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« Torna agli articoli di Giuliano Guzzo
Festival dell'omologazione, del gender, non più della canzone. Meriterebbe di esser ribattezzato così, a partire dal prossimo anno, Sanremo che, con l'edizione 2023, ha definitivamente concluso la sua mutazione: da evento nazionalpopolare a kermesse liberal e progressista, da trasmissione per far divertire tutti a programma per indottrinare tutti. Le prove della drammatica metamorfosi sono talmente tante che c'è l'imbarazzo della scelta. Anzitutto c'è stata lei, Chiara Ferragni, che, dopo aver debuttato leggendo una bella letterina a se stessa - in caso qualcuno ancora dubitasse quanto le sia caro l'ego -, ha alternato abiti molto discutibili fino alla serata finale, quando ha sfoggiato un collana dalla forma emblematica: quella di un utero composto da sezioni di corpo femminile, simbolo di attivismo per «i diritti riproduttivi», come viene ingannevolmente chiamato l'aborto volontario.
ROSA CHEMICAL E FEDEZ
Degni di nota, restando in tema di conduttrici con il pallino per le omelie laiche, anche i monologhi della pallavolista Paola Egonu - icona del «fluido in amore» che ha voluto ricordare al Paese grazie quale ha potuto affermarsi quanto sarebbe «ancora razzista» - e dell'attrice Chiara Francini, che ha voluto far sapere a tutti quanti che, "beata lei", vive in un Paese - non certo l'Italia che ha tassi di natalità cimiteriali - in cui, ad un certo punto «tutti intorno a te cominciano a figliare». Gran e sorridentissimo cerimoniere di tutto l'ambaradan, come noto, è stato Amadeus, conduttore secondo cui bisogna «spiegare ai bambini che esiste un uomo che ama un uomo e una donna che ama una donna e che questo è normale».
Una domanda dunque sorge spontanea: si deve considerare una «spiegazione ai bambini» pure l'amplesso mimato tra Rosa Chemical e Fedez, i quali non si sono risparmiati neppure un bel bacio omo in diretta? Oppure lo si deve considerare diversamente, quel gesto che offende anzitutto il buon gusto, questo sconosciuto? Sarebbe davvero interessante capirlo.
Allo stesso modo, restando al "mitico" Rosa Chemical, sarebbe utile comprendere se egli abbia la licenza di far qualsiasi cosa - come ha fatto alla fine dell'esibizione in coppia con Rose Villain, mostrando un sex toy strillando: «Viva l'amore, viva il sesso, libertà» (che l'originalità!) - o se ci sia un codice di decenza minimo da osservare e, in caso che così non sia, come sembrerebbe, perché diamine non lo si rivela apertamente.
LE CANNE SONO UNA COSA POSITIVA?
Non è finita. Altro dubbio che sorge: secondo i responsabili del festival, le canne sono una cosa positiva? Le cosiddette "droghe leggere" il cui consumo, non di rado, è solo l'inizio d'una dipendenza che può portare - e spesso ha portato e purtroppo ancora porta - all'autodistruzione, per i vertici Rai rappresentano qualcosa da proporre al pubblico? E se così non è, scusate, dove sono almeno i richiami per quel «Giorgia legalizzala» (riferito alla cannabis) urlato dagli Articolo 31 e dal solito Fedez?
La domanda più importante, e forse anche più scomoda, è però un'altra: cosa aspettano le istituzioni, incluso il Governo, a smantellare questo carrozzone ideologico che, purtroppo, è diventato il festival di Sanremo, con le canzoni ridotte a contorno e il trionfo di Marco Mengoni quasi a varia ed eventuale? Tra gli aiuti in Turchia e Siria martoriate dal sisma, il contrasto ai rincari, la guerra in Ucraina e i delinquenti che vorrebbero cestinare il 41bis, è comprensibile che l'esecutivo in questi giorni abbia tutt'altre questioni sul tavolo. Ci sta. Ma quanto accaduto a Sanremo in questi giorni pare davvero troppo grave per lasciar correre.
