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Dopo giorni di pronostici e indiscrezioni, adesso c’è la certezza: Donald Trump ha nominato Amy Coney Barrett come candidata a prendere il posto alla Corte Suprema lasciato libero dalla morte di Ruth Bader Ginsburg. La nomina, la terza di questo tipo in appena quattro anni di mandato per Trump, è stata ufficializzata dal presidente americano alle 17 di ieri a Washington (le 23 in Italia), in una cerimonia breve ma di grande significato.
Trump ha sottolineato le grandi «credenziali» della Barrett, attestate dal suo eccellente curriculum, e in particolare la sua «lealtà alla Costituzione». Davanti alla famiglia della giudice, ha detto che Amy è una «madre profondamente devota», che ha «un incredibile legame con il suo figlio più piccolo, con la sindrome di Down». Ne ha quindi ringraziato i sette figli (due adottati ad Haiti), chiamandoli per nome, «per aver condiviso la vostra mamma con il Paese», dove la Barrett contribuirà a difendere la «giustizia», la «libertà religiosa», la «sicurezza».
Amy, tenendo un atteggiamento umile, ha promesso dal canto suo di dare il meglio di sé, «se il Senato mi confermerà». E ha aggiunto: «Io amo gli Stati Uniti e la Costituzione americana». Si è soffermata nel ricordo della Ginsburg e nell’amicizia che questa aveva con il giudice Antonin Scalia, nonostante le idee agli antipodi (pro aborto la prima, pro vita il secondo). Ha quindi richiamato la propria esperienza professionale nell’ufficio dello stesso Scalia, da cui ha imparato una lezione fondamentale: «Un giudice deve applicare la legge com’è scritta», perché «un giudice non è un legislatore». Anche lei ha chiamato i suoi figli uno per uno, ha poi ringraziato il marito Jesse per il suo supporto fondamentale ed espresso gratitudine ai genitori. A conclusione dell’evento, la foto di Donald e Melania con la famiglia Barrett. A giudicare dalle premesse, è quello che si direbbe un buon inizio, con tanto di dichiarazioni programmatiche.
LA GIOIA DEL MOVIMENTO PRO LIFE
Le previsioni, dunque, sono state rispettate, per la gioia del movimento pro life - che vedeva in Amy Coney Barrett la migliore candidata alla Corte Suprema - e il disappunto, per usare un eufemismo, dei gruppi abortisti che hanno fatto di tutto per gettare discredito su di lei. E non si tratta solo di una storia di questi giorni, ma di un pregiudizio che viene alimentato da anni.
Ricordiamo quanto avvenuto nel 2017, quando iniziò il suo lavoro come giudice federale alla Corte d’Appello per il Settimo Circuito (che interessa i tribunali di Illinois, Indiana e Wisconsin). Proprio in quell’anno, dopo essere stata nominata da Trump, divenne famosa anche fuori dai confini americani per una frase che la senatrice democratica di lungo corso Dianne Feinstein le rivolse durante l’udienza di conferma della nomina: «Il dogma vive con forza dentro di lei, e questo è preoccupante». La nomina fu poi confermata con un voto di 55-43.
Si è già accennato al tirocinio (dal 1998 al 1999) che la Barrett fece nell’ufficio del giudice di Corte Suprema, Antonin Scalia, ritenuto uno dei massimi esponenti dell’originalismo. In quel periodo si guadagnò dai suoi colleghi l’appellativo di “Conenator”, un gioco di parole tra il suo cognome da nubile e la sua capacità, come riporta il Chicago Tribune, di «distruggere argomenti legali inconsistenti». E la stessa Barrett, come risulta evidente anche dalle parole pronunciate ieri alla Casa Bianca, ha detto in passato di ispirarsi alla dottrina originalista, che intende interpretare la Costituzione nel significato originale di chi l’ha scritta.
Tra le altre esperienze professionali, vanno ricordati i diversi anni da docente universitaria in materie giuridiche alla Notre Dame Law School. Significativo è il discorso che la Barrett tenne nel 2006 davanti ai laureandi, in cui spiegò agli studenti che per distinguersi nel mondo quali laureati di un’università (cattolica) come la Notre Dame Law School avrebbero dovuto «sempre tenere a mente che la vostra carriera legale non è che un mezzo per arrivare a un fine», e «quel fine è costruire il regno di Dio».
Il nome di Amy Barrett figura tra quello delle donne cattoliche firmatarie di una lettera rivolta ai Padri del Sinodo sulla Famiglia del 2015. Nella missiva si ricordano la verità e bellezza degli insegnamenti della Chiesa sul «valore della vita umana dal concepimento alla morte naturale», sulla «complementarità di uomini e donne», «sull’apertura alla vita e il dono della maternità; e sul matrimonio e la famiglia fondati sull’impegno indissolubile di un uomo e una donna».
PLANNED PARENTHOOD SUL PIEDE DI GUERRA
La Barrett è stata attaccata per la sua appartenenza a People of Praise. Sono stati ovviamente i media liberal americani (molti di loro, New York Times incluso, hanno tra l’altro fatto confusione con il nome di un altro gruppo, vedi qui) a dare il la al tentativo di screditarla, e quelli italiani hanno rilanciato parlando di «una sorta di setta» (La Repubblica) o anche di «oscura associazione religiosa» (Il Sole 24 Ore). Più semplicemente, come spiega il suo sito web, People of Praise è un gruppo carismatico che esiste dal 1971, riunisce cattolici (in prevalenza) e protestanti, e ha finalità ecumeniche. Dunque, il problema per i grandi giornali è questo gruppo - che al più può generare dibattito tra cristiani - o il fatto che una sua nota partecipante sia contro l’aborto?
A proposito, sono pochi i casi relativi all’aborto in cui è stata coinvolta nei tre anni da giudice federale. Il primo di questi, Planned Parenthood v. Commissioner, nel 2018, riguardava una legge dell’Indiana che chiedeva di seppellire o cremare i resti dei bambini abortiti. La Barrett votò nel senso di consentire allo stato dell’Indiana di difendere la sua legge nel corso di un’udienza con la corte al completo. Nello stesso senso votò in un altro caso, Planned Parenthood v. Box, nel 2019, quando il colosso abortista sfidò una legge dell’Indiana che richiedeva di informare i genitori prima di praticare l’aborto su una minore. In un terzo caso, Price v. City of Chicago, fu chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di una “zona cuscinetto” all’esterno delle strutture abortive, così come stabilita da un’ordinanza della città di Chicago. Anche la Barrett, all’unanimità con gli altri giudici, votò per mantenere l’ordinanza perché uguale a una legge del Colorado che era stata avallata dalla Corte Suprema in un precedente giudizio - giudizio che le corti di grado inferiore sono tenute a rispettare.
Tornando alla sua nomina alla Corte Suprema, ora la palla passa al Senato, dove i Repubblicani hanno una maggioranza di 53-47. Possono quindi permettersi di perdere fino a tre voti, con la consapevolezza che Mike Pence, da presidente dell’assemblea, farebbe, in caso di pareggio, da ago della bilancia.
Nota di BastaBugie: Andrea Marinelli nell'articolo seguente dal titolo "Amy Coney Barrett: chi sono gli originalisti di cui fa parte la giudice nominata da Trump" spiega cos'è la corrente conservatrice che vuole interpretare la costituzione per come è stata scritta dai padri fondatori, a cui appartiene Amy Coney Barrett.
Ecco l'articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 27 settembre 2020:
Donald Trump ha nominato sabato sera Amy Coney Barrett per sostituire la giudice Ruth Bader Ginsburg, scomparsa venerdì 18 settembre a 87 anni. Ultraconservatrice, cattolica, «ACB» - così è stata già soprannominata - ha 48 anni ed è molto stimata da conservatori e progressisti, nonostante il partito democratico stia facendo muro contro la nomina, che sbilancerebbe a destra la Corte (con una maggioranza 6-3). Coney Barrett è però soprattutto una «originalista», ovvero parte di una corrente che interpreta la costituzione per come è stata scritta e intesa dai padri fondatori, quando la ratificarono il 21 giugno 1788. Secondo gli originalisti, il testo - entrato in vigore il 4 marzo 1789 - non dovrebbe essere interpretato secondo i tempi correnti e seguire quindi i cambiamenti della società americana, ma deve essere letto per come fu concepito dai firmatari. «Per un originalista», scrisse proprio Coney Barrett in un articolo pubblicato nel 2017 sulla Notre Dame Law Review, «il significato del testo è fisso, finché è rintracciabile».
Anche gli altri giudici nominati da Trump, Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh, si considerano originalisti. Proprio al momento della nomina di Kavanaugh,nel luglio 2018, il consigliere giuridico di Trump Leonard Leo, vicepresidente esecutivo della conservatrice Federalist Society, dichiarò a Fox News che il presidente seguiva «un movimento che vuole spingere la Corte verso un maggior originalismo. La legge - chiariva Leo - ha un significato ben preciso». Il movimento, dunque, è strettamente legato alla destra americana, ma è soprattutto un codice: per i repubblicani definisce un giudice «non attivista» di sinistra, per i progressisti uno «molto conservatore». Per i sostenitori è la forma più pura di interpretazione del testo, per i detrattori è una filosofia legata invece «al passato discriminatorio degli Stati Uniti». Come ha scritto però il Washington Post, la spiegazione è ben più complessa di queste definizioni che cadono lungo le linee dei due partiti.
«L’originalista originale», come lo ha definito tempo fa Quartz, è stato Antonin Scalia, giudice ultraconservatore nominato da Ronald Reagan nel 1986, che ha reso questo «approccio storico» un popolare argomento di discussione fra giuristi, politici e avvocati conservatori, ma anche fra i liberal. Nei suoi trent’anni di mandato, Scalia ha avuto una profonda influenza sulla Corte Suprema, sostenendo che la Costituzione fosse un testo «morto», non «vivo» e quindi interpretabile. [...]
Il termine è stato coniato all’inizio degli anni Ottanta dall’ex preside della Stanford Law School Paul Brest, che lo usava per definire una posizione che criticava, ma le origini del movimento sono rintracciabili in un articolo scritto dal giudice Robert Bork - nominato da Ronald Reagan alla Corte Suprema nel 1987, ma bocciato dal Senato - sull’Indiana Law Journal nel 1971. Da allora, l’originalismo si è evoluto: se inizialmente si focalizzava «sull’intento» dei costituenti, a partire negli anni Novanta si è concentrato sul testo così come era scritto, dando vita alla corrente del «testualismo», su cui si basa l’originalismo moderno.
Per i conservatori l’originalismo era soprattutto la risposta a quello che consideravano un attivismo progressista, un esercizio politico del potere giudiziario. [...]
Il contributo di Scalia all’originalismo ha però lasciato un segno profondo sulla Corte e sull’intero Paese, al punto che oggi quattro dei cinque giudici conservatori che già siedono nel massimo tribunale - gli altri sono Clarence Thomas e Samuel Alito - si definiscono così. L’unico conservatore a non seguire come «guida esclusiva» il significato originale della costituzione è il presidente della Corte John Roberts, quello che più spesso, in questi anni, ha votato con i giudici progressiti.
https://www.youtube.com/watch?v=IgV9gBxwF1U
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