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Lo spettro della legge contro l'omofobia, che prevede persino il carcere (1 anno e 6 mesi) o multe fino a 6000 euro, è tornato ad aggirarsi nell'agenda politica italiana: giovedì 24 ottobre, in Commissione Giustizia, alla Camera dei Deputati, si parlerà proprio delle modifiche da apporre alla legge 604 bis del codice penale che riguarda i crimini commessi per motivi di discriminazione razziale e religiosa. Nello specifico, all' art. 1, alle lettere a, b e c del primo comma si propone di aggiungere esplicitamente l'espressione «fondati sull'orientamento sessuale e l'identità di genere«. La motivazione è presto detta ed è contenuta nella proposta di legge in questione: «L'esponenziale aumento del numero e della gravità degli atti di violenza nei confronti di persone omosessuali e transessuali» che autorizzerebbe teoricamente «ad estendere le sanzioni già individuate per i reati qualificati della discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi anche alle fattispecie connesse all'omofobia e alla transfobia».
IL VITTIMISMO DI CAINO UCCISE ABELE
Dalla proposta di legge si evince anche che l'intervento legislativo andrebbe a punire le condotte dettate da "intento persecutorio" nei confronti di persone omosessuali o transessuali, in quanto, udite udite, la popolazione Lgbt avrebbe la «percezione che lo Stato non sia in grado di garantire un'adeguata protezione a soggetti più vulnerabili rispetto alla maggioranza della popolazione».
Ma lasciamo per un momento la parola a chi rappresenterebbe, secondo questa proposta, una delle parti "lese": il consigliere Umberto La Morgia che non ha mai fatto mistero della sua omosessualità e che si è detto allarmato da questo testo di legge. Come scrive sul suo profilo Facebook: «Ovviamente il nodo è sempre il solito. La legge non chiarisce cosa sia discriminatorio o quali siano le idee che inciterebbero a discriminare, né tantomeno parla di omofobia o chiarisce cosa sia. Andremo tutti in carcere se difenderemo la centralità della famiglia naturale nella società o se saremo contrari all'utero in affitto, all'omogenitorialità etc etc? Questo è quello che stanno cercando di fare i giallo-rossi. Gay, lesbiche, trans, davvero vi sentite come una razza o un'etnia da tutelare? Io mi sentirei offeso ad essere paragonato a una "razza". Vittimismo, vittimismo, vittimismo. E, per chi può capire, ricordo che Caino uccise perché si sentiva vittima».
UN REATO SENZA DEFINIZIONE
Parole cristalline che mettono in evidenzia proprio il punto nodale e più preoccupante della questione: la non definizione del concetto di "omofobia", un termine ombrello all'interno del quale potrebbe rientrare qualunque concezione, gesto, forma di pensiero che si discosti anche solo minimamente dall'ideologia e dall'agenda Lgbt e che quindi va a configurare questa proposta di legge, come un vero e proprio bavaglio della libertà di pensiero altrui. Inoltre la non definizione chiara del reato di omofobia, porterebbe chiunque ad essere accusato, arrestato e multato, perché basterebbe anche solo litigare, per motivi che magari nulla hanno a che fare con l'identità sessuale della persona con cui si discute, che potrebbe anche non avere un orientamento etero, a nostra insaputa, per rischiare di essere perseguiti dalla legge, accusati di aver adottato una condotta discriminatoria, anche solo percepita da chi si propone, in quel caso come parte "lesa", senza prova alcuna.
Dunque una proposta dai risvolti inquietanti e gravemente liberticidi, degni delle peggiori dittature che speriamo non venga presa in considerazione, per continuare a preservare almeno il primo di tutti i diritti civili: la libertà di opinione.
