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« Torna agli articoli di Nicola Incampo
Le sentenze che riguardano l’IRC sono come quei rotoloni di carta igienica: non finiscono mai!
L’ultima è la sentenza del Tar del Lazio n. 7076 dove tra l’altro leggiamo: «appare aver generato una violazione dei diritti di libertà religiosa e della libera espressione del pensiero; nonché di libera determinazione degli studenti relativamente all’insegnamento della religione cattolica».
Purtroppo siamo costretti a ripetere che il Concordato del 1929 così recita all’articolo 36: “L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l’insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato”.
L’Accordo di revisione dello stesso Concordato sancito con legge 121 del 25 marzo 1985 nell’articolo 9.2 stabilisce, a mio avviso, una continuità ed un orientamento nuovo, quando dice: “La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado”.
Più che evidente la continuità con il passato (la sottolineatura della parola continuità è mia), ma anche da evidenziare il nuovo assetto dell’IRC che viene messo in relazione non con l’istruzione pubblica, ma con il patrimonio culturale del popolo italiano e sempre in rapporto con le finalità della scuola.
Sono due le sottolineature che vanno bene evidenziate: da una parte per chiarire le caratteristiche di un insegnamento che si inserisce nella formazione culturale dell’alunno e dall’altra per distinguere l’IRC dalla catechesi che ha come finalità di formare il credente.
Ma valore culturale del cattolicesimo non significa insegnamento dimezzato o di un generico cattolicesimo che non conosca i suoi aspetti caratteristici e individualizzanti, ma conoscenza precisa nella sua interezza, che comprende fonti, contenuti della fede, aspetti di vita, espressioni di culto e quant’altro è necessario per apprenderlo. E il tutto orientato alle finalità scolastiche che sono di conoscenze di quella specifica cultura italiana, e oggi dovremmo dire europea ed occidentale, che non è possibile spiegare e conoscere in tutte le sue forme (letteratura, arte, musica …) senza il cattolicesimo.
E’ opportuno ancora ricordare che il Concordato del ’29 diceva, sempre all’articolo 36 comma 2: “Tale insegnamento sarà dato a mezzo di maestri e professori, sacerdoti o religiosi, approvati dall’autorità ecclesiastica e sussidiariamente a mezzo di maestri e professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato di idoneità da rilasciarsi dall’Ordinario diocesano”.
Nel protocollo addizionale alla revisione del Concordato, in relazione in relazione all’articolo 9, viene ribadito che “l’insegnamento della religione cattolica è impartito da insegnanti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità scolastica” e lo stesso si dice degli insegnanti delle scuole materne ed elementari.
Di tutto quanto detto sono profondamente convinto anche per la mia personale esperienza di docente e chiedo scusa se mi permetto di esprimere queste convinzioni con fermezza ma anche con senso di stima per il mio lavoro.
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