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Se qualcuno nutriva ancora dei dubbi sulle intenzioni restauratrici neo-ottomane del sultano Erdogan, la decisione della Corte suprema turca che spiana la strada alla riconversione in moschea di Santa Sophia a Istanbul dovrebbe mettere in chiaro una volta per tutte la realtà della minaccia rappresentata dai Fratelli Musulmani.
Obiettivo della Fratellanza fin dalla sua fondazione in Egitto nel 1928, è la rinascita del Califfato abolito da Ataturk nel 1924. Attraverso i decenni, è passato quasi un secolo, tale aspirazione ha trovato pieno slancio e vigore politico proprio in Turchia nell'islamismo incarnato da Erdogan, di cui solo la decadenza culturale occidentale poteva non riconoscerne immediatamente la vera natura. Eppure Erdogan lo aveva detto in maniera chiara e inequivocabile già prima d'intraprendere la scalata politica e istituzionale che lo avrebbe portato al vertice supremo del regime fondamentalista e liberticida da lui oggi instaurato: "I minareti sono le nostre baionette, le cupole i nostri elmetti, le moschee le nostre caserme". E per averlo detto ha affrontato persino il carcere. Alla sua chiarezza, non è stato però dato sufficiente credito, al punto che Europa e Stati Uniti ne hanno persino favorito l'ascesa al potere. Inutile ora piangere sul latte versato, di fronte al "mostro" che mostra in tutta evidenza i suoi tratti somatici.
I numerosi manifestanti accorsi nel piazzale antistante Santa Sophia per festeggiare subito dopo la sentenza della Corte, alzando il braccio con le quattro dita della "rabia", gesto tipico dei Fratelli Musulmani ripetutamente utilizzato da Erdogan, hanno così lanciato la sfida dell'islamismo al mondo intero, come a dire: "Siamo tornati, e vinceremo", una dichiarazione di guerra che ha scaldato i cuori dei milioni di seguaci della Fratellanza diffusi e ben radicati in tutti i continenti. Niente più ricerca del dialogo e della coesistenza pacifica tra religioni e culture diverse, dunque, ma sottomissione e predominio, a partire da Santa Sophia, simbolo della chiusura del capitolo storico delle guerre con il cristianesimo, capitolo che Erdogan ha invece riaperto, rilanciando contemporaneamente con le sue dichiarazioni (in arabo) quello relativo a Gerusalemme e alla moschea di Al Aqsa, quali culmine della riconquista del Medio Oriente di ottomana memoria.
Le vicende di Siria, Egitto, Tunisia, Libia, per citare i casi più eclatanti, non ci dicono ancora nulla? Come contrastare, oggi e domani, l'espansionismo militare islamista capitanato da Erdogan, che per avanzare si serve senza scrupoli anche del terrorismo jihadista? Il prossimo passo sarà la ricostituzione ufficiale del Califfato: il sultano Erdogan I e i suoi successori non si fermeranno.
Nota di BastaBugie: Silvia Scaranari nell'articolo seguente dal titolo "Basilica, moschea o museo: il difficile ruolo di Santa Sofia" racconta la storia della Basilica di Santa Sofia voluta dall'imperatore Costantino nel IV secolo e che è stata per oltre mille anni una chiesa cristiana.
Ecco l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 6 luglio 2020:
Santa Sofia a Istanbul è simbolo di un passato che non è più. [...] Progettata a partire dal 350 d.C., più volte distrutta e ricostruita con significativi cambi di stile, deve l'aspetto attuale all'imperatore Giustiniano che ne ordina la nuova progettazione nel 532, dopo l'ennesimo incendio che l'aveva distrutta quasi completamente, affidandone il progetto a Isidoro di Mileto. Sempre Giustiniano la fa consacrare nel 537 e da quel momento diventa la sede del Patriarcato di Costantinopoli e delle cerimonie imperiali bizantine.
Dopo lo scisma fra cattolici e ortodossi del 1054 resta ovviamente di rito ortodosso tranne un breve periodo in cui è trasformata in cattedrale cattolica durante la IV crociata e il successivo Regno Latino d'Oriente (1204-61) divenendo anche luogo per l'incoronazione ad imperatore di Baldovino I.
Ritornata in mano ai bizantini nel 1261 subisce un nuovo e radicale cambio di destinazione nel 1453 dopo la conquista della città da parte dei musulmani guidati da Maometto II. Nella sua decisa avversione verso i cristiani ordina subito che venga convertita in moschea con il nome di Aya Sofya. Fa costruire all'esterno i minareti che ancora oggi la circondano e coprire con calce bianca gli affreschi interni. Inoltre la dota di un ricco mihrab, la tipica nicchia che indica la direzione della Mecca e di fronte alla quale i fedeli musulmani compiono le preghiere rituali. Molti elementi tipici dell'arte ottomana sono aggiunti nel tempo per rispondere al desiderio dei sultani di abbellire questo luogo sacro, luogo di preghiera ma soprattutto luogo simbolo della sconfitta dei cristiani.
Con la fine della Prima Guerra Mondiale la Turchia, cuore dell'impero ottomano sconfitto e sgretolato in diversi staterelli dagli accordi di Sèvres, si trasforma in una Repubblica laica sotto la guida del Presidente Mustafa Kemal Atatürk (Padre dei Turchi, 1881-1938).
Mustafa Kemal, nato a Salonicco da una famiglia di condizioni medio-basse (il padre prima ufficiale dell'esercito poi commerciante di legname) viene educato all'islam ma fin da giovane si avvicina ai Giovani Turchi, di impostazione nazionalista e laica, poi fa una brillante carriera militare e aderisce alla massoneria turca relegando la fede ad una dimensione puramente formale. Salito al potere instaura una politica di severa laicizzazione in tutta la Turchia, introducendo riforme che portano sempre di più la nuova nazione nell'orbita occidentale. Nel 1935 improvvisamente una decisione azzardata ma di forte valore simbolico: la moschea Aya Sofya deve essere trasformata in un museo. [...]
Sotto la guida del Governo da parte di Erdoğan, dal 2013 dai minareti del "museo" viene lanciato l'invito alla preghiera. Il Presidente della Repubblica, visitando il Museo in veste ufficiale nell'anniversario della conquista di Costantinopoli, ha recitato l'apertura del Corano in ricordo di tutti quelli che hanno lavorato per restaurarla ma soprattutto per coloro che l'hanno conquistata. Con questo gesto ha palesemente espresso l'intento di ripristinare l'antico ruolo di moschea dell'attuale museo.
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