Nota di BastaBugie: Giuliano Guzzo nell'articolo seguente dal titolo "Si rivolge a sua figlia come a una ragazza. Condannato" racconta il fatto, avvenuto in Canada, di un padre separato dalla moglie che è stato condannato per "violenza familiare" per essersi rivolto alla figlia, una quattordicenne che si sente un maschio, come a una ragazza. Al genitore è stato proibito di chiamarla con il "suo nome di nascita" e di interferire con la scelta di sottoporsi a pericolosi trattamenti ormonali.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 27-04-2019:
La guerra contro il buonsenso ha purtroppo fatto un ulteriore passo in avanti. È accaduto in Canada, dove, nei giorni scorsi, un padre è stato incredibilmente condannato per «violenza familiare» ai danni della figlia; ma non per averla picchiata o aver agito con qualsivoglia forma di violenza, bensì per essersi rivolto a lei - femmina - come a una ragazza. Una pura ovvietà divenuta scandalosa, dato che la giovane, di 14 anni, identifica sé stessa come un ragazzo e si sta sottoponendo a trattamenti a base di testosterone per "cambiare sesso", come oggi si usa impropriamente dire, e "raggiungere" quell'identità maschile di cui oggi pare senta la mancanza.
Un percorso a cui il padre dell'adolescente è fortemente contrario sia perché consapevole delle gravi e talvolta irreparabili conseguenze che comporta, sia perché sa come la figlia versi in una condizione di particolare vulnerabilità a causa del modo traumatico con cui, nel 2013, ha vissuto la separazione dei genitori; una vulnerabilità a sua volta testimoniata dalla depressione di cui ha sofferto e soffre la giovane, che purtroppo è giunta almeno già quattro volte a tentare il suicidio. Siamo dunque lontani anni luce dalla vicenda di una persona che con serenità e consapevolezza decide di "cambiare sesso", per quanto essa rimarrebbe comunque una decisione tragica e densa di rischi.
Ciò nonostante, non solo a questo genitore è stato impedito di interferire nelle gravi decisioni della figlia ma, appunto, nei giorni scorsi è arrivata perfino una condanna. Ad emanarla, la Suprema Corte della British Columbia nella persona del giudice Francesca Marzari, la quale, nel condannare il padre della giovane per «violenza familiare», ha pure emesso un ordine restrittivo che gli impedisce di rivolgersi alla figlia - direttamente come a terzi - con il «suo nome di nascita». Non solo. All'uomo è stato pure intimato di desistere da qualsiasi «tentativo di persuadere» la ragazza «ad abbandonare il trattamento per la disforia di genere», come spiegato dal Federalist. Ovviamente la giudice che si è pronunciata sul caso è già nota per le sue posizioni progressiste sia in tema di aborto sia, ça va sans dire, di diritti Lgbt.
Ora, per quanto possa sembrare strano, questa è in realtà solo l'ultima tappa del calvario di questo genitore canadese. Infatti già oltre un anno fa, la figlia confusa sulla propria identità sessuale era stata indirizzata dall'istituto scolastico insieme alla madre - senza che suo padre ne fosse informato - dallo psicologo e attivista transgender Wallace Wong, che non ci ha pensato due volte a raccomandare alla giovane quella "terapia" ormonale che, ormai da due mesi, sta seguendo presso l'ospedale pediatrico della British Columbia. Una volta informato di tutto ciò, il padre della ragazzina ha tentato di segnalare per comportamento poco professionale il dottor Wong. Tutto inutile, tanto per cambiare.
Così adesso, in questa storia che sembra tratta da un romanzo dell'orrore, abbiamo un genitore condannato per «violenza familiare», per aver rilasciato interviste nelle quali usava il pronome femminile per rivolgersi alla figlia, e fortemente limitato nella sua potestà genitoriale. Uno scenario da incubo che però altro non è che la naturale evoluzione dell'ideologia gender che, a ben vedere, sembra proprio avere nel sistematico rigetto del buonsenso il suo cardine. Comunque vada a finire, c'è solo da augurarsi che raccontare vicende come questa, denunciandone i molteplici riflessi ideologici, possa aprire gli occhi a tutti coloro che non hanno ancora riflettuto sul precipizio morale a cui può condurre l'allegro ritornello dei «nuovi diritti».
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