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Nel post precedente ci si era chiesto su quale tema sociale di oggi ci si dovrebbe impegnare per agire in conformità al principio della "Regalità sociale di Cristo" ed è stato trattato il tema dell'educazione e della scuola. C'è però anche un altro punto nevralgico, particolarmente sensibile da questo punto di vista, quello del matrimonio.
Alle origini della Dottrina sociale della Chiesa, ossia negli ultimi decenni del XIX secolo, i Pontefici avevano espresso sia il principio dell'originaria autorità della Chiesa in campo educativo, precedente e fondativa rispetto a tutti gli altri soggetti educativi, sia l'originaria autorità legislativa della Chiesa sul matrimonio. Questi due principi non vennero mai meno fino a Pio XII. Col Concilio e il post concilio le cose cambiarono e il significato dei due principi venne sfumato ma mai negato. Detta la cosa in termini più precisi: il matrimonio dovrebbe essere solo quello religioso. Ed in effetti, se così non fosse, il principio della "Regalità sociale di Cristo" verrebbe automaticamente meno.
Gli Stati ottocenteschi, e dopo di essi gli Stati totalitari e anche quelli democratici, allineati tra loro su questo punto, concentrarono in sé la scuola ed anche il matrimonio, togliendolo dalla originaria tutela della Chiesa. Dapprima con l'istituzione del matrimonio civile, poi con quella del divorzio e ai nostri giorni con il "matrimonio omosessuale" o il "poliamore", lo Stato ha progressivamente secolarizzato il matrimonio. Secolarizzato non solo rispetto al suo fondamento religioso ma anche al suo fondamento etico naturale. Ci si sta avviando verso una società senza matrimonio, che significa però anche senza famiglia, dato che senza matrimonio si danno solo relazioni individuali, giustapposte, temporanee, prive di responsabilità, ludiche, nichiliste.
Uno dei modi con cui la Chiesa ha affrontato il problema del "matrimonio" di Stato è stato quello dei Concordati. In Italia il Concordato (del 1929 e poi del 1984) assegna al matrimonio religioso anche gli effetti civili. Come dobbiamo interpretare questo dal punto di vista della "Regalità sociale di Cristo"? Se lo Stato, nella sua legittima autonomia che non vuol dire sovranità, riconoscesse il fondamento originario del matrimonio nella religione cattolica e nel diritto naturale garantito e difeso dalla Chiesa, stabilire gli effetti civili del matrimonio sarebbe corretto.
Ma se, come accade oggi, lo Stato non riconosce nessun valore al matrimonio indissolubile tra uomo e donna e aperto alla vita, anzi contempla giuridicamente tutto il contrario, allora quel concordato non ha più ragione di essere. Un sacerdote unisce in matrimonio religioso due sposi, a ciò lo Stato riconosce gli effetti civili, ma in virtù di questi effetti civili il giorno dopo concede il divorzio ai due sposi... si tratta di una burla ai danni del matrimonio religioso. Se gli effetti civili sono contro il matrimonio non si vede perché debbano essere previsti dal matrimonio religioso.
Per questo motivo, un modo oggi per far valere il principio della "Regalità sociale di Cristo" è di rifiutare il Concordato tra Stato e Chiesa laddove prevede gli effetti civili del matrimonio religioso.
Nota di BastaBugie: don Samuele Cecotti nell'articolo seguente dal titolo "Matrimonio civile, inconciliabile con il sacramento" afferma che bisogna prendere atto che oggi quello che chiamiamo matrimonio civile non ha più né il fine né gli elementi fondanti il matrimonio nel suo diritto naturale. Il che pone delle importanti questioni per quanto riguarda il matrimonio concordatario.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 26 luglio 2019:
La questione del matrimonio così detto concordatario sollevata da Stefano Fontana è della massima importanza e delicatezza. E non può certo essere più taciuta visto il progressivo processo di decostruzione e adulterazione dell'istituto matrimoniale nell'ordinamento civile in atto ormai da decenni e ora sempre più radicale.
Sarà bene premettere alcune verità sul matrimonio, indispensabili per qualunque successiva valutazione:
1) il matrimonio è un istituto giuridico (patto/contratto) di diritto naturale con fine e proprietà essenziali che lo fanno tale e senza i quali semplicemente non è.
2) Queste proprietà essenziali sono l'unitas e l'indissolubilitas, con la prima che indica la monogamicità eterosessuale esclusiva (un uomo e una donna con l'esclusione di qualunque atto proprio del matrimonio con terzi) dell'unione sponsale, mentre con la seconda si riconosce la perpetuità del vincolo sino alla morte.
3) La procreazione ed educazione della prole (bonum prolis: generatio atque educatio prolis) è il fine del matrimonio assieme al bene dei coniugi.
4) Il matrimonio sacramentale non è un secondo matrimonio altro da quello di diritto naturale, è lo stesso matrimonio di diritto naturale elevato all'ordine della grazia in virtù della condizione di battezzati dei nubendi.
5) Tra battezzati non ci può essere matrimonio che non sia sacramento, escludendo il sacramento si esclude il matrimonio.
