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ECCO PERCHE' IL PRESEPE VA FATTO ANCHE NEI LUOGHI PUBBLICI, SOPRATTUTTO NELLE SCUOLE
Il vescovo di Trieste spiega perché la tradizione del presepe deve essere mantenuta: non solo per motivi storici o culturali, ma soprattutto perché il cristianesimo è la religione vera
di Giampaolo Crepaldi
 

Anche quest'anno, con l'avvicinarsi delle feste natalizie, è tornata la polemica sui presepi nei luoghi pubblici, soprattutto nelle scuole. Si sono verificati molti casi di sospensione di questa tradizione, ove fosse ancora presente, insieme con la sospensione di canti religiosi ispirati alla Natività. Il nostro Osservatorio desidera fare, a questo proposito, alcune riflessioni.

PRENDERE ATTO
Bisogna prima di tutto prendere atto che il processo di secolarizzazione non poteva certo fermarsi davanti al presepe. Da questo punto di vista, purtroppo, non c'è di che sorprendersi. La società attuale ha preso da tempo le distanze dalla religione, non solo impedendole ogni pubblica manifestazione e creando un mondo in cui Dio non si trova, ma anche sviluppando criteri di giudizio e atteggiamenti sociali direttamente e sistematicamente contrari alla fede cristiana e in particolare cattolica. Ci sarebbe da stupirsi se la secolarizzazione si fosse fermata davanti alle statuine di gesso e alla grotta con sopra il muschio. Con ciò non si intende avvalorare tale processo e tale suo esito, ma solo segnalare che esso non è nato ieri e ha ormai intaccato alla base molti elementi della cosiddetta civiltà cristiana. L'attacco al presepe richiede da parte cattolica una seria riflessione sulla secolarizzazione e le sue dinamiche.

LA PRIVATIZZAZIONE DELLA FEDE RELIGIOSA
In secondo luogo va osservato che del presepe viene contestata la costruzione nei luoghi pubblici. Il senso è preciso: la fede può essere al massimo tollerata come fatto privato. Il presepe va fatto in casa e non in piazza. E' la privatizzazione della fede religiosa, che la laicità occidentale vanta come unica propria fede. Ciò dovrebbe valere per tutte le religioni. Tutte dovrebbero abbandonare la pubblica piazza e trasferirsi tra le mura domestiche. La società che ne deriverebbe sarebbe una società senza Dio e questa viene spacciata per neutralità rispetto a tutte le fedi, ossia per presunta laicità. Ma come può essere neutro chi vuol fare piazza pulita? Come può essere neutro chi discrimina le fedi religiose privandole della loro presenza pubblica? Certamente lo Stato ha, in certi casi, il dovere di vietare la manifestazione pubblica della religione. Il diritto alla libertà religiosa, per quanto riguarda il cosiddetto foro esterno, non è assoluto, ma sottoposto all'ordine pubblico e al bene comune. Lo Stato, per il bene comune, può limitare o anche vietare completamente la presenza pubblica di una religione. Ma nel caso in questione, il divieto non avviene per la salvaguardia di un bene comune, che lo Stato non è più nemmeno capace di immaginare, ma per un atto di imperio che tradisce una assolutezza politica molto pericolosa. Tradisce una politica che si fa religione e che gareggia con le religioni sul loro stesso piano assoluto. Si ha così uno scontro tra due religioni, e la laicità, che avrebbe dovuto essere uno spazio neutro e quindi pacifico, diventa un luogo pericoloso perché conflittuale.

