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Alcuni giorni fa i romani hanno potuto notare con grande sorpresa e sbalordimento sugli autobus della linea ATAC della capitale la comparsa di grandi manifesti pubblicitari in favore dell’omosessualità e contro chi, come la Chiesa cattolica e la stessa maggioranza dei cittadini, la considera un comportamento improprio, immorale o semplicemente da non promuovere.
Il pannello affisso sui mezzi di trasporto pubblico mostrava in effetti la fotografia di tre donne, non a caso giovani e di bell’aspetto, ognuna con un telefono in mano e nell’atto di comunicare: accanto alla prima di queste si poteva leggere “Dove posso fare il test HIV?”; accanto alla seconda “Sul lavoro sono discriminata, cosa posso fare?”; accanto alla terza “C’è un’associazione gay nella mia città?”.
Per tutte e tre le richieste, e per altre simili evidentemente, il manifesto fornisce un numero verde (!) a cui rivolgersi per avere le informazioni desiderate.
La pubblicità “progresso”, come si legge nello stesso manifesto, è finanziata da Regione, Provincia e Comune, cioè con i soldi dei cittadini, in larga parte né gay né favorevoli a queste forme di ‘discriminazione positiva’.
La Chiesa cattolica, che non segue il consenso popolare, né tanto meno quello fabbricato ad arte dai mass media e dalle lobby, è rimasta fedele nel tempo, nonostante le diverse tesi, proposizioni e rivoluzioni sull’argomento, agli insegnamenti evangelici senza “se” e senza “ma” definendo: «gli atti di omosessualità» come «intrinsecamente disordinati» e «contrari alla legge naturale» (n. 2357).
Qualche parola ulteriore meritano le tre vignette di cui sopra.
Ebbene, se la prima si limita a segnalare l’indubbia correlazione tra omosessualità e rischio di AIDS, la seconda, che parla di “discriminazione sul lavoro” subita da persone omosessuali, è assai grave e per più d’un motivo.
Anzitutto non si capisce perché solo la comunità gay debba fruire dello statuto di minoranza protetta a dispetto di tante altre comunità o gruppi umani di varia tipologia: se per esempio un cattolico, in quanto cattolico, fosse “discriminato sul lavoro” da parte di datori di lavoro ebrei o testimoni di Geova, atei o omosessuali, a quale numero verde potrebbe appellarsi? Evidentemente a nessuno!
Esistono dunque delle minoranze tutelate dal sistema e delle minoranze indegne di tutela. Inoltre, come insegnano la scienza e la psicologia più aggiornate, e come mostra il nutrito movimento americano degli “ex-gay”, l’omosessualità non è una condizione umana permanente paragonabile al sesso, alla razza o a quella di chi soffre menomazioni invalidanti di vario genere (handicap, cecità, etc.). Ogni tentativo di associare l’omosessualità ad una condizione naturale e biologica data è destinato a fallire: si tratta di una tendenza, di un’inclinazione che il Catechismo definisce “oggettivamente disordinata” (n. 2358) e perciò giustamente criticabile. Essa non può dare a chi la pratica, in violazione della legge naturale, dei diritti che non avrebbe chi non vuole praticarla: l’omosessuale gode dei diritti civili (e va trattato con tatto) non perché omosessuale, ma perché persona umana, capace di bene e di conversione.
La terza fotografia con accanto il messaggio in cerca di “un’associazione gay” è vergognosa e non merita commenti: che il Comune, la Provincia e la Regione arrivino in tal modo a promuovere un comportamento da cui molti gay cercano a fatica di uscire e che si riscontra in non pochi casi di pedofilia, la cui vittima è dello stesso sesso (maschile) dell’orco, è davvero scandaloso.
La dittatura del relativismo, che parla di pace a sproposito, genera guerre interne all’umanità, come quella attuale in Spagna contro il cosiddetto “machismo” (!), create ex nihilo per allontanare l’umanità dalla legge naturale e cristiana, perseguitando con forza i recalcitranti.
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