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« Torna agli articoli di Marina Corradi
Si può discutere di tutto, con un limite però. Strumentalizzare i bambini. Questo sì esclude dalla scuola
Il 'no- Gelmini day', giornata contro la riforma della scuola, ha visto volantinaggi, sitin, notti bianche.
Legittima protesta, con però una stonatura nel modo in cui il dissenso degli insegnanti si è organizzato in qualche città. A Firenze alcune maestre hanno fatto scrivere sul diario agli alunni l’invito alle famiglie a firmare contro il decreto, a Bologna sarebbero stati distribuiti volantini in classe. 'Siam bambini, siam piccini ma bocciamo la Gelmini', recitava lo striscione di una manifestazione dei giorni scorsi nel Nord, ed era appeso a una scuola elementare, a giudicare dall’età dei bambini nelle foto.
Anche i ragazzi, insomma, arruolati come truppe nella battaglia.
C’è, in questo, la traccia di uno sguardo che - comunque la si pensi sul 'maestro prevalente' - dovrebbe preoccupare.
Come un retrogusto di strumentalizzazione di quell’' utenza' particolarissima che sono i ragazzi. Non è una questione di correttezza formale. Se qualcuno, per una pure rispettabile difesa di proprie convinzioni o interessi, ritiene giusto far scrivere sul diario scolastico: mamme, papà, firmate contro la riforma, questa è strumentalizzazione. Cioè, è fare degli alunni uno strumento della propria lotta. Mentre a scuola i ragazzi, l’educazione, sono il fine.
Sembra il segno di un equivoco stagnante nell’atmosfera pesante che grava sulla riforma Gelmini, mentre si attendono scioperi da tempo annunciati e ieri sera Berlusconi stesso è intervenuto per affermare che non ci sarà alcuna 'cacciata' di docenti, ma prepensionamenti e blocco del turn over.
Non entriamo nel merito del dibattito sul 'maestro prevalente': annotiamo solo che se in quasi tutti i Paesi europei, dalla Francia alla Gran Bretagna alla Spagna, alle elementari c’è il maestro unico, è difficile pensare all’insegnamento plurimo come a un dogma. C’è chi, in buona fede e con motivate ragioni, difende il sistema oggi in vigore. Ed è una posizione che va risolutamente rispettata. Ma – viene il dubbio di fronte appunto a certe stonature, a certi toni da barricata – il problema per altri invece non è forse tanto didattico, quanto di conservazione di posti di lavoro. Questione seria; che però non può essere risolta facendo della scuola un bacino per docenti in esubero.
Perché la finalità della scuola, con tutto il rispetto degli insegnanti precari e delle loro giustificate ansie, non è mantenere i livelli occupazionali, ma educare, e questo deve venire prima di tutto. Se la quasi totalità delle risorse della scuola in Italia è usata per pagare ( poco) un numero molto elevato di insegnanti, è legittimo il dubbio che converrebbe averne meno, più retribuiti e dunque più qualificati. O almeno, si dovrebbe poter discuterne senza annunci di battaglia, e lance in resta. Altrimenti viene il sospetto che non le preoccupazioni didattiche animino tanta animosa reazione, ma la difesa di interessi di una categoria.
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