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« Torna agli articoli di Paolo
Nei giorni scorsi ho rassegnato le dimissioni da consigliere del Comune di Carpenedolo e i motivi della mia decisione sono essenzialmente due. Il primo riguarda la mia storia politica fatta di confronti e lavoro culturale sui temi che mi sono sempre stati più a cuore: la vita, la famiglia, la libertà di educazione e quindi una presenza cristiana, cioè autenticamente laica, in politica.
Da capogruppo di opposizione prima e da capogruppo di maggioranza poi, ho sempre cercato di lavorare seguendo le parole di Vaclav Havel, Presidente della Repubblica Ceca, che ho pubblicato sul mio volantino elettorale del 2014: "sono favorevole ad una politica non come tecnologia o manipolazione del potere, come organizzazione cibernetica degli uomini o come arte dell'utile, dell'artificio e dell'intrigo, ma ad una politica come uno dei mezzi per cercare e trovare un senso alla vita, per difenderlo e servirlo; ad una politica come moralità in azione, come servizio alla verità, come preoccupazione per il prossimo". Ho dovuto, purtroppo, constatare che sono venute meno le condizioni per poter portare nel gruppo di cui ho fatto parte la visione politica descritta da Havel. In questi due anni e mezzo di attività sono state adottate decisioni che contraddicono in modo stridente quello in cui ho sempre creduto e il fatto che non si condividesse un giudizio chiaro su alcuni temi che considero essenziali ha condotto ad una situazione di estraneità diventata sempre più evidente all'interno del gruppo che ho contribuito, non senza sacrifici, a far nascere e crescere.
COME DEVONO REAGIRE ALLE UNIONI CIVILI I POLITICI CATTOLICI?
Una situazione che Havel ha ben descritto con queste parole: "un uomo non diventa dissidente perché un bel giorno decide di intraprendere questa stravagante carriera, ma perché la responsabilità interiore combinata con tutto il complesso delle circostanze esterne finisce per inchiodarlo a questa posizione: viene espulso dalle strutture esistenti e messo in confronto con esse". E così facendo si è arrivati a sabato 25 marzo, data in cui il Sindaco ha celebrato in Comune la prima unione civile omosessuale. A questo punto la domanda sorge spontanea: come avrebbe dovuto comportarsi un politico che rappresenta un'area la quale, storicamente, ha dimostrato, con le parole e con i fatti, di essere contraria all'introduzione di leggi come le unioni civili omosessuali? Come avrebbero dovuto reagire i politici cattolici del mio gruppo davanti ad un fatto come quello di sabato 25 marzo? Come dovrebbe comportarsi un politico che nel proprio programma elettorale (ultimo paragrafo), si è impegnato a difendere la vita fin dal suo concepimento? A mio avviso non si può pensare di celebrare una unione civile omosessuale senza rendersi conto che questo è un atto che ha una portata generale, in quanto equipara al matrimonio l'unione tra persone dello stesso sesso e legittima il diritto di un adulto di privare un bambino di un padre e di una madre.
Come dimostrano anche recenti sentenze, il matrimonio omosessuale porta inevitabilmente all'adozione e alla mostruosa pratica dell'utero in affitto. Quanto accaduto il 25 marzo scorso va oltre il caso specifico, perché porta con sé una domanda più profonda sul futuro dei nostri figli e della nostra società. [...]
Nessun giudizio è stato manifestato a Carpenedolo su questo caso specifico come su altre iniziative che, a mio avviso, denotano la precisa volontà di non prendere posizione sui temi per me fondamentali. Cosa ancora peggiore, e con questo arrivo alla seconda motivazione, alcuni componenti della maggioranza, tra cui il sottoscritto, sono stati informati nei giorni successivi grazie ad alcuni cittadini che chiedevano spiegazioni.
CUSTODIRE LA NOSTRA CULTURA E LE NOSTRE TRADIZIONI
Un altro esempio per chiarire meglio i motivi della mia decisione. Nel consiglio comunale del 14 settembre 2016, in risposta all'interpellanza dei consiglieri di opposizione, il Sindaco teneva a precisare il suo pensiero in merito al fenomeno dell'immigrazione, esternando l'apertura ad accogliere con assoluto amore centinaia di migliaia di richiedenti asilo in un demagogico raffronto con il cittadino italiano che di giorno spaccia e di notte picchia la moglie. Per non parlare della disponibilità ad adoperarsi per garantire la connettività wifi ai richiedenti asilo, purché i soldi per questi interventi siano stanziati dallo Stato Centrale. Si tratta di dichiarazioni che non condivido in quanto, a mio avviso, essere favorevoli ad una accoglienza massiccia come quella in corso significa non giudicare il significato culturale e le pesanti ricadute di questa politica migratoria indiscriminata. Ritengo che l'impegno di un politico debba essere innanzitutto rivolto alle persone che hanno contributo a far crescere il nostro paese e che, in molti casi, faticano ad arrivare alla fine del mese.
Per custodire la nostra cultura e le nostre tradizioni, che si basano sulla bimillenaria presenza del Cristianesimo, occorre avere un giudizio chiaro su cosa significhi il termine integrazione, intesa certamente come disponibilità ad accogliere coloro che ne hanno i requisiti, ma anche come reale adattamento di chi arriva nel nostro paese alle nostre regole e alle nostre tradizioni. Ho cercato di far sentire la mia voce su questi e altri temi, dibattendo in modo animato, ma sempre corretto e rispettoso dei ruoli. Se però anche chi ha condiviso con te anni di militanza politica fatta di gazebi e raccolte firme alle sette di mattina sembra essersi assuefatto ad un modo di fare politica puramente tecnocratico allora è proprio giunto il momento di lasciare, non senza tanta amarezza e dispiacere.
LA COSA GIUSTA
Pensare di amministrare un paese in modo asettico, cioè senza esprimere alcun giudizio ideale è una illusione destinata a fallire miseramente. Non esiste un modo di amministrare puramente tecnico, perché ogni decisione, ogni atto, anche il silenzio, contengono un significato, una visione sulla persona e sul suo bene. Spesso si dice che l'amministratore debba comportarsi con la diligenza del buon padre di famiglia: quale padre, per il bene dei propri figli, non ha mai detto dei no? Quale padre, per la crescita dei propri figli, ha dovuto esprimere dei giudizi chiari, anche a costo di non essere capito dai figli stessi? La crescita di una comunità, come quella dei propri figli, passa anche attraverso dei "no", che, certamente, non sono elettoralmente vantaggiosi, ma che fanno crescere la comunità secondo l'ideale in cui si crede.
Concludo ringraziando coloro che nel 2009 prima e nel 2014 poi, con il loro voto mi hanno consentito di vivere questa esperienza amministrativa. E' a loro che devo, in primis, rispondere della decisione che ho preso. Non ho mai nascosto quello in cui credo, l'ho manifestato pubblicamente fin dal mio inizio di attività politica nel 2006. E' proprio per la mia storia politica, e per coloro che mi hanno dato fiducia sapendo chi sono, che ho rassegnato le dimissioni da ogni incarico amministrativo. Non pretendo che la mia decisione sia compresa e condivisa, ma so di aver fatto la cosa giusta per me, per la mia famiglia e per la mia comunità.
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