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Niente di clamoroso, niente di strano. Una lista elettorale contro l’aborto, una lista di scopo, non vuol dire quello che non vuol dire, non è una «discesa in campo» per fare politica nel senso più ovvio del termine e non è un grido per punire legalmente le donne in gravidanza od obbligarle a partorire. Queste sono deformazioni barbariche e violente. Ma allora che cos’è? Molto semplice rispondere. Un gruppo di persone si mette insieme, spende i suoi soldi e il suo tempo, impegna parte della sua vita per dire una cosa che ha un peso civile almeno eguale alla mancanza del ponte di Messina e all’invadenza fiscale. Che cosa? Che 1 miliardo di aborti in trent’anni sono troppi, che 50 milioni di aborti l’anno sono troppi per questo mondo. Che la pretesa eugenetica di selezionare la vita scegliendo chi debba vivere, invece di curare tutti, cambia la natura della civiltà umana, e in peggio, molto in peggio. Che bisogna stabilire il diritto alla vita «dal concepimento alla morte naturale» nella Carta delle Nazioni Unite, perché decine di milioni di madri sono state costrette in Asia ad abortire, o incentivate a farlo dalle politiche pubbliche delle tirannie là dominanti, e decine di milioni di bambine nasciture sono state uccise solo perché di sesso femminile. La conseguenza è quella tratta da Joseph Ratzinger in una sua vecchia conferenza di teologo: «L’amore e il buonumore sono stati dichiarati eretici». Nel momento in cui la vita nascente viene considerata un pericolo, una malattia da «curare» con l’uccisione del malato, un omicidio perfetto che lo esclude da tutto il suo futuro possibile, noi non scegliamo la libertà e l’autodeterminazione della donna: scegliamo di programmare la nostra infelicità. Punto. Una lista elettorale può occuparsi del bene e del male e della loro lotta vecchia quanto il mondo? C’è il rischio dell’integralismo o, addirittura, del fanatismo? Voltarsi dall’altra parte quando sia in ballo la vita negata è sicuramente un atto di cinismo volgare, ma è vero che prendere di petto una questione che entra nelle vite personali fa correre dei rischi. Come si evitano? Dipende da quello che si sente, che si pensa, che si dice. Se tu affermi: voglio obbligarti a partorire, sei un fanatico. Se aggiungi: voglio punirti penalmente perché rifiuti la maternità, sei un fanatico. Ma se tu dici, come la lista per la vita e contro l’aborto dice: voglio che la donna incinta sia un «soggetto sociale privilegiato», voglio che sia libera di non abortire per ragioni materiali, di solitudine anche psicologica e morale, voglio che la cultura del mio tempo non la inganni e non le proponga la soluzione comoda dell’aborto come un mezzo di contraccezione moralmente indifferente, allora non sei né un fanatico né un cinico, sei un essere umano razionale. Uno che vuole dare il suo piccolo contributo a restaurare amore e buonumore nel tempo in cui gli tocca vivere. Sono un giornalista che ha passione politica. Guadagnavo bene e vivevo molto tranquillo come anchorman di una piccola tv. Non avrei mai pensato di fare quel che faccio adesso: candidarmi con una lista contro l’aborto, candidarmi a fare il ministro della Salute nel mio Paese, diventando il bersaglio di una campagna di odio civile che le mie idee non meritano. Se lo faccio è perché credo che molta gente è esausta, affaticata dal vuoto che la circonda e che le entra nell’animo. Non sono un frate, sono pieno di peccato e di piccole colpe specifiche, non ho nemmeno la grazia della fede cristiana o di altra fede. Se perdo, continuo in altre forme. Se continuo senza rischiare di perdere, perdo. Il mio amico Silvio Berlusconi ha detto che lui sta faticando per mettere insieme 18 liste, e io ne faccio un’altra. Non è un’altra lista, Cavaliere, è un’altra cosa.
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