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Spiegava diversi anni fa un bravo sacerdote ambrosiano, che dopo il Concilio Vaticano II - quando le esequie sono diventate possibili anche per i suicidi - c'era la prassi di celebrare i funerali delle persone che si sono tolte la vita all'alba, un po' di nascosto. In questo modo si intendeva conciliare la pietà per il suicida, che ha grande bisogno di preghiere, con la necessità di non dare pubblico scandalo, essendo il suicidio condannato dalla Chiesa. Che la gente non equivocasse e avesse sempre ben chiaro che il suicidio è sempre un male.
Aggiungeva il sacerdote che tale misura aveva anche un significativo impatto sociale perché funzionava da deterrente al suicidio. Per un popolo fortemente influenzato dalla tradizione cristiana, avere coscienza che il suicidio porta all'inferno è certamente un richiamo molto concreto alla vita e un incentivo a superare le tentazioni di farla finita con la vita dovute a debolezze, fragilità, problemi ritenuti insormontabili.
Mi è rimasto molto impresso questo aneddoto perché dice di quanto la preoccupazione educativa per il popolo cristiano - in vista dell'aldilà - sia al centro della missione della Chiesa.
FUOCHI ARTIFICIALI ALL'USCITA DALLA CHIESA
E mi è tornato in mente guardando le immagini, i resoconti e i commenti relativi al momento di preghiera (il 10 marzo) per djFabo, il 40enne morto la settimana scorsa, assistito nel suicidio in un istituto svizzero. Il motivo è semplice, è l'esatto opposto dell'esempio precedente. Tralascio di commentare i fuochi artificiali all'uscita dalla chiesa mentre all'interno si udivano le note di una canzone particolarmente cara a djFabo. Per quanto deplorevoli, sono gesti meno significativi per quel che riguarda l'atteggiamento della Chiesa su certi temi.
Guardo invece alla preoccupazione educativa di cui non ci si è curati affatto. L'attenzione educativa si esprime anzitutto attraverso un giudizio chiaro, non sulla persona ma sull'atto, eppure di questo non c'è traccia. L'unica preoccupazione, almeno dalle cose dette, era accontentare la madre e la fidanzata di Fabo nel loro desiderio: cosa degnissima, ma può essere la preoccupazione fondamentale se non unica? Così la chiesa di sant'Ildefonso a Milano era gremita di persone anche perché grande pubblicità è stata data all'evento e l'ora è stata scelta per permettere la presenza al massimo numero di persone, dopo la giornata di lavoro.
Date le premesse non deve stupire che per giorni la preghiera per Fabo sia stata contrapposta ai funerali negati a Piergiorgio Welby - dieci anni fa a Roma - per dimostrare che la Chiesa è finalmente cambiata, ovviamente grazie a papa Francesco. Non a caso in prima fila nella chiesa di sant'Ildefonso c'erano il leader radicale Marco Cappato, che ha accompagnato Fabo nella clinica svizzera, e la vedova Welby, felici entrambi di rilasciare interviste rafforzando l'idea di cui sopra. E per giorni nessuno della Chiesa ambrosiana che si sia preoccupato di correggere questo messaggio. Forse perché lo si condivide?
LE PAROLE DEL PARROCO
Allo stesso modo le parole del parroco sono state centrate sulla sofferenza, come Dio incontra l'uomo nella sofferenza e come per l'uomo sia difficile riconoscere Dio nella sofferenza, ma insomma alla fine sembra di capire che tutto andrà per il meglio. Nessun cenno a quanto accaduto, come se fossero equivalenti la sofferenza vissuta nell'abbandono a Cristo e la sofferenza che porta alla negazione della vita e di Dio.
Si dirà: e cosa pretendevi, tuoni e fulmini contro il suicida? Certamente no, sono ben lontano da questo stile. Ma nella Chiesa ho imparato che si deve distinguere tra peccato e peccatore, cosa oggi evidentemente superata nella "nuova Chiesa": siccome il peccatore non va giudicato allora si giustificano tutti i peccati e tutti gli atti.
L'attenzione, la delicatezza verso le persone sofferenti - anche parenti di un suicida che della propria morte ha voluto fare una bandiera politica - non possono escludere un modo appropriato ma chiaro per richiamare a ciò che è vero. E questa è carità - e preoccupazione educativa - sia verso i familiari sia verso il popolo cristiano, visto che il momento di preghiera è stato reso ampiamente conosciuto.
