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Bisognerebbe tenere a mente certe nozioni di storia e di geografia nel dibattito pubblico e non sempre accade. Per esempio, consideriamo la differenza fra l'Europa e l'Unione Europea.
L'Europa è un continente che va dall'Atlantico agli Urali, come ricordava Giovanni Paolo II sottolineando la sua identità giudaico-cristiana e la sua eredità greco-romana. Comprende 43 Stati più alcuni transcontinentali.
Invece l'Unione Europea comprende 27 Stati che, da qualche decennio, hanno sottoscritto un trattato internazionale.
Molti Paesi non hanno sottoscritto tale Trattato e non sono nella UE, ma fanno parte dell'Europa, da sempre: per esempio Svizzera, Russia, Gran Bretagna (uscita di recente dalla UE), Islanda, Norvegia, Ucraina, Albania, Serbia eccetera.
Ebbene, questa distinzione (fondamentale) talora si perde forse per l'abitudine erronea di chiamare "Europa" quella che invece dovrebbe essere chiamata "Unione Europea" (c'è anche, in tale brutta consuetudine, una certa arroganza politica).
Questo ha finito per dare origine a equivoci ed errori stupefacenti. Lo si è visto in certe cronache del Campionato europeo di calcio 2020, che è la sedicesima edizione del torneo organizzato dall'Uefa e disputato nel 2021 a causa del Covid.
Tale campionato non riguarda i paesi dell'Unione Europea, ma i Paesi dell'intera Europa affiliati alla Uefa, infatti - come ricordiamo - hanno partecipato le Nazionali di Svizzera, Russia, Turchia e Ucraina che non fanno parte della Ue.
La loro stessa presenza avrebbe dovuto far ricordare a tutti la distinzione fra le due diverse entità: l'Europa (il grande continente dalla storia antica) e l'Unione Europea (la piccola e arrogante organizzazione internazionale istituita con un recente Trattato). Invece no.
SOVRANISMO?
Per esempio, sulla "Stampa" (7/7) un articolo di Gabriele Romagnoli è uscito con questo sottotitolo: "Con tutte le tentazioni sovraniste e le recriminazioni anti-comunitarie incredibilmente andiamo a rappresentare in finale lo sfinito continente".
Cosa c'entrano il sovranismo e le "recriminazioni anti-comunitarie" con il calcio non si sa. Ma soprattutto cosa c'entrano con un campionato che non riguarda la UE, ma l'Uefa e il continente (europeo)?
Speravo in una forzatura del titolista e invece è proprio farina del sacco di Romagnoli che così inizia il suo pezzo: "Incredibilmente l'Europa siamo noi. Con tutte le tentazioni sovraniste e le recriminazioni anti-comunitarie va l'Italia a rappresentare lo sfinito continente, forse proprio contro chi ha preferito uscire dalla sua storia se non dalla sua geografia".
Allude alla Gran Bretagna (confusa con la sola Inghilterra).
BREXIT
Maurizio Crosetti che sulla prima pagina di "Repubblica" (4/7) esordisce così: "Gli inglesi non sono mai stati più dentro l'Europa da quando hanno deciso di chiamarsene fuori".
Allude al fatto che la Gran Bretagna (non la sola Inghilterra) è uscita dalla UE: secondo lui è uscita dall'Europa.
Poi prosegue: "Gli manchiamo da morire e ce lo fanno sapere su un campo di calcio... L'Europa che disprezzano ora la rivogliono tutta". Secondo Crosetti "gli inglesi... giocano una partita mascherata... solo perché la vecchia, gloriosa, amata Europa li riprenda indietro".
Titolo dell'articolo in prima: "L'Inghilterra ora rivuole l'Europa". E all'interno: "Nostalgia dell'Europa".
P.S. La Gran Bretagna non solo ha deciso la Brexit con un referendum, ma l'ha confermata dando il trionfo a Johnson alle elezioni politiche. Fuori dalla UE, non dall'Europa.
Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo seguente dal titolo "Il tifo per gli Azzurri, l'unico nazionalismo accettato" spiega perché i festeggiamenti per le vittorie della nazionale italiana sono le uniche forma socialmente accettate di nazionalismo, sovranismo, orgoglio nazionale. Per capire questo bisogna ricordare che la nazione non è lo Stato (che, anzi, tende a soffocarla).
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'11 luglio 2021:
Domandiamoci: cosa è stata questa nazionale in questo Europeo per i nostri concittadini, almeno per quelli in cui batte un cuore azzurro?
Di certo una boccata di ossigeno, una di quelle senza mascherina, per intenderci. Sarà un luogo comune, anzi affollato quello di dire che la nazionale ha restituito un po' di serenità al popolo italico dopo un anno e passa di pandemia, ma nel fondo di ogni luogo comune spesso c'è un pizzico di verità. Vederli giocare in modo convincente e poi vincere ha compensato un poco le scelte vessatorie di chi fa il Commissario tecnico dell'Italia, ma che non siede in panchina, bensì al governo e in parlamento. Ad un gol di Chiesa il ricordo dei plurimi lockdown si faceva un poco più appannato, ad uno di Locatelli l'autocertificazione pareva solo un brutto sogno, ad uno di Immobile il coprifuoco sembrava un termine che si potesse applicare solo ai tempi di guerra. L'Italia divisa in zone rosse, arancioni, gialle e bianche, grazie a Mancini è diventata tutta azzurra.
Sarà solo retorica questa - qualcuno penserà - ma è quella buona che nasce dai sentimenti, costumi e tradizioni condivise. Ossia nasce dal sentimento patrio che è vero che riemerge solo quando undici giocatori in maglia azzurra scendono in campo, ma almeno riemerge e questo è più importante di quello che sembri. Infatti l'euforia collettiva e clacsonara che inebria molti è prova provata che esiste la Patria, realtà di diritto naturale incisa a lettere di fuoco nell'anima di tutti e quindi nell'anima di un intero popolo. La differenza tra il tifo per un club di calcio e il tifo per una nazionale sta proprio qui: nel primo caso esprime una fede calcistica per una squadra che può anche rappresentare sul campo l'identità di una città, ma non sempre accade. Oppure, insieme a questa prima eventualità, esprime l'appartenenza ad una storia di un team che ha un suo profilo, un suo carattere con cui ci sentiamo legati. La nazionale invece rappresenta, banale a dirsi, un'intera nazione che è concetto ben diverso da quello di Stato. Con il primo termine si intende l'insieme di tradizioni, costumi, norme non scritte, sensibilità, etc. che innervano un intero popolo, che gli dà forma. Il secondo indica quell'ente che racchiude in sé una serie di apparati per la gestione del res publica su un dato territorio. La nazione è l'anima di un popolo, lo Stato spesso soffoca quest'anima. Di più: nessuno andrebbe a fare caroselli per lo Stato italiano perché, almeno il nostro, è una istituzione senz'anima.
Dunque la Patria e la Nazione esistono e il nostro entusiasmo per ogni pallone buttato in rete dai scarpini azzurri lo testimonia. Allora la nazionale, per paradosso, è diventato l'ultimo baluardo di un sovranismo e di un nazionalismo ancora accettati. Una sorta di riserva indiana in cui ancora è permesso esibire l'orgoglio italico, esultare perché si è migliori di altri almeno a calcio (la più grande bestemmia esistente contro la divinità del politicamente corretto è affermare che qualcuno o qualcosa è migliore di qualcun altro o di qualcos'altro), indulgere in sfottò ai danni di cittadini extraitalici. Un'enclave dove essere fieri di essere italiani, dove si custodisce, seppur sotto le semplici sembianze sportive, la nostra identità, ma non quella artefatta e adulterata fatta inclusività arcobaleno, Ddl Zan, reality Tv, desertificazione nelle chiese e nelle culle, vite da influencer e marce contro il surriscaldamento globale, ma quella autentica e solo apparentemente retorica cesellata lungo i secoli dai nostri poeti, dai nostri pittori, dai nostri musicisti e dai nostri santi. E cosi quando [...] esulteremo questa sera dal divano di casa insieme ad amici o parenti, noi in modo indiretto e del tutto inconsapevole daremo gloria a Dante, a Michelangelo e a San Francesco. [...]
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