Il matrimonio non è e non può essere confinato nel privato, dunque l'autorità temporale (come quella ecclesiastica) deve provvedere normativamente affinché le nozze siano celebrate secondo diritto e siano pubblicamente riconosciute in se stesse e nei loro effetti. Ovviamente non è la norma positiva (né civile né ecclesiastica) a poter stabilire la natura del matrimonio, il suo fine e le sue proprietà essenziali. La norma positiva (civile o ecclesiastica che sia) deve invece riconoscere e recepire il matrimonio per ciò che è in se stesso quale istituto di diritto naturale.
Il così detto matrimonio civile è propriamente un prodotto rivoluzionario che nasce al chiaro scopo di secolarizzare le nozze ponendo l'istituto del matrimonio nell'arbitrio del legislatore civile che si concepisce sovrano. L'idea stessa di matrimonio civile costituisce una ferita essenziale al matrimonio e, per quanto riguarda i battezzati, anche sempre una vera e propria impossibilità: infatti tra battezzati, non essendo possibile altro che il matrimonio sacramento, il così detto matrimonio civile propriamente non sarà che una dichiarazione pubblica di concubinato.
La Chiesa condannò sin da subito e con durezza l'istituzione del matrimonio civile e la pretesa giuspositivistica dei moderni legislatori in materia matrimoniale. In Italia (e non solo) questo vulnus si ritenne sanarlo per via concordataria e si giunse così al così detto matrimonio concordatario ovvero al matrimonio sacramento i cui effetti civili sono recepiti dallo Stato.
Si potrebbe pensare che, in virtù del Concordato, lo Stato italiano riconosca il matrimonio sacramento per ciò che è in se stesso, nel suo dato di diritto naturale e di diritto divino positivo così come espressi nella Dottrina e nel diritto della Chiesa. Si poteva forse pensarlo, con un po' di ingenuità, nel 1929 dato che allora il matrimonio così come previsto dall'ordinamento civile non presentava aspetti contraddittori rispetto all'essenza del matrimonio in se stesso. Molti continuarono a pensarlo, con una certa volontaria cecità, alla luce della Costituzione del '48 e nei primi decenni della Repubblica, ma oggi no, non è più possibile.
La depenalizzazione dell'adulterio, la riforma del diritto di famiglia, la legge sul divorzio e quella sulla rettifica chirurgica di sesso (che, senza dirlo apertamente, rende già possibile il matrimonio omosessuale in Italia), l'equiparazione delle convivenze (anche omosessuali) al matrimonio e tutta una decennale giurisprudenza (della Corte Costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione) in materia certificano che lo Stato italiano non riconosce affatto il matrimonio per ciò che è in se stesso. La questione è proprio questa: cosa è il matrimonio per lo Stato italiano?
Se, come è, il matrimonio è quel patto/contratto liberamente celebrato che unisce un uomo e una donna indissolubilmente in una unione sponsale esclusiva (tale per cui gli atti propri del matrimonio sono diritto esclusivo dei coniugi tra loro) finalizzata alla procreazione e all'educazione della prole si deve concludere che l'istituto giuridico (di diritto naturale) del matrimonio è assente nell'ordinamento civile italiano e che contemporaneamente l'ordinamento civile italiano chiama matrimonio ciò che matrimonio non è. Ciò che l'ordinamento civile italiano chiama matrimonio, infatti, manca tanto del fine naturale quanto delle proprietà essenziali del matrimonio, dunque non è e non può essere matrimonio.
Si dovrebbe dunque prendere atto di questo dato di fatto (l'istituto del matrimonio non c'è nell'ordinamento civile italiano vigente), rilevare l'equivoco che si genera utilizzando la stessa parola "matrimonio" per indicare due concetti essenzialmente differenti (e parzialmente contraddittori tra loro), condannare il grave torto che commette lo Stato italiano non recependo nel proprio diritto positivo l'istituto di diritto naturale del matrimonio (lo Stato rende così impossibile sul piano del proprio diritto positivo lo ius nubendi) e denunziare il Concordato dove lo Stato italiano regola gli effetti civili del matrimonio sacramentale non sulla realtà oggettiva del matrimonio ma sulla norma positiva relativa a quell'istituto di diritto positivo equivocamente chiamato matrimonio dallo Stato senza tuttavia esserlo (o poterlo essere) mancando dell'essenziale per esserlo.
Si deve cioè riconoscere la contraddizione essenziale esistente tra l'ordinamento civile e l'ordinamento canonico (espressivo dell'ordine naturale e del diritto divino positivo) riguardo al matrimonio e dunque affermare come impossibile la conciliazione in merito.
Il matrimonio sacramento non può in nessun modo essere letto attraverso la lente di un istituto giuridico altro e contraddittorio abusivamente ed equivocamente chiamato matrimonio per volontà arbitraria di chi si concepisce sovrano. Il matrimonio così come previsto dall'ordinamento canonico è atto pubblico indipendentemente dal riconoscimento da parte dello Stato, con effetti de iure (anche se non de facto per quanto riguarda gli effetti civili nei moderni Stati laici) tanto sul piano ecclesiale quanto su quello temporale (per diritto naturale) che debbono solo essere riconosciuti.
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