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« Torna agli articoli di Piero Gheddo
L’India è lo specchio del mondo. Quello che accade qui vale anche altrove. Accade in Pakistan, Iran, Arabia Saudita, Algeria. Sudan, ultimamente anche in Egitto. È un attacco pesante, che ha radici forti e non risparmia nessuno. Le comunità cristiane locali danno fastidio perché con la loro stessa esistenza diffondono una religione, una cultura e un sistema di vita fondati sul valore assoluto della persona umana, quindi sulla libertà, l’eguaglianza di tutti di fronte allo Stato, la donna con gli stessi diritti dell'uomo, la democrazia, la giustizia sociale.
Ecco perché le persecuzioni anti-cristiane dovrebbero interessare molto di più giornali, televisione, programmi culturali e università. Questa violenza non riguarda solo una religione, quella cristiana, ma un intero sistema di valori, visto che il cristianesimo è alla radice del nostro modo di vita occidentale. Non illudiamoci, oggi la persecuzione anti-cristiana è contro l'Occidente democratico e dei diritti dell'uomo e della donna. Se nei Paesi altri risultassero vincenti l’ideologia indutva e il fondamentalismo islamico, o anche il comunismo del boom economico di Cina e Vietnam, sarebbe in pericolo non il cristianesimo (noi crediamo per fede che non corre questo rischio), ma l’Occidente stesso. È questo il problema. Questo è il dramma.
L’indutva, cioè l’ideologia religioso-culturale-politica del nazionalismo indiano, ha molte radici tra cui anche quella religiosa e non è facile per il Paese liberarsene. E la cronaca lo conferma. Il fatto grave degli assalti ai cristiani nello stato di Orissa è la continuità di queste manifestazioni d’intolleranza indù, strumentalizzata dal Bharatiya Party, verso le minoranze religiose: i musulmani (circa il 13% degli indiani), ma questi rispondono colpo su colpo, mentre i cristiani (2,5%) si difendono, ma senza odio e senza sentimenti di vendetta e di rivalsa. L’opinione pubblica occidentale è abituata a pensare che i cristiani sono perseguitati soprattutto nei Paesi islamici o a regime comunista. Ma sta venendo alla ribalta il fondamentalismo indù, che le autorità di un Paese democratico come l’India tollerano o non riescono a dominare.
Quel che preoccupa la Chiesa indiana, e dovrebbe ottenere maggior attenzione nei mass media occidentali, non sono i singoli casi di persecuzione, ma l’atmosfera generale d'intolleranza che sta crescendo nei confronti dei cristiani. È bene anche conoscere i motivi di questa persecuzione. Un volantino, distribuito a Bangalore nel Natale 2007 elenca i «crimini» dei cristiani: trattare tutti allo stesso modo, educazione delle donne, rifiuto del sistema delle caste. Nel testo, firmato da gruppi nazionalisti indù, si legge che i cristiani dello Stato meridionale del Karnataka «devono abbandonare immediatamente il territorio indiano, oppure tornare alla religione madre dell'induismo». Altrimenti «dovranno essere uccisi da tutti i bravi indiani».
In questo elenco dei «crimini» cristiani manca il principale. Le chiese, le loro scuole e opere di promozione umana, lavorano soprattutto fra i più poveri, che sono i «paria» (fuori casta), circa 130 milioni su un miliardo e 60 milioni, ancor oggi discriminati. Grazie alle scuole missionarie si è creata nei «paria» una coscienza nuova dei loro diritti e questo dà fastidio sia ai rigidi custodi della tradizione religiosa (che considera i paria «intoccabili» per motivazioni religiose), sia a tutti quelli (specie proprietari terrieri) che li hanno sempre considerati come servi della gleba. È questo che fa paura: la libertà cristiana e occidentale.
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