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« Torna agli articoli di Riccardo Cascioli
«Inaccettabili». Così il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, meno di quattro anni fa definiva Fabio Fazio, Roberto Saviano, ma anche Paolo Ruffini, allora direttore di Rai 3.
Era il 26 novembre 2010, si era al culmine di una polemica infuocatissima dopo che – circa due settimane prima - su Rai3, nel programma Vieni via con me, Fazio e Saviano avevano invitato Beppino Englaro e Mina Welby a raccontare la loro storia di testimonial del "diritto a morire". C'era stata una sollevazione da parte delle associazioni e dei parenti che assistono malati gravemente disabili e che di loro si prendono quotidianamente amorevole cura, perché quella trasmissione era un insulto alla loro esperienza, una propaganda sfacciata all'eutanasia che esaltava il gesto di due personaggi fortemente e politicamente sponsorizzati cancellando una vasta realtà di persone e famiglie che amano e si sacrificano nel silenzio della quotidianità.
Come si ricorderà Mina Welby, con l'appoggio dei radicali e di medici militanti, procurò nel 2006 la morte di suo marito Piergiorgio Welby, che - gravemente malato - aveva speso gli ultimi anni della sua vita lottando per l'eutanasia. Nel 2009 invece, Beppino Englaro – sempre con la compagnia dei radicali - riuscì nell'intento di fare morire sua figlia Eluana, in stato vegetativo persistente da sedici anni dopo un incidente, in quello che ben difficilmente non si può definire un "omicidio di Stato".
LA POSIZIONE ALTALENANTE DI AVVENIRE, QUOTIDIANO DEI VESCOVI
Ebbene, Fazio e Saviano pensarono allora di elevare questi personaggi a modelli esemplari, e – spalleggiati dal direttore Paolo Ruffini - si rifiutarono di ospitare nelