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« Torna agli articoli di Cristina Siccardi
Questa settimana inizia il nuovo anno scolastico. Gli studenti e i loro genitori, i professori e i dirigenti scolastici di fede cattolica sono soddisfatti delle scuole, di cosa si insegna, di come si insegna, dei libri di testo? La scristianizzazione, lo si dice troppo poco e senza analisi appropriata, è avvenuta soprattutto grazie agli ambienti scolastici, anche quelli che si dichiarano cattolici.
È innegabile che in Europa, come negli Stati Uniti d'America, i sistemi scolastici hanno una comune eredità di origine religiosa. La relazione fra religione cristiana e scuola è un dato essenziale: in Occidente le scuole sono una filiazione del Cristianesimo. Quando le forze liberali e massoniche hanno voluto emancipare la formazione culturale dall'Istituzione ecclesiastica è iniziato il tracollo: la secolarizzazione è entrata nell'educazione delle popolazioni fino a prenderne il possesso arrivando, oggi, a non avere neppure più l'insegnamento della religione cattolica all'interno delle ore che ad essa dovrebbero essere dedicate.
La laicizzazione si è diffusa ovunque soprattutto con la Rivoluzione Francese e la progressiva separazione fra Stato e Chiesa. Malgrado lo Statuto Albertino del 4 marzo 1848, poi costituzione del Regno d'Italia, affermasse che «la Religione Cattolica, Apostolica Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alla legge» (art. 1), la politica di secolarizzazione scolastica si diffuse anche in Italia.
La prima legge che rivela l'impronta liberal-massonica, fu la legge Boncompagni (1848), allora presidente della camera dei deputati del Regno di Sardegna. Nella stessa prospettiva di Cavour, Bon Compagni sosteneva una posizione liberale molto netta: «Voglio la libertà per la Chiesa, come la voglio per tutte le altre comunioni dissidenti; voglio la libertà del cattolico come quella dell'incredulo; voglio la libertà per la Chiesa come la voglio per lo Stato, come la voglio pel comune, come la voglio per la scuola, come la voglio per l'industria, come la voglio per tutto ciò che rappresenta un grande interesse ed un grande principio» (in A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia. Dalla unificazione a Giovanni XXIII, Torino 1965, p. 38).
Questa visione culturale, propagatasi nel XIX secolo (il motto di Cavour «libera Chiesa in libero Stato» è in realtà attribuibile al teologo protestante svizzero Alexandre Vinet), diventerà con gli anni la griglia filosofica di tutte le discipline scolastiche, compreso l'insegnamento della religione. Ma che cosa significa nel 2013 «ora di religione»? Tutte le religioni sono poste allo stesso livello, dunque sarebbe più appropriato chiamarla «ora del fai da te religioso» con l'avallo delle autorità ecclesiastiche, visto che l'art. 9.2 del nuovo Concordato fra Stato e Chiesa del 1984 – là dove si afferma che la Repubblica italiana riconosce «il valore della cultura religiosa» in senso generale – non propone alcuna identificazione della cultura religiosa con la tradizione del cattolicesimo italiano.
D'altra parte la prestigiosa Enciclopedia Treccani si fa latrice di un ancora più intenso insegnamento multireligioso: «Ci si accorgerà che la soluzione trovata nel 1984, con la distinzione fra "coloro che intendono avvalersi" e "coloro che intendono non avvalersi" dell'insegnamento della religione è essa stessa testimonianza di una cultura religiosa sostanzialmente parziale, il cui esito ultimo è di mortificare docenti e discenti»; si invoca il «dialogo» e il «riconoscimento di una pari dignità fra le diverse religioni». Il "mitico" dialogo ci ha condotti alla Babilonia scolastica attuale, dove i nostri figli, tornando da scuola, smarriti e confusi, ci dicono: «L'insegnante di religione mi ha deriso davanti a tutti perché credo ancora al peccato originale e all'Inferno».
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