Sappiamo che diversi esponenti di Fratelli d'Italia, e non solo, si sono indignati per lo show - l'ennesimo - del marito di Chiara Ferragni che da una parte ha strappato davanti alle telecamere una foto del viceministro alle Infrastrutture, Galeazzo Bignami, e dall'altro ha attaccato il ministro per la Famiglia Eugenia Roccella. Una indignazione - per Bignami - sacrosanta, intendiamoci. Però non basta. Beninteso: non si tratta di instaurare alcuna forma di controllo a scapito della libertà di nessuno, tanto meno degli artisti. Tuttavia, va compreso - a proposito di «diritti», ormai parolina passepartout per legittimare qualsiasi cosa - che esistono anche quelle delle famiglie italiane a non essere esposte a volgarità a raffica e dei più piccoli a non essere scandalizzati e bombardati di messaggi negativi. E appunto sono stati, i messaggi negativi, i veri protagonisti del fu festival della canzone, ormai ridotto - lo ripetiamo - a sinistra fiera dell'omologazione e della sessualità fluida.
Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano nell'articolo seguente dal titolo "È Sanremo o la festa dell'Unità? Al governo va bene così" spiega perché il governo Meloni rinuncia a contrastare la deriva ideologico-propagandistica e va al traino della Sinistra.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 10 febbraio 2023:
E con Paola Egonu, che ha accusato l'Italia di essere un Paese razzista, il Festival di Sanremo è diventato ufficialmente la Festa dell'Unità. La pallavolista ha rivendicato con orgoglio il suo essere nera e sessualmente fluida e lo ha fatto servendosi del palco messogli a disposizione all'Ariston dalla tv di Stato nella terza serata del Festival. In pratica: accusa di razzismo il Paese che le ha regalato il pass per diventare un personaggio mediatico non in virtù dei suoi meriti sportivi, ma per le sue idee politiche.
Prima di lei c'era stato Fedez, che, con il doppio attacco, prima al viceministro delle Infrastrutture Bignami del quale aveva strappato una sua vecchia foto di Carnevale vestito da nazista e poi al ministro della Famiglia Eugenia Roccella per aver definito l'aborto «purtroppo un diritto», ha mostrato che il rap al servizio della propaganda politica non è arte. E prim'ancora Amadeus, che aveva invitato il ministro Salvini a guardarsi un film sabato sera e messo in guardia i "bacchettoni" spiegando che il «compito della tv è quello di educare che è normale che un uomo ami un altro uomo».
Il tutto con la benedizione di Mattarella.
La sfida al governo Meloni è lanciata col ghigno e l'arroganza dei primi della classe, utilizza i palinsesti della tv pubblica e i soldi dei contribuenti e gli ultimi episodi vanno ad aggiungersi ad una serie infinita di operazioni di propaganda, che nulla hanno a che fare con la cultura, ma semmai con il kulturame egemonico di Sinistra. Sembra quasi che, orfana di un posto al governo, la Sinistra abbia voluto occupare Sanremo riversando tutto il suo catalogo: cantanti stonati e ideologizzati che teorizzano nuove forme di amore, tra il promiscuo e il perverso; ricchissime influencer incapaci di qualunque slancio artistico se non quello del fiuto per gli affari; nani e ballerine a corredo di un'operazione che il centrodestra digerisce a fatica, ma che è incapace di contrastare con un'adeguata reazione, se non altro di indignazione.
Ci ha provato Vittorio Sgarbi a farlo: ha detto che «Benigni e Fedez sono artisti obbligatori, una tassa che lo Stato deve pagare per dare spazio a esponenti di Sinistra o vagamente transgender». Ma Sgarbi, si sa, è un battitore libero. Il resto del governo, finché può, cerca di starsene zitto, in ritirata, ripiegato sul conformismo dominante, incapace di provare a esprimere un'idea di cultura che, anche se non necessariamente controegemonica, per lo meno sia capace di esprimere sentimenti e valori condivisi da un popolo o che non urtino la sensibilità della sua maggioranza silenziosa.
E per forza. Si conferma il problema già sollevato su queste colonne in occasione del voto parlamentare sulla legge 194 di un centrodestra che non ha una cultura politica, che «si è totalmente appiattito sul "fiore all'occhiello" della cultura del post-illuminismo borghese, dell'individualismo narcisistico, dell'emotivismo etico, della cultura postmoderna dei nuovi diritti».
