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OMELIE PASQUA DI RISURREZIONE - ANNO C
Veglia Pasquale e Messa del giorno
di Giacomo Biffi
 

1) VEGLIA PASQUALE
Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro


Da questa lunga e suggestiva celebrazione - con l'efficacia propria del mistero liturgico, che sa farci oltrepassare gli spazi e la successione dei tempi - siamo stati portati al cuore dell'universo e al cuore della storia del mondo.
Il cuore della storia del mondo è la Pasqua di Cristo: è il trasferimento di Gesù di Nazaret attraverso la morte e la risurrezione, dall'oscurità dello stato terrestre allo splendore della gloria del Padre. Egli - come nuovo Mosè posto a capo del popolo di Dio, che siamo noi - per primo ha operato questo passaggio di liberazione, perché noi tutti potessimo lasciare i pensieri di disperazione e di morte, che sono propri della condizione umana, per arrivare alla certa speranza della vita vera e senza fine.
Il cuore dell'universo è lui, il Crocifisso risorto nel quale tutte le cose cono state pensate: solo se guardate in lui, se illuminate dal suo Vangelo, se orientate al servizio della sua opera di amore e di salvezza, le realtà dimostrano di possedere un pregio che non si svaluta e un senso che non viene mai meno.
Così è stato stabilito nell'eterno disegno del Creatore; il disegno che in questa veglia siamo andati amorosamente contemplando.
È un disegno che può essere percepito solo dagli occhi resi penetranti dalla fede: i prodigi di Dio restano nascosti a quelli che vogliono tutto ridurre alla misura della loro corta vista e della loro angusta esperienza. La risurrezione di Cristo e la rinnovazione del mondo avvengono nella notte, senza verifiche o testimonianze mondane.
Ma per chi crede e accetta il progetto trascendente del Padre, sta scritto: La notte splenderà come il giorno, e sarà fonte di luce per la mia delizia.

UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ DISUMANA
Se Cristo crocifisso e risorto è il cuore dell'universo, allora comprendiamo perché l'esistenza, la vita associata, il modo generalizzato di convivere e di operare - che oggi non vuol porsi in sintonia col Signore risorto e vivo, e anzi positivamente lo rifiuta - si dimostri senza senno e senza misericordia.
Siamo diventati tecnicamente bravi, abbiamo i mezzi per le indagini più raffinate e i più spericolati interventi sulla natura, sull'economia, sulla stessa psiche dell'uomo; eppure la società che si va progressivamente configurando appare nelle sue consuetudini e nei suoi ritmi sempre più impietosa, sempre più arida, sempre più disumana: senza cuore, appunto.
Se la Pasqua di Cristo è il cuore della storia, cioè l'evento centrale che solo può dare un senso all'avventura enigmatica dell'umanità sulla terra, allora comprendiamo perché questo continuo mutare nelle varie epoche dello scenario offerto all'immutabile tragedia umana, questo succedersi troppo spesso violento di sistemi politici e di ideologie dominanti, questa serie senza fine di sopraffazioni e di guerre, che è la storia, appaia così irragionevole: proprio perché, considerata per se stessa, fuori da ogni prospettiva pasquale, non ha più un significato né un traguardo al suo divenire.
Ciò che stiamo compiendo e vivendo stanotte non è dunque qualcosa di secondario o di marginale. Celebrare o non celebrare la Pasqua - si capisce, non nominalmente o folcloristicamente, ma nella verità delle cose - non è senza conseguenze di rilievo per la vita dell'uomo e per la storia del mondo.

UN ESSERE STRANO
Chi celebra la Pasqua nella verità ha una visione dell'uomo e della storia, della fatica di esistere e della gioia, delle libertà personali e del rispetto della vita e della dignità altrui, che lo colloca ben lontano dalle idee di chi la Pasqua non celebra e perciò non ha punti di riferimento né criteri per una oggettiva valutazione.
Molte volte colui che celebra la Pasqua nella verità sembrerà all'opinione comune e agli occhi delle potenze mondane come un essere strano, un sognatore o un fanatico, o, come capita curiosamente di ascoltare, un integralista. Ma la ragione è con lui; solo lui sa leggere giustamente le cose e gli accadimenti, solo lui in definitiva può vivere con ragionevolezza, perché soltanto la luce della Pasqua può disperdere le tenebre della nostra assurdità esistenziale.
Anche le prime testimoni di Gesù vivo e Signore - Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo - hanno sperimentato l'incomprensione: le loro parole - ci ha detto il Vangelo - parvero «come un vaneggiamento». Ma avevano ragione loro: il loro annuncio - non lo scetticismo saputo degli altri - ha percorso la terra, rinnovandola e facendovi fiorire la gioia.
Questa è anche la nostra sorte e la nostra missione. Il messaggio, che noi da questo rito vogliamo recare con la nostra fede operosa in ogni angolo della città degli uomini, e l'avvenimento, di cui siamo chiamati a dar garanzia con la nostra vita, potranno anche non essere accettati, potranno perfino essere irrisi. Ma dall'accoglimento di questo messaggio di risurrezione e dal riconoscimento di questo avvenimento rinnovatore dipende la salvezza della ragione in questo nostro tempo dotto e farneticante; dipende anzi la stessa sopravvivenza della famiglia umana, insidiata com'è da una cultura egoista che ha come suo logico approdo la sterilità, lo scetticismo, la morte.
Noi però abbiamo una fiducia che nessuna delusione potrà far mai vacillare, perché ci viene proprio dalla realtà perenne della Pasqua. Il Signore è vivo e «la morte non ha più potere su di lui»; e se il Signore. è vivo, la sua Chiesa non muore; se il Signore è vivo, anche noi siamo vivi per lui; se il Signore è vivo, tutta l'umanità possiede una speranza sempre rinascente di salvezza e di vita.

2) MESSA DEL GIORNO DI PASQUA
Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino


Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone (Lc 24,34). Questa è la prima espressione della fede pasquale da parte degli apostoli, di quegli uomini, cioè, che poi avrebbero fatto della testimonianza resa al Cristo vincitore della morte il senso e lo scopo di tutta la loro vita.
Percepiamo in queste parole lo stupore per un avvenimento inaudito, la primizia di una immensa speranza, come l'aurora di una luce consolante che solo da pochi istanti aveva rotto le tenebre di uno sconforto che in quegli uomini dopo la scena spaventosa del Golgota pareva definitivo.
Al tempo stesso sentiamo in questa frase una immediatezza, un tono familiare, quasi una freschezza non letteraria che ci garantisce della sua autenticità: Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone.
Per la verità da molte ore avevano trovato il sepolcro di Cristo scoperchiato e vuoto; ma il sepolcro vuoto era servito a gettarli nello sconcerto, non era bastato a fondare una certezza troppo bella per essere persuasiva. Sì, fin dalla mattina avevano ascoltato alcune donne che asserivano di aver visto vivo il Nazareno; ma alle donne in queste cose - pensavano quei semplici e concreti pescatori di Galilea - è meglio non prestare troppa attenzione: «Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse» (Lc 24,11).
Ma, in un momento imprecisato di quel giorno fatale, il Maestro, che essi avevano visto morire dissanguato sulla croce, appare anche a Simon Pietro, appare cioè a colui che era stato costituito loro capo; e allora le cose cambiano: Pietro non è un uomo che patisca allucinazioni, lo conoscono bene, a lui si può dare credito. In lui, per così dire, è tutta la Chiesa che accoglie la straordinaria notizia che da allora non ha più finito di risuonare: «Il Signore è risorto».
Il colloquio tra Gesù redivivo e l'apostolo che aveva tradito non ci è riferito da nessun vangelo: è rimasto un segreto racchiuso nel cuore del più diretto interessato. Ma da quell'incontro - che sarà seguito verso sera da quello con tutto il gruppo degli Apostoli radunato - incomincia ufficialmente la proclamazione ecclesiale: «Davvero il Signore è risorto».

I DISCEPOLI DI EMMAUS
Al tramonto di quello stesso giorno però Gesù, dimostrando di essere sovranamente libero nella scelta dei suoi testimoni, si era rivelato a due personaggi del tutto secondari, che compaiono qui per la prima volta e poi non saranno più ricordati nella storia delle origini cristiane. L'episodio ci è raccontato dalla suggestiva pagina di san Luca che abbiamo ascoltato.
Se con l'apparizione a Pietro e agli Undici viene dato il fondamento a tutta la predicazione della Chiesa, con l'apparizione ai due sconosciuti discepoli ci è detto che ogni uomo - pur desolato e dubbioso e senza speranza - alla fine può e deve arrivare alla fede.
In Clèopa e nel suo anonimo compagno ciascuno di noi può riconoscere se stesso, e può riconoscere anche tutta la famiglia umana nei suoi rapporti con Cristo.
I due viaggiatori materialmente non mancano di una mèta: sono diretti a Emmaus. Ma spiritualmente non hanno più una prospettiva: camminano, ma non sanno più verso dove; vivono, ma non capiscono più per che cosa.
Avevano avuto una speranza, per così dire, «politica»: la liberazione della loro terra dall'oppressione straniera.
«Noi speravamo - dicono - che fosse lui a liberare Israele». Adesso tutto ai loro occhi sembrava crollato, e invece tutto stava per cominciare. Pensavano di essere ormai preda dello scetticismo, e non erano mai stati così vicini alla verità.
È un po' la situazione che stiamo tutti vivendo. Dopo aver sperimentato il tramonto sanguinoso dei miti del nazionalismo, della razza, della violenza presentata come il motore della storia (che cinquant'anni fa parevano forti e vincenti), il nostro popolo sta assistendo disorientato al declino della più affascinante e drammatica utopia che sia mai comparsa sulla faccia della terra. Dopo cento anni di illusioni e cento milioni di innocenti inutilmente uccisi, la grande menzogna comincia adesso a essere vista nella sua tragica inconsistenza. «Noi speravamo», si dicono in fondo al loro cuore deluso quanti - di quelli che si erano lasciati sedurre - vogliono ancora essere un po' onesti con se stessi.
Noi ci chiediamo: di chi sarà questa gente, che comincia a dubitare dei propri dogmi e delle proprie bandiere? Dove andranno questi uomini che non hanno più un ideale, neppure quello falso e impietoso che li ha finora arruolati?
Ci auguriamo che non finiscano nella religione del niente sontuosamente rivestito di cultura, di tecnica, di esasperato edonismo. Ci auguriamo che si accorgano del Divino Viandante, il quale, silenziosamente ma tenacemente, si è messo accanto a tutti noi che percorriamo il cammino penoso dell'esistenza e vuole guidarci a poco a poco a riconoscerlo «nello spezzare il pane». Ci auguriamo che abbiano il coraggio di ripercorrere a ritroso la via del loro smarrimento fino ad arrivare a Gerusalemme, fino a tornare all'antica madre che non ha cessato di amare e di attendere tutti coloro che per vari malintesi si sono allontanati da lei, fino a riscoprire la verità e la bellezza della Chiesa apostolica che custodisce sempre fresco e giovane l'annuncio pasquale e offre a tutti l'energia salvifica del Risorto.

RICONOSCERE CRISTO VIVO E PRINCIPIO DI VITA
Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. È difficile trovare parole che descrivano con più nitidezza ed efficacia la situazione nostra e di tanti nostri contemporanei.
Molti pensano di essere lontani da Dio, da Cristo e dalla Chiesa; non è vero. Come possono essere lontani, se Gesù non cessa di star loro vicino e, anche se non se ne avvedono, cammina con loro sulla strada della vita? Non c'è lontananza da parte sua, c'è piuttosto incapacità da parte nostra di vederlo per quello che è, a causa dei molti pregiudizi, degli interessi contrastanti, delle reciproche incomprensioni delle parti.
Ma l'esito rasserenante del racconto evangelico ravviva la nostra fiducia: Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Riconoscere Cristo vivo e principio di vita, questa è la grazia più bella e più alta che siamo invitati a chiedere in questo giorno di Pasqua.
Il Signore ci è accanto quando abbiamo qualche amarezza e qualche ragione di sofferenza: è l'unico che non abbandona. Il Signore ci è accanto anche quando percorriamo i campi nebbiosi del dubbio o quelli infecondi dell'incredulità. Il Signore ci è accanto anche quando sbagliamo e prevarichiamo: il Salvatore, che ha versato il suo sangue per tutti, non si rassegna mai alla perdita di qualcuno dei suoi fratelli.
Certo tutti noi abbiamo qualche volta l'impressione che stia calando la notte su un'esistenza che diventa sempre più opaca e senza incanti, e su un'umanità che sempre meno capisce quale sia il suo vero destino e dove stiano i percorsi giusti per arrivare alla gioia.
In quei momenti la preghiera dei due discepoli di Emmaus sembra venire proprio dal nostro cuore: Resta con noi, Signore, perché si fa sera e il giorno volge al declino. Quando l'uomo arriva alla sincerità di questa implorazione, è arrivato già alla salvezza.

 
Titolo originale: La rivincita del crocifisso
Fonte: La rivincita del crocifisso