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« Torna agli articoli di Paolo Gulisano
Non fanno notizia, non trovano cassa di risonanza nei TG nazionali e, quando qualche giornale si degna di parlare di queste manifestazioni, vengono sbrigativamente definite come "negazioniste", un termine usato completamente a sproposito, ma che sul lettore ha sempre il suo bell'effetto.
Si tratta delle manifestazioni che un po' in tutta Europa vedono scendere in piazza migliaia di cittadini. Proteste contro le misure restrittive, disposte dai governi per contenere la pandemia di Covid-19, sono state segnalate in Austria, Finlandia, Germania, Paesi Bassi (nella foto una protesta del 20 marzo ad Amsterdam), Regno Unito, Svizzera, ecc. Prima del raduno a Helsinki circa 300 persone hanno marciato per le strade della città, arrivando fino al Parlamento, intonando slogan come "Lasciate parlare la gente!". In Austria, circa mille persone hanno partecipato a manifestazioni contro le misure restrittive vicino alla stazione ferroviaria centrale di Vienna. In Svizzera, più di 5.000 manifestanti hanno sfilato in una marcia silenziosa a Liestal, a 15 chilometri a sud-est della città di Basilea.
In Italia, Milano ha visto due di queste iniziative nel giro di due settimane: la prima in Piazza del Duomo, con la partecipazione di migliaia di persone, e quindi sabato scorso all'Arco della Pace.
CHI C'È DIETRO A QUESTE INIZIATIVE?
Inutilmente i cronisti intervenuti a queste manifestazioni hanno cercato di trovare la nota di colore: qualche sciamano, qualche terrapiattista, magari qualche estremista di destra che fa sempre comodo. Alle iniziative milanesi non si sono visti esponenti di partiti politici, nessuno dei quali in questo momento sembra seriemente intenzionato a contestare il pensiero mainstream.
Ad organizzare queste iniziative hanno pensato associazioni di cittadini, espressione del Paese reale, come si diceva un tempo. Gruppi di mamme preoccupate per il futuro dei propri figli, persone stanche delle restrizioni asfissianti imposte dal regime di salute pubblica, individui che vogliono salvaguardare i diritti garantiti dalla Costituzione. Persone che partecipano a queste manifestazioni - promosse attraverso la Rete - per far sentire la propria voce di protesta, la propria voglia di libertà, ma anche per capire, per ascoltare. Non è un caso che i protagonisti di queste manifestazioni siano dei professionisti, soprattutto medici.
La gente viene a queste manifestazioni per ascoltare le testimonianze di medici che hanno affrontato il Covid con le cure, in particolare con le cure domiciliari. E il tono di chi interviene non è tribunizio, giusto per strappare l'applauso della folla, ma pacato e documentato. Non per niente l'iniziativa svoltasi all'Arco della Pace di Milano aveva come titolo "Conferenza a cielo aperto: Rinasceremo con le cure". Una conferenza, non un comizio o un sit-in, per far conoscere quella realtà di cure che per molti italiani è ancora del tutto sconosciuta. Una conferenza per dare informazioni scientifiche, ma anche per tenere viva la speranza in persone ormai allo stremo psicologico. Persone talmente manipolate nella loro capacità di ragionare che sabato, al termine della manifestazione, pur dopo aver ascoltato le varie testimonianze dei medici, c'era tra loro chi poneva questa obiezione: strano che questi medici in un anno non siano riusciti a farsi sentire dalla massa... come mai la loro scoperta non è arrivata a chi è sempre a caccia di notizie? Come dire: se non ne hanno parlato le Iene o la D'Urso, vuol dire che tutto questo non esiste.
LA REALTÀ NON PUÒ ESSERE NASCOSTA
In questo buio della ragione che stiamo attraversando, ciò che conta è tenere accesa la luce della ragionevolezza. Continuare a documentare una realtà che non può essere taciuta e nascosta. Una realtà che non rappresenta il tentativo più o meno empirico di medici di fronte ad una situazione disperata, ma un modo di procedere con criteri assolutamente scientifici, che potremmo definire Real life research: uno studio sulla vita reale. Senza magari aspettare l'esito dei cosiddetti "studi random a doppio cieco". Una ricerca che ormai si avvale anche dello scambio di informazioni con medici di tutto il mondo, che condividono evidenze cliniche e strategie terapeutiche.