Non è un caso che per un Sottosegretario alla cultura che parla, ce ne sia un altro che invece cerca di starsene fuori dalle polemiche. E non è un sottosegretario di poco conto dato che Giorgia Meloni gli ha affidato non solo la cultura, ma persino la delega agli spettacoli.
Al grande pubblico il nome di Gianmarco Mazzi non dice granché, ma il suo essere un importante impresario del mondo dello spettacolo lo mette tra i protagonisti dei Sanremo degli ultimi 15 anni. È stato infatti per diverse edizioni (sotto la conduzione di Bonolis, Panariello, Antonella Clerici e Gianni Morandi) il direttore artistico del Festival e recentemente ha collaborato proprio con Amadeus per le precedenti edizioni del '20, '21 e '22.
Ebbene. Proprio Mazzi, nonostante sia Sottosegretario alla cultura con delega agli spettacoli, preferisce non commentare la deriva politico-ideologica che ha preso la kermesse in corso in Riviera. Eppure, nel suo ruolo qualcosa potrebbe e dovrebbe dirlo.
La Bussola lo ha cercato per commentare gli ultimi sviluppi, partendo dal caso Rosa Chemical che ha visto sulla graticola la sua compagna di partito Maddalena Morgante: «Non parlo di Sanremo, non mi interessa», è stata la sua cortese, ma imbarazzata risposta alla nostra richiesta.
In compenso, Mazzi parteciperà in rappresentanza del governo agli Stati generali della canzone che si terranno proprio stamattina a Sanremo, nel contesto del Festival. Le agenzie hanno rimarcato che per lui sarà anche l'occasione di ritrovare Amadeus, con il quale ha firmato le precedenti edizioni. Certo, quest'anno Mazzi non è stato coinvolto nell'organizzazione, visto il suo nuovo ruolo politico scaturito con le elezioni di settembre, ma il fatto che sia di casa è testimoniato anche dallo stesso sito del Mibac, dove compare il suo ricco curriculum nel settore dell'intrattenimento canoro e dove figura come collaboratore nell'organizzazione del Festival anche per le annate 2023 - quella in corso - e 2024. Almeno, aggiornare la pagina potrebbe essere un gesto di sensibilità istituzionale, onde evitare di suscitare sospetti di coinvolgimento.
Sia come sia, la deriva del Festival non è cominciata quest'anno, ma va avanti da anni e in questi ultimi in particolare, con la conduzione di Amadeus, ha conosciuto un'accelerazione in fatto di provocazioni sui temi più sensibili. Ricordate le blasfeme interpretazioni di Achille Lauro e Fiorello che avevano fatto sobbalzare il vescovo di Sanremo? A guidare la macchina del palinsesto con Amadeus c'era proprio Mazzi. E non si ricordano prese di posizione particolari da parte sua, anzi, quando ha potuto, ha persino sostenuto certe discutibili performance come quando l'anno scorso ha difeso la presenza di Drusilla Foer (al secolo Gianluca Gori) perché «rappresenta il teatro». Solo che Drusilla non è un "grande e irreprensibile Giorgio Albertazzi" reincarnato, ma uno dei simboli più à la page della fluidità sessuale declinati in ambito artistico. Come si fa a questo punto a combattere il gender nelle scuole come promesso in campagna elettorale?
Inutile, dunque, pretendere, con queste premesse, che Sanremo sia qualcosa di diverso dal pensiero unico dominante per il solo fatto che adesso c'è un nuovo governo e sperare che la musica cambi. La presenza di Mazzi ai Beni culturali e il suo silenzio sugli ultimi attacchi al governo che era stato votato per promuovere una sensibilità diversa, è la prova che anche sul versante della battaglia culturale, la sfida è già persa in partenza e nemmeno giocata.
La Sinistra avrà pure perso le elezioni, ma governa ancora il Paese con le sue idee, il centrodestra non può far altro che assimilare e incassare perché in fondo non ha nessuna intenzione di proporre una cultura alternativa che sia però maggioritaria, popolare e maggiormente educativa sul piano dei valori. In poche parole: una cultura migliore per un popolo che non si merita il birignao sulla libertà di parola e allo stesso tempo vede che viene calpestata la libertà di pensare che l'ossessione sessuopatica, immigrazionista e finto-liberal di certi artisti e certi monologhi è una forma di totalitarismo culturale.
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