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« Torna agli articoli di Mario lannaccone
Il vino è una bevanda difficile, che - si dice spesso - va "capita". È una bevanda che va compresa piano piano, e assaporata; esiste in migliaia di declinazioni, con sapori, aromi e retrogusti diversi. Basta che cambi il terreno, il clima, la maturazione dell'uva, l'invecchiamento; basta che mutino altre variabili e lo stesso vino, prodotto con le stesse uve, nello stesso terreno, si presenta completamente diverso. Il vino è come gli uomini: sempre diverso, esposto al tempo e al caso. Ci porta a ritmi lenti, all'arte dei conoscitori, ai legni e ai profumi; alla difficile arte della vinificazione, tramandata da maestro a discepolo, perché fatta di esperienza, osservazione, intuizione. Ci porta emozione; e, non a caso, la rossa bevanda è costantemente associata alla poesia, alla musica, all'amore sia nei suoi aspetti più sensuali, sia in quelli più platonici, spirituali, mistici. Il vino entra spesso, e nei modi più diversi, nella letteratura. Del resto, il vino si produce da migliaia di anni, con un lavoro paziente, che ha richiesto secoli per affinarsi a partire da una materia prima nobile come il succo d'uva. Esistono altri tipi di bevande prodotte dalla fermentazione di succhi zuccherini (birra, idromele, sidro), ma il vino d'uva è rimasto il più complesso, vario, nobile. Soltanto la birra può avvicinarsi alla complessa civiltà del vino, ma non ha mai assunto quel valore sacro che la civiltà cristiana ha attribuito al vino.
STORIA DI UNA COLTURA
Il vino d'uva cominciò a essere prodotto in molte terre e da molti popoli della Mezzaluna fertile sin dalla scoperta della vite, allora molto diversa e poi costantemente migliorata da incroci di coltura. Il suo consumo era comune fra i sumeri, gli egizi, gli israeliti, gli etruschi, i persiani e soprattutto fra i popoli mediterranei, i greci e i romani. I romani lo producevano molto concentrato e forte, talvolta denso, quasi sempre da mescolarsi all'acqua, per diluirlo. Prodotto costoso, in alcune sue varianti assai raro e molto ambito, assorbì e concentro in sé, nel tempo, simboli profondi. Il produrlo costa all'uomo un elaborato lavoro che inizia dalla cura della terra e della vigna, prosegue nella manipolazione e lavorazione del frutto, nella spremitura, nella prima fermentazione, nella produzione e trattamento del mosto. Poi, l'ultima fase del processo è, in certo senso, segreta, poiché avviene nel buio. S'ignorava perché il mosto iniziasse a fermentare e il suo gusto dolce diventasse pregno d'alcool facendo nascere il vino nuovo che l'invecchiamento migliora: ogni contenitore, ogni botte, ogni diverso legno nel quale il vino può maturare produce effetti diversi, bouquet differenti di aromi. Va conservato in luoghi adatti e curato nel tempo affinché i suoi zuccheri si sublimino, in un processo che gli scrittori di un tempo descrivevano come prodigioso, sacro, misterioso. L'uva viene pestata, quasi umiliata, e produce un succo che somiglia al sangue e che, nel tempo, dopo essere risorto dal buio si presenta affinato nel sapore e nel profumo. Già in questo vediamo l'anticipazione del vino come materia eucaristica. Ma prima di allora, in epoca precristiana, il vino era bevanda degli dei, dell'ebbrezza, della possessione sacra di Bacco o Dioniso. Il mistero che circondava il suo prodursi, la cura che l'uomo doveva dedicargli, l'ebbrezza che produceva, lo legarono a culti diffusi: era usato per riti, sacrifici, libagioni.