Invece, piaccia o non piaccia ai responsabili della Curia ambrosiana, il messaggio passato è che ormai la Chiesa ha svoltato anche sul suicidio e sull'eutanasia: c'è sempre una condanna formale, ma nella prassi c'è molta comprensione e partecipazione. E tale comprensione è così forte da far dimenticare la condanna. Del resto ricordiamo che c'è già chi sostiene che la Chiesa dovrebbe stabilire dei riti ad hoc per coloro che decidono di ricorrere al suicidio assistito e all'eutanasia (ormai la parola d'ordine è "accompagnare").
IL VOCABOLARIO DELLA CHIESA
Conosco già l'obiezione: in un mondo che non conosce più il vocabolario della Chiesa, non si può partire dai giudizi, bisogna accompagnare le persone, insistere piuttosto nel testimoniare la bellezza della propria vita. In questo senso, il parroco di Sant'Ildefonso ha detto ai giornalisti prima della liturgia che si augurava che questo servisse almeno «a riflettere sul senso della vita». Auspicio che in effetti trovava eco nei pensieri espressi nel suo intervento dopo la lettura del Vangelo.
Che la morte di chiunque ci costringa a riflettere sul senso della vita non c'è dubbio. Ma è questo lo scopo della preghiera per un defunto? Si è sentito ripetere tante volte «siamo qui per pregare», «è un momento di preghiera» e così via. Ma pregare chi e perché? In tutte le cose sentite in questi giorni e anche in chiesa venerdì sera, non si è capito. Alla fine il momento di preghiera diventa un bel momento di commozione collettiva, che ci fa sentire più buoni per un'oretta e soddisfatti per la bella cerimonia. E poi? All'anima di Fabo chi ci pensa? Il catechismo ci dice che la preghiera di suffragio è per aiutare le anime del Purgatorio ad alleviare le proprie sofferenze, per abbreviare la purificazione. Ma dire queste cose è scomodo, può turbare. Meglio lasciar credere che Fabo adesso sia libero, stia ballando, sia sicuramente nella pace di Dio. Allora anche i fuochi d'artificio hanno il loro perché.
Nota di BastaBugie: Riccardo Cascioli nell'articolo sottostante dal titolo "Nascite in Italia, un altro record negativo" ci ricorda che nel 2016 sono nati in Italia 474mila bambini, 12mila in meno dell'anno precedente. Con l'aumento della speranza di vita e quindi degli ultra65enni, assistiamo a un rapido invecchiamento della popolazione. C'è bisogno urgente di invertire la tendenza, ma i governi che si succedono vanno in tutt'altra direzione. E ora è già pronta la scorciatoia per riequilibrare (almeno un po') la struttura della popolazione.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 7 marzo 2017:
Era già tutto previsto, cantava Riccardo Cocciante 40 anni fa. Non si riferiva ovviamente al crollo dei tassi di fecondità, eppure è proprio all'inizio degli anni '70 (guarda caso con l'introduzione della legge sul divorzio) che inizia il calo delle nascite in Italia che dura tuttora. Nessuna sorpresa dunque se negli indicatori demografici presentati il 6 marzo dall'Istat si registra un altro record negativo di nascite: 474mila nel 2016, 12mila in meno del 2015, che segnava ovviamente il record precedente. Anche se il tasso di fecondità scende di pochissimo (1,34 figli per donna contro gli 1,35 dell'anno precedente), le nascite diminuiscono considerevolmente perché per effetto del calo degli anni precedenti si restringe sempre più la fascia di donne in età fertile.
E il futuro si presenta sempre più grigio. Il saldo naturale (nascite meno decessi) è fortemente negativo (-134mila nel 2016) e diminuisce anche la quota dei nuovi nati da donne straniere (19,4%), anche se queste mantengono tassi di fecondità più alti delle donne italiane (1,95 contro 1,27).
All'altro estremo c'è il dato positivo di un ulteriore aumento dell'aspettativa di vita: 80,6 anni per gli uomini e 85,1 per le donne. Addirittura abbiamo un boom di ultranovantenni, 727mila (1,2% della popolazione), che appena 15 anni fa erano 402mila (0,7%). Numero record anche degli ultracentenari che arrivano ormai a 17mila. Più in generale gli ultra65enni sono oltre 13,5 milioni, il 22,3% della popolazione contro gli 11,7 milioni di dieci anni fa (20,1%).