Accanto ai medici, in queste manifestazioni compaiono poi gli avvocati, i quali hanno un compito fondamentale: difendere il diritto della persona alla cura, e difendere le libertà oggi sempre più limitate e svilite. Avvocati che possono e devono anche fare da tramite tra i cittadini che scendono coraggiosamente in piazza e le istituzioni, e che possono portare la voce sia di medici che di pazienti ai politici, sperando di trovare qualche interlocutore, qualcuno che con coraggio - come già avvenuto in Piemonte - possa sfidare il diktat governativo di "Tachipirina e vigile attesa" che tanto male ha già fatto. La voce di civile protesta di tanti cittadini ha il giusto diritto di essere ascoltata.
Nota di BastaBugie: come notato in fondo al precedente articolo in Piemonte qualcosa si muove riguardo alle cure precoci al virus. Andrea Zambrano ne parla nell'articolo seguente dal titolo "Basta attesa senza cure: il Piemonte sfida le linee guida".
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 03-03-2021:
Nel nuovo protocollo medico licenziato dal Cts della Regione Piemonte e che verrà presentato oggi, troviamo sancito il principio della cura immediata del paziente. Addio vigile attesa e telemedicina con la somministrazione di solo paracetamolo. La decisione dell'assessore Luigi Icardi è una dichiarazione di guerra alle linee guida ministeriali che dal 30 novembre scorso non sono state ancora aggiornate nonostante ormai anche i sassi abbiano capito che la strategia della osservazione & attesa e della Tachipirina ai primi sintomi sia non solo fallimentare, ma anche dannosa, dato che se i ricoveri aumentano, buona parte di responsabilità sono da attribuire a questa indicazione.
«La vigile attesa? Assolutamente no, non la consideriamo proprio come una buona pratica», spiega Claudio Sasso, coordinatore area medicina territoriale del Dirmei, il Dipartimento interaziendale per le malattie infettive che è il braccio esecutivo dell'assessorato alla Sanita piemontese. «Il protocollo è incentrato sull'intervento immediato, tempestivo, sia diagnostico che terapeutico».
Una seconda novità è che le linee guida licenziate da Torino si discostano dalla pratica abituale ormai consolidata della diagnosi telefonica del medico. Pratica, quest'ultima, che ha fatto venire meno migliaia di visite con conseguente abbandono terapeutico. Dopo l'accordo sindacale con le associazioni di categorie dei medici di medicina generale, il Piemonte ribadisce quanto già i camici bianchi di famiglia in regione stanno facendo da un anno: «Visitare e curare al più presto».
Come? «Anzitutto una prima visita di persona affidata o al medico di medicina generale o alla Usca, in stretta condivisione tra di loro, poi con il monitoraggio anche a distanza del paziente, una volta decisa la terapia, che, di sicuro non avrà tra i suoi punti principali la Tachipirina, ma con antinfiammatori FANS, l'eparina, l'antibiotico, il cortisone, la vitamina D e con l'ormai negletta idrossiclorochina. «Siamo perfettamente consapevoli del dibattito che c'è nel mondo scientifico sul suo uso - prosegue Sasso alla Bussola -, ma sappiamo altresì che l'idrossiclorochina ha dimostrato di possedere un effetto antivirale in vitro e in modelli animali. Abbiamo quindi una minima speranza di successo se utilizzata nella fase precoce dell'infezione.
Quindi, non sarà l'unica terapia, ma pur all'interno di un percorso off label, sarà una delle armi che il medico in scienza e coscienza avrà modo di usare. In questo - aggiunge Sasso - la Regione dimostra di recepire la sentenza del Consiglio di Stato che ne sdogana l'utilizzo sulla base di ricerche specifiche condotte su pazienti curati precocemente».
La notizia dell'introduzione dell'idrossiclorochina, che già era presente nel primo protocollo licenziato a fine autunno, arriva contemporaneamente ad una nuova presa di posizione dell'Oms sull'antimalarico che non funziona se dato in fase di profilassi, un fatto scontato ormai e accettato da tutti. Anche per quanto riguarda le ricerche scientifiche sul suo uso (pubblicati a febbraio dalla rivista Cochrane) siamo ancora fermi a settembre scorso e comunque su pazienti già ospedalizzati, quando si sa che a quello stadio di malattia l'idrossiclorochina è del tutto inutile.
Insomma, i pochi studi sull'uso precoce del farmaco sono quelli di cui si sono serviti i medici per vincere il ricorso in Consiglio di Stato. E a quella decisione ora il Piemonte si adegua.
L'assessore Icardi è convinto che il protocollo sarà adottato anche da Abruzzo e Umbria, regioni che già avevano copiato le prime linee guida di Icardi.
«Non possiamo aspettare i ritardi del ministro della Salute: quella delle cure precoci del covid è una partita delle regioni, alla prossima conferenza Stato-Regioni chiederò al ministro Gelmini (titolare degli Affari Regionali) di farsi carico di questa urgenza: la gente deve essere curata a casa il più possibile».
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