NELLA VITA DI GESÙ
Il lavoro della vigna è presente nei Vangeli in diversi contesti, come la Parabola dei lavoratori della vigna (Mc 20,1-16) e la Parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-44; Mc 12,1-12; Lc 20,9-18). Il vino è nominato nel discorso sul digiuno di Marco (Mc 2,18-22), dove si menziona il vino nuovo - la Buona Novella - che non si adatta agli otri vecchi: la predicazione di Gesù non sta più nei limiti della Legge ebraica. Nell'episodio delle Nozze di Cana, cui Gesù partecipa come invitato, il vino assume un'importanza ancora maggiore, che lascia presagire, prefigurare, annunciare il suo ruolo autentico e il sacrificio. Essendo finito il vino, con un miracolo Gesù trasforma l'acqua e la fa diventare rossa bevanda. Cosa significhi questo miracolo, lo capiamo tutti: il vino comincia a rappresentare il sangue, lo prefigura. È rosso e prezioso come il sangue; Gesù lo moltiplica, come moltiplicherà le specie eucaristiche. I primi autori cristiani erano ben consapevoli di questo significato e della ragione del comparire frequente del vino nell'Antico Testamento. Del resto, era un elemento importante anche in alcune celebrazioni ebraiche. L'episodio delle Nozze di Cana va collegato a quello della Moltiplicazione dei pani e dei pesci, narrato da Giovanni (Gv 6, 1-14), ma anche dagli altri Evangelisti (Mt 14,13-21, MC 6,30-44, LC 9,12-
17). Pane e vino, due alimenti fondamentali che danno gusto e sostanza all'atto del mangiare e che nella civiltà cristiana sono stati menzionati innumerevoli volte da santi e scrittori, poeti e teologi per il loro valore sacrale, simbolico e infine teologico-eucaristico.
NELL'EUCARISTIA
Il momento fondamentale del rovesciamento di significato del vino e del pane, il momento in cui questi alimenti comuni divengono qualcosa d'altro, d'inaudito, mai prima apparso in questo modo nella tradizione spirituale e religiosa precedente, è l'evento dell'Ultima Cena. Qui, al limite della Pasqua ebraica, il giovedì sera, Gesù si ritrova con i suoi discepoli e beve il vino e mangia il pane. Non si limita a questo, li benedice secondo l'uso ebraico ma poi annuncia qualcosa di nuovo e sconvolgente: come sappiamo tutti, spezza il pane, lo dà ai discepoli e dice: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo». Così fa con il vino: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti in remissione dei peccati» (Mt 26, 26-27). Si tratta di qualcosa di unico perché se Gesù è il Messia allora le sue parole hanno esattamente il significato che è stato spiegato da coloro che sono venuti dopo, da san Paolo ai Padri della Chiesa, cancellando il concetto che si ritrova nei riti bacchici e dionisiaci o in tanti altri culti nei quali il vino, pure, veniva utilizzato. S'instaura qualcosa di nuovo: un sacramento che non soltanto possiede la virtù di santificare, ma che racchiude l'autore stesso della Grazia. Gesù lo istituisce come alimento spirituale dell'anima, che viene fortificata nella lotta per conseguire la salvezza. Nella cristianità la produzione del vino fu perfezionata dai monaci, soprattutto benedettini, sia perché il vino era consentito nell'alimentazione monastica, sia perché era diffusissima, almeno sino al XII secolo, la celebrazione della Messa usando le due specie eucaristiche: il pane e il vino. Per questo, per l'uso che ne facevano i fedeli a tavola ma anche per l'esistenza del vino santo che rappresentava il sangue di Cristo, esso ha sempre avuto un doppio significato, sacro e quotidiano, sacramentale e alimentare. Celebrato nella pittura sacra, nei grandi cicli di affreschi, nell'epica cristiana, nella letteratura spirituale, il vino, anche oggi, in epoca di desacralizzazione e di laicismo, continua a mantenere quell'aura sacrale che gli proviene dal cuore radiante del mistero eucaristico cristiano che lo ha mutato per sempre.
Nota di BastaBugie: per approfondimenti sull'importanza del vino nella nostra cultura clicca sul link del seguente articolo.
ELOGIO DEL VINO, SEGNO DELL'IDENTITA' ITALIANA E CRISTIANA
Benedetto XVI: ''Il vino esprime la squisitezza della creazione, allieta il cuore ed è immagine del dono dell'amore nel quale possiamo fare qualche esperienza del sapore del divino''
di Antonio Socci
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5411
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