Ma i due dati combinati danno il risultato di un paese sempre più vecchio, con un'età media di 44,9 anni, avviato irrimediabilmente al declino anche perché non ci sono segnali di inversione di tendenza. «Sono dati che confermano quello che è in atto già da molto tempo - ci dice il demografo Giancarlo Blangiardo, docente all'Università di Milano Bicocca -. Sono problematiche denunciate già trenta anni fa, ma tutti se ne infischiano».
Se ne infischiano e si parla di altro, come se la crisi economica che dura ormai da molti anni non fosse figlia della denatalità e del conseguente invecchiamento della popolazione. Non a caso mentre si assottiglia sempre più il numero dei giovani, cresce di pari passo la disoccupazione giovanile; alla faccia di chi da anni predica il controllo delle nascite per diminuire la popolazione così da avere più risorse a disposizione. Non è così, la realtà ce lo dimostra ogni giorno, la denatalità produce stagnazione economica.
Il tragico è che mentre qualche politico comincia a rendersi conto della gravità della situazione demografica, allo stesso tempo non si ha alcuna intenzione di prendersi la responsabilità di scelte politiche che invertano la tendenza. Così si prospettano soluzioni che alla prova dei fatti si riveleranno ancora più rovinose. Principale fra queste ricette è l'immigrazione.
Recentemente si è fatta paladina di questa battaglia la leader radicale Emma Bonino che, dopo aver fatto tanto nei decenni passati per promuovere la denatalità, oggi propone l'ingresso massiccio di manodopera straniera per tappare i buchi creati dalla mancanza di giovani italiani. Chi propugna tale soluzione tradisce una concezione economicista dell'uomo, ridotto a semplici funzioni produttive e quindi interscambiabile: mancano dieci italiani, li rimpiazzo con dieci stranieri. Ma la realtà non funziona così: chi immigra - pur tralasciando le problematiche culturali e religiose, che pure sono importantissime - ha anche bisogno di una serie di servizi che ne permettano l'integrazione (case, sanità, apprendimento della lingua, e così via); inoltre spesso ciò che guadagna qui va in gran parte al paese d'origine per sostenere i familiari rimasti a casa. E ancora, gli stessi dati dell'Istat ci fanno vedere che la componente straniera fra i nuovi nati diminuisce, e lo stesso tasso di fecondità - per quanto sia ancora significativamente più alto - tende ad omologarsi a quello della popolazione italiana.
Il vero problema è che in Italia non si vuole sentir parlare di natalità. Basta ricordare le reazioni inconsulte pochi mesi fa all'iniziativa di un Fertility Day voluto dal ministro della Santità Beatrice Lorenzin. Era proprio una piccola cosa, ma è bastato ricordare che esiste un orologio biologico che sconsiglia di aspettare troppo per avere un figlio, per scatenare il finimondo. E l'iniziativa è completamente naufragata. Del resto governo e parlamento fanno di tutto per promuovere politiche che, si sa, scoraggiano le nascite: come non ricordare che basterebbe far venire al mondo i bambini abortiti (circa 100mila solo con l'aborto chirurgico) per rimettere in sesto i conti delle nascite. E come incide negativamente la promozione dell'omosessualità e la distruzione sistematica della famiglia sui tassi di fecondità.
«Allo scopo di invertire la tendenza nei tassi di fecondità - dice il professor Blangiardo - sono assolutamente inutili anche le misure di contrasto alla povertà, bonus e quant'altro. Per promuovere le nascite si deve soprattutto intervenire a sostegno del ceto medio, sono le classi medie quelle decisive per la fecondità. Ovviamente gli investimenti hanno un costo ma qui si gioca il futuro dell'Italia». Ma quale potrebbe essere una misura a favore del ceto medio? «Anzitutto il quoziente familiare», spiega il professor Blangiardo, ovvero una politica fiscale che imponga le tasse tenendo conto della numerosità del nucleo familiare: «Il modello francese funziona, in Italia manca la volontà politica».
Un problema è che, non volendo intervenire sulla fecondità e sulle nascite, si tende di conseguenza a spostare lo sguardo sull'altro versante demografico, quello della mortalità. Si fa sempre più ristretta la base produttiva da tassare al fine di pagare i crescenti costi sanitari e sociali per la popolazione anziana. È sotto questa luce che va considerata la campagna in corso per introdurre l'eutanasia: l'autodeterminazione delle singole persone, la libertà di scegliere, il diritto a una morte dignitosa sono tutti paraventi per nascondere la realtà di uno Stato che deciderà lui a chi e quando dare la morte.
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