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Il ministro della Difesa Guido Crosetto, al termine della riunione dei Ministri della Difesa della Nato, ha dichiarato in merito al conflitto in corso in Israele: all'Italia «preoccupa che non ci sia una escalation, che non ci siano persone che non c'entrano nulla in questo scontro che rimangano in mezzo a quella che è una legittima reazione di Israele».
Da qui un quesito: è moralmente lecito rispondere manu militari agli attacchi del nemico nella consapevolezza che tale risposta comporterà la morte di civili innocenti? Per rispondere occorre applicare il principio del duplice effetto, principio che entra in causa quando un'azione produce uno o più effetti positivi e uno o più effetti negativi. Il principio del duplice effetto consta di quattro condizioni che devono essere tutte congiuntamente rispettate affinché l'azione sia moralmente accettabile.
QUATTRO CONDIZIONI
La prima: l'azione è moralmente accettabile se il suo fine è moralmente buono. Nel caso di cui sopra, Israele usa la forza militare per difendersi. E la difesa, della propria persona o di terzi, compresa un'intera nazione, è un fine buono.
Seconda condizione, implicitamente presente nella prima: gli effetti negativi sono meramente tollerati e non ricercati direttamente. Ad esempio, le eventuali vittime civili del lancio di razzi su obiettivi militari palestinesi devono essere un effetto collaterale, non effetto voluto che si accompagna all'uccisione di militari palestinesi. Un caso contrario, e quindi da condannare, è il seguente: bombardamento a tappeto per colpire obiettivi militari e, congiuntamente, mettere in ginocchio la popolazione civile. Così Gaudium et Spes: «Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato» (80).
Terza condizione (che vedremo rientra implicitamente nella quarta che riguarda il principio di proporzione): lo stato di necessità. Se ci fosse una soluzione per difendersi efficacemente senza spargimento di sangue, nemmeno del sangue dei militari avversari, dovrebbe essere perseguita. Laddove invece fosse necessario rispondere con la forza, si dovrebbe comunque verificare l'esistenza di una soluzione che permetta di evitare la morte di civili innocenti. Qualora fosse assente, allora sarebbe lecito attaccare obiettivi militari pur nella consapevolezza che tale attacco potrà comportare la morte di persone innocenti, ossia di civili.
Quarta condizione, la più rilevante nel caso in esame: la proporzione tra gli effetti positivi e negativi. Occorre soppesare la quantità, la qualità e la probabilità sia dei benefici che dei danni e verificare se il gioco vale la candela. Detto in altri termini, i benefici devono essere maggiori dei danni. Declinato nel nostro caso significa che «il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare» (Catechismo della Chiesa Cattolica, §2309). Ad esempio, un bombardamento a tappeto condotto con lo scopo solo di colpire obiettivi militari sarebbe una soluzione da rigettare perché non rispetterebbe il principio di efficacia: inevitabilmente il numero di civili morti sarebbe certamente superiore a quello dei militari.
UN EFFETTO A CATENA DALLE PROPORZIONI INIMMAGINABILI
All'opposto, se l'obiettivo fosse di natura solo militare e il numero di militari nemici uccisi fosse presumibilmente assai più rilevante di quello dei civili innocenti, l'attacco potrebbe essere giustificato. Usiamo il condizionale perché da alcuni effetti scaturiscono sempre una serie spesso imprevedibile di altri effetti a cascata. Ciò vuol dire, ad esempio, una escalation militare senza fine. E dunque se restringessimo la nostra valutazione morale solo al primo attacco, il quale comportasse la morte di molti militari e di pochi civili, il giudizio sarebbe di liceità dell'attacco. Ma se, doverosamente, allargassimo la valutazione al corso degli eventi futuri dovremmo tener conto di molti altri effetti negativi: l'uccisione degli ostaggi in mano ad Hamas, la risposta dei palestinesi che potrebbe coinvolgere non solo soldati israeliani ma anche le popolazioni civili, gli attacchi di terrorismo anche al di fuori delle zone interessate direttamente dagli scontri, il perdurare del conflitto per molto tempo, etc.
Ecco allora che i criteri indicati dal principio del duplice effetto possono essere anche chiari a livello teorico, ma la loro applicazione nel concreto assai spesso è molto difficoltosa. Arduo infatti prevedere quanti civili innocenti verranno coinvolti dagli attacchi e, soprattutto, quale reazione vi sarà da parte di Hamas nel breve e lungo periodo, sia sul piano interno che internazionale. Un effetto a catena dalle proporzioni inimmaginabili. Qui allora entra in gioco la virtù della prudenza che indica lo strumento più efficace per ottenere il miglior risultato possibile e quindi, nel caso di specie, per evitare danni peggiori.
Nota di BastaBugie: Anna Bono nell'articolo seguente dal titolo "Hamas non ha mai risparmiato donne e bambini" spiega che se noi cristiani abbiamo una morale anche nella guerra, invece gli islamici non risparmiano nemmeno i bambini, né i suoi né quelli del nemico, come si è visto nell'eccidio che ha commesso Hamas in Israele. I bambini sono usati come terroristi suicidi, indottrinandoli sin da subito. Così come ci sono le donne musulmane che si immolano per compiere attentati.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 ottobre 2023:
I militanti di Hamas non hanno risparmiato neanche i bambini. Ne hanno uccisi decine, persino dei neonati, alcuni decapitati. Le notizie che arrivano da Israele in questi giorni suscitano orrore. Apparteniamo a un mondo in cui non si ammette che si possa infierire così su dei bambini. Chi lo fa è un mostro che non ha giustificazioni e che non merita pietà.