SOLO ARGOMENTO STORICO O CULTURALE?
La terza osservazione da farsi riguarda la qualità dell'opposizione che solitamente viene messa in atto contro simili misure. In genere essa fa riferimento alla civiltà cristiana, alla nostra storia e a come la nostra vita sociale, i nostri criteri morali, le nostre abitudini, senza parlare delle opere d'arte che hanno formato le nostre menti, affondi le proprie radici nel cristianesimo. Difficile avere dubbi su questo tipo di argomentazioni. L'Italia - e con essa tutto l'Occidente - non sarebbe se stesso senza le proprie radici cristiane che sono ben visibili ovunque attorno a noi. E' legittimo e doveroso far valere questo argomento storico e di identità contro quanti sostengono che, invece, per convivere con gli altri, ci si dovrebbe spogliare delle proprie tradizioni e di quanto esse ancora oggi ci danno. L'accoglienza e l'integrazione non si fanno nel vuoto e a volto coperto. E' ben evidente che questi argomenti possono prestarsi anche ad un uso politico e che chi li sostiene non sempre lo fa per amore del cristianesimo, ma per altri motivi. Bisogna però anche accettare che gli argomenti siano vissuti da ognuno al proprio livello di comprensione e di assimilazione, mettendo anche in bilancio possibili elementi di strumentalizzazione. Non è corretto negare valore a questi argomenti circa l'identità di un popolo, con l'idea che si prestano ad operazioni politiche di corto respiro.
Detto questo, va anche però osservato che queste argomentazioni sono insufficienti. Se le radici cristiane vengono difese - come è pur giusto fare, lo ripetiamo - solo per motivi storici o culturali, può venire il momento che le nuove generazioni non siano più sensibili alla propria storia passata, alle proprie origini culturali o che, addirittura, diventino incapaci di leggere i segni della presenza cristiana attorno a noi. E' proprio tra le bellissime basiliche gotiche della Francia che alligna il nuovo ateismo e, in genere, un giovane oggi non possiede le più elementari nozioni teologiche per poter leggere una pala d'altare, un affresco o un fregio. La nostra storia cristiana può diventare muta. Non può essere solo il "come eravamo" o il "è da lì che noi proveniamo" a salvarci dalla secolarizzazione che secolarizza anche il senso del passato come il senso in genere e non solo il senso religioso.

NON SOLO LE NOSTRE ORIGINI, MA LA VERITÀ DELLA RELIGIONE CRISTIANA
Il presepe, come ogni altra manifestazione pubblica delle fede cristiana, ha diritto ad essere mantenuto non solo perché lì ci sono le nostre origini, ma perché è vero. E' solo la verità della religione cristiana a valere come titolo ultimo del suo diritto ad una presenza nella pubblica piazza ed è solo perché questa religione, più di ogni altra, contribuisce al bene comune che il potere pubblico dovrebbe esso stesso difendere il presepe o qualsiasi altro simbolo di quella fede. Senza il Bambinello siamo tutti più poveri, anche i potenti di questa terra, che gestiscono la cosa pubblica senza sapere perché né come e che non sono in grado di valutare la verità delle diverse religioni preoccupandosi invece, con un gesto falsamente liberatorio, di eliminarle in blocco dalla pubblica piazza: fuori tutti da qui! Ma il senso di quel "qui", di cosa significhi la comunità politica, a quel potere sfugge. Altrimenti utilizzerebbe quei criteri per valutare le religioni e per vedere che la fede cristiana è "dal volto umano".
Le tradizioni muoiono se non sono continuamente rivissute. Cristo non è una tradizione anche se la Chiesa ha una tradizione, una tradizione viva che si fonda sulla reale presenza di Cristo nella sua storia, proprio ciò che il presepe vuole rappresentare. Le autorità politiche non riusciranno a impedire il presepe, anche se ciò non toglie che si debba lottare perché non lo facciano. Non riusciranno nemmeno a difenderlo dalla secolarizzazione, anche se non possiamo esimerci dal richiederglielo. Ciò che conterà, alla fine, è che Cristo sia vissuto come Vero e come Vivo dai cristiani. Non solo come Vivo, ma anche come Vero, perché su questo si fonda la sua pretesa di essere presente nella pubblica piazza.

Nota di BastaBugie: l'articolo che abbiamo riportato qui sopra è di Mons. Giampaolo Crepaldi, Vescovo di Trieste e Presidente dell'Osservatorio Cardinale Van Thuân. Purtroppo non tutti i vescovi hanno le idee chiare, anzi a volte sono proprio confusi. Ecco l'articolo di Riccardo Cascioli "Il preside, il vescovo e un cane" pubblicato il 02-12-2015 su La nuova Bussola Quotidiana.
Ecco l'articolo in versione integrale:
Ha un che di surreale la polemica che va avanti da giorni sulla celebrazione del Natale nelle scuole. Del fatto all'origine abbiamo già parlato: a Rozzano (Mi) un preside ha deciso di abolire l'usuale festa di Natale, proponendo invece per gennaio una Festa d'inverno: «per rispetto di chi non è cattolico». Dopo le proteste di alcuni genitori, il caso è diventato nazionale, e la scuola di Rozzano è diventata il teatro di scontro fra giornali, politici, anche con punte di comicità involontaria, tra il leader della Lega Matteo Salvini che porta un presepe da introdurre nella scuola e Mariastella Gelmini che intona "Tu scendi dalle stelle".
Perché surreale? Perché - seppure parzialmente giustificati dai recenti fatti di Parigi che costringono a farsi qualche domanda sull'immigrazione e sulle regole di convivenza - non si capisce come mai tanta reazione nei confronti di un preside che ha fatto né più né meno quello che altre decine e centinaia di dirigenti scolastici hanno fatto prima di lui. Nel caso nessuno se ne fosse accorto sono anni che cresce il numero di scuole di ogni ordine e grado in cui si vietano spettacoli natalizi. E le denunce, apparse su pochi giornali, sono sempre state ignorate dai "Signori dell'opinione e dell'informazione". Si fossero mobilitati quando il fenomeno è cominciato forse non ci troveremmo a questo punto.
«Non è - ha dichiarato il preside di Rozzano - un passo indietro di fronte all'islam rispettare la sensibilità delle persone che appartengono ad altre culture ad altri credo religiosi, mi pare un passo in avanti rispetto all'integrazione e rispetto reciproco». Un'idiozia, certo, il dialogo si fa tra identità diverse e coscienti della propria diversità e non ci può essere accoglienza e integrazione se non c'è apertura a tutto ciò che l'altro è.
Ma proprio mentre fai queste riflessioni, ecco che si fa avanti il solito immancabile prelato che afferma sostanzialmente le stesse cose. È il nuovo vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla che, rispondendo a una tv locale, si è detto pronto a rinunciare alle proprie tradizioni natalizie pur di salvare la pace e la fraternità con i concittadini islamici. «Non dobbiamo presentarci - ha detto il vescovo - pretendendo qualsiasi cosa che magari anche la nostra tradizione e la nostra cultura vedrebbe come ovvio. Se fosse necessario per mantenere la tranquillità e le relazioni fraterne tra di noi io non avrei paura a fare marcia indietro su tante nostre tradizioni». Da non credere.
Più tardi monsignor Cipolla, davanti alle reazioni giustamente scandalizzate dei fedeli, ha cercato di correggere il tiro prendendosela con chi ha strumentalizzato le sue parole. Ma cosa c'è da strumentalizzare? È così chiaro quel che ha detto. E comunque ecco la precisazione: «Papa Francesco ci sollecita di continuo nell'obiettivo di costruire un mondo di pace, senza conflitti, in cui la relazione tra fratelli sia prioritaria e l'indifferenza non trovi casa. Per noi cristiani è un richiamo forte, costante, specie in questo tempo di Avvento che ci accompagna al Natale. Ed è per questo che non possiamo utilizzare le religioni per alimentare conflitti o inutili tensioni. Purtroppo le religioni spesso sono strumentalizzate per altri interessi. Non sono contro la presenza della religione nello spazio pubblico, né tantomeno contro le tradizioni religiose, ma né le religioni né le tradizioni religiose possono essere strumenti di separazioni, conflittualità, divisioni. Fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo».
In questi casi si usa dire che la toppa è peggio del buco. In che modo infatti un presepe può essere considerato un uso della religione «per alimentare conflitti o inutili tensioni»? E a proposito di separazioni e conflittualità, monsignore dovrebbe sapere che l'annuncio di Cristo sempre provoca separazioni, tra chi lo accoglie e chi no. È successo così a Gesù, il vescovo di Padova pensa di essere più furbo?
La verità è che da un po' di tempo le priorità di tanti vescovi e sacerdoti – ma anche di laici - sembrano essere cambiate e si tende a dare un valore positivo e un bel nome (dialogo, integrazione) a quella che è la solita vecchia codardia. L'islam, quando arriverà in forze, non avrà neanche bisogno di combattere, i cattolici si saranno già autoliquidati.
Per mantenere almeno il ricordo delle tradizioni cristiane sembra dovremmo affidarci ai cani. Lo si capisce dal numero di Dicembre della rivista "Da noi", distribuita nei supermercati Esselunga, dove a pagina 91 si spara il titolo "La ghirlanda dell'Avvento". Ah, finalmente qualcuno che non si vergogna delle tradizioni cristiane, pensi mentre la foto di un cane, che correda il servizio, ti fa subito nascere qualche dubbio. E infatti, ecco cosa dice il sommario: «A Nuvola non bastano mai, così in casa c'è sempre una bella scorta dei suoi ossi preferiti da mordicchiare! A tal punto che di questi snack abbiamo fatto una ghirlanda. Così anche per lei il Natale sarà più goloso!». Insomma, una ghirlanda dell'Avvento, per cani. Il futuro ci viene incontro.

 
Titolo originale: A scomparire sarà la verità della nostra umanità
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 04/12/2015