, della contestazione alla famiglia "borghese", della "Nuova Sinistra" nelle università e della grande spinta culturale che nel decennio successivo otterrà la legalizzazione dell'aborto.
La chiave di volta del cattolicesimo kennedyano rimane il discorso programmatico tenuto il 12 settembre 1960 alla Greater Houston Ministerial Association, famoso e controverso. Famoso perché in quell'occasione Kennedy, che oramai era il candidato presidenziale del Partito Democratico alle imminenti elezioni dell'8 novembre, cercò di rassicurare tutti, ma in specie i protestanti sospettosi, del fatto che anche un cattolico (era la prima volta) avrebbe potuto governare da buon presidente imparziale degli Stati Uniti. Controverso perché, mentre da un lato sembrò onorare i princìpi costituzionali su cui si regge il Paese, e in specifico il diritto di ogni cittadino alla libertà religiosa, Kennedy auspicò invece una clamorosa separazione assoluta fra Stato e Chiesa che anzitutto non esiste nella Costituzione federale americana e che soprattutto suona identica all'idea, tanto cara ai laicisti sino a oggi, di "proteggere" lo Stato dall'ingerenza delle Chiese quando invece i Padri fondatori, con il famoso Primo Emendamento alla Costituzione (lo stesso che tutela la libertà religiosa), vollero esattamente il contrario: difendere le Chiese dallo Stato. Laicismo, insomma, piuttosto che sana laicità.
Di tutto quel celebre discorso, costruito per paradossi e iperboli, più colmo di non detti che di detti, il punto cruciale è l'unica frase assertiva: «Sulle questioni d'interesse pubblico, io non parlo a nome della mia Chiesa – e la mia Chiesa non parla a nome mio». Vale a dire che per un cattolico kennedyano ciò che la Chiesa dice importa solo nella sfera privata. Non volendo evidentemente entrare nella sfera privata dell'uomo Kennedy, resta il fatto che pubblicamente la mentalità del presidente Kennedy costituisce il contrario esatto di un sano antidoto all'ingerenza indebita della Chiesa Cattolica, o altra, nella politica di un Paese e alla prevaricazione della giusta autonomia dei laici: è l'impedimento alla libertà della Chiesa di svolgere la propria missione evangelizzatrice nel mondo, anche politico. Il cattolicesimo kennedyano implica cioè una Chiesa relegata in sacrestia: irrilevante e ininfluente sulle grandi questioni pubbliche; impedita di farsi ascoltare dai cattolici impegnati in politica; impossibilitata a proporre a tutti quel suo giudizio con cui poi ovviamente si deve confrontare la libertà responsabile di ogni uomo. E, per converso, al cattolico impegnato in politica il kennedysmo pure prescrive come un dovere civile e democratico la pratica del cristianesimo più anonimo.
La breve presidenza di Kennedy è stata la messa in pratica di quell'impegnativo manifesto. Nel cataclisma degli anni 1960 – il "Sessantotto americano" –, per Kennedy l'aborto rimaneva quindi solo una scelta personale, le grandi questioni etiche legate ai "princìpi non negoziabili" sbiadivano sullo sfondo e la cultura anche politica che deriva da una fede davvero vissuta scivolava lieve sulla superficie della vita pubblica del Paese. Del resto, la voglia di Kennedy di sceverare radicalmente lo Stato e la Chiesa l'una dall'altro aveva allarmato anche più di un protestante, pure fra quelli che, temendo seriamente l'avvento di un presidente cattolico, avrebbero in teoria dovuto sentirsi invece confortati dalle sue parole.
Il giornalista Thomas Maier ha pubblicato un libro, The Kennedys: America's Emerald Kings: A Five-Generation History of the Ultimate Irish-Catholic Family (n. ed., Basic Books, New York 2004), per affermare e documentare che sul piano personale il presidente tragicamente assassinato mezzo secolo fa era un cattolico fedele e devoto, non mancava mai a una Messa e rispettava le tradizioni; ma è più una conferma del suo anonimo cristianesimo pubblico che una smentita. Il maggior biografo nonché consigliere del presidente, Arthur M. Schlesinger Jr., ha ricordato che JFK detestava, percependola come intrinsecamente anticattolica, l'etichetta di liberal. Evidentemente si accontentava di essere un cattolico "adulto".
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