Ma dovremmo ormai sapere che invece c'è un mondo in cui l'infanzia non dà diritti né tutele, in cui si possono considerare nemici da abbattere anche i bambini degli avversari, in cui addirittura si concepisce di sacrificare i propri figli: in guerra, mandati a morire, e in pace, uccisi in nome dell'onore famigliare. Quasi ce ne siamo dimenticati, ma quanti bambini sono morti in Israele, straziati dalle esplosioni, all'epoca degli attentati dinamitardi suicidi. Chi più di un bambino poteva passare inosservato i controlli di sicurezza e così ai piccoli palestinesi facevano indossare dei giubbotti pieni di esplosivi, poi li facevano saltare in aria alle fermate degli autobus e sui mezzi di trasporto. Per questo i genitori israeliani non lasciavano viaggiare i figli sugli stessi mezzi e per questo nel 2002 è iniziata la costruzione quella barriera anti-terrorismo che mezzo mondo ha condannato chiamandola "muro dell'apartheid" o "muro della vergogna", e invece ha salvato la vita di centinaia, forse migliaia di bambini palestinesi e israeliani.
I giovani attentatori palestinesi reclutati da terroristi si chiamavano shahid, martiri testimoni della fede, combattenti della guerra santa, il jihad. "Gli shahid costituiscono la forza fondamentale e vittoriosa del nostro popolo - aveva detto nel 2002 il leader dell'Anp, Yasser Arafat, durante un discorso rivolto a dei bambini - il bimbo che afferra un sasso, che fronteggia un tank, non è il miglior messaggio per il mondo quando quell'eroe diventa shahid?". I filmati mandati in onda dalla televisione palestinese mostravano bambini eroi che lasciavano mamma, casa e giocattoli per andare a morire, madri di piccoli shahid in lacrime, ma fiere e felici della decisione dei loro figli. I piccoli palestinesi imparavano a scuola, sui libri di testo e dalle parole dei loro insegnanti, che il martirio è glorioso, apre la strada del Paradiso.
Trasformare i bambini in combattenti, educarli all'odio è una gravissima violazione dei loro diritti. L'estrema perversione è trasformarli in strumenti di guerra. I terroristi di Hamas li usano tuttora come scudi umani, li mandano in avanscoperta lungo i confini con Israele, esposti in prima linea mentre loro restano al sicuro, oltre il raggio d'azione dei militari israeliani. L'esempio è partito dall'Iran, dal regime sciita degli ayatollah. Furono loro a ricuperare l'antica idea del sacrificio di sé come arma di guerra. Durante il conflitto con l'Iraq, dal 1980-1988, i militari, convincendo le famiglie a cederli o sequestrandoli per strada, hanno arruolato decine di migliaia di bambini e ragazzini e ne hanno fatto degli shahid. A tutti veniva data una chiave dorata di plastica da appendere al collo o da stringere in mano. Si dice che ne avessero acquistate centinaia di migliaia. Se fossero morti, assicuravano ai ragazzi e ai loro genitori, con quella chiave avrebbero aperto la porta del Paradiso. In questo modo li convincevano al sacrificio di sé, per la causa suprema della vittoria in nome di Allah. Poi li facevano camminare sui campi minati, per renderli sicuri prima del transito delle truppe, oppure marciare contro il nemico, davanti a tutti. Sul fronte opposto, a volte i militari iracheni, sconvolti, abbandonavano le mitragliatrici e fuggivano piuttosto che sparare su dei bambini che avevano l'età dei loro figli.
Hamas però ha usato anche delle donne, delle mamme, per compiere i suoi attentati dinamitardi. Una delle prime mamme palestinesi a farsi esplodere è stata Reem Salah al-Rayashi, nel gennaio del 2004. Aveva 23 anni, apparteneva a una famiglia benestante e laica, residente a Gaza, aveva due bambini, uno di tre anni e uno di 18 mesi. Ha ucciso quattro israeliani al valico di Erez. Quella di Reem in realtà è stata una esecuzione. La donna aveva avuto un amante, doveva morire per restituire onore alla sua famiglia. Fu il marito, militante di Hamas, a portarla in auto in prossimità del valico e il suo amante fornì la cintura esplosiva. Con ciò quest'ultimo, anch'esso un comandante di Hamas, potrebbe essersi riscattato, evitando la morte che a seconda dei casi i musulmani infliggono anche al seduttore.
Altre donne invece hanno scelto spontaneamente di diventare shahid. A una di queste, Hanadi Jaradat, 28 anni, che nell'ottobre del 2003 ha provocato una strage ad Haifa nel ristorante Maxim dove era entrata portando un neonato in un passeggino, il cantautore italiano Roberto Vecchioni ha dedicato una canzone, Marika. "Canta Marika canta - dicono i versi - come sei bella l'ora del destino, ora che stringi la dinamite come un figlio in seno... canta Marika canta siamo i tuoi occhi siamo il tuo sorriso, canta che Dio ti guarda che anche sulla terra c'è il paradiso, stringiti forte il fiore che porti sotto il vestito nero". Il "fiore" è la carica di esplosivo che uccise 21 israeliani, tra cui tre bambini di 11, 4 e 1 anno, e ne ferì 60.
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