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A Viareggio una scuola per l'infanzia (un tempo detta asilo) abolisce la festa del papà: «È discriminatoria nei confronti di chi non ha un papà».
I lettori della Nuova Bussola non sprecheranno certo tempo a controbattere questa affermazione: hanno ormai capito benissimo che l'obiettivo non è eliminare le discriminazioni, ma la festa del papà. Se non ci fosse la scusa della discriminazione se ne inventerebbero un'altra, di tipo scientifico («Il papà appartiene al passato, ormai possiamo creare bambini senza un uomo»), antirazzista («San Giuseppe era etero e bianco, non va festeggiato») oppure ambientalista («Le zeppole di san Giuseppe inquinano, la ricetta originale non prevede farine proteiche!») e via delirando. «Tutto ciò che esiste, merita di perire», diceva Mefistofele nel faust di Goethe; «Tutto ciò che esiste, merita di perire», ripetevano appena potevano Marx ed Engels. La festa del papà va abolita, punto. Perché esiste, perché ricorda la legge naturale. Poi un pretesto si trova, uno qualsiasi, anche il più assurdo.
MOTIVI DI UNA FESTA
Ma perché festeggiare la festa del papà? Beh, di primo acchito, direi: per proteggere una specie in via d'estinzione. Ormai gli italiani sono estinti perché hanno smesso di riprodursi; quindi non ci sono più papà. I pochi, coraggiosi pochi papà (i «veri avventurieri», affermava Peguy) vanno onorati e festeggiati; finché ce ne sono. E poi i papà sono maschi eterosessuali, una delle specie animali più odiate del pianeta: come non solidarizzare con queste povere e innocenti vittime?
Al di là di questo, cerchiamo di capire perché è stata istituita, questa festa. Il 19 marzo è la festa dei papà perché è il compleanno del papà più importante di tutti, san Giuseppe. D'accordo, un papà sui generis, considerata la faccenda; però, senza alcun dubbio, un vero padre. San Giuseppe è noto per alcune caratteristiche che lo rendono un archetipo di uomo e di padre. Innanzitutto, san Giuseppe… tace. Come ogni uomo tradizionale che si rispetti e a scorno delle femministe, che vorrebbero gli uomini ciarlieri e piagnucolanti, san Giuseppe, in tutto il vangelo, non pronuncia una sola parola. Però agisce: caspita, se agisce. Avvertito in sogno che la sua famiglia era in pericolo, fa i bagagli ed emigra in Egitto. Già, perché un padre accudisce e protegge, esattamente come fa Giuseppe. Ed è suo l'incarico di sostentare la famiglia («Col sudore della fronte», impone Dio all'uomo, «ti guadagnerai il pane»). Infatti san Giuseppe è un lavoratore, tanto che ha una seconda festa, il 1° maggio, festa del lavoro.
UNA FESTA PLURISECOLARE
La Chiesa ha cominciato a festeggiare san Giuseppe circa un millennio fa. All'inizio, per opera di qualche ordine religioso (Benedettini, Servi di Maria, Francescani); poi, da parte della Chiesa universale con Gregorio XV l'8 maggio 1621 e con Urbano VIII il 13 settembre 1642 (bolla Universa per orbem). Nel 1870, quando la Chiesa attraversava una persecuzione ferocissima da parte dello Stato italiano unitario, papa Pio IX proclamò san Giuseppe custode di tutta la Chiesa con il decreto Quemadmodum Deus. [...]
La festa di san Giuseppe, chiamata anche «festa del papà» divenne anche festività civile con la legge 260 del 1949 e lo restò fino al 1977, quando fu abolita per motivi di «austerità» (sic). Contestualmente, perse lo status religioso di festa di precetto con la nota CEI dell'8 marzo 1977. Ma chissenefrega: resta comunque una bella festa, celebrata ancora in molti comuni italiani. E, soprattutto, ci permette di riflettere sul gran dono che Dio ci ha fatto dandoci un papà e indicando a tutti gli uomini Giuseppe, il giusto silenzioso, come modello ed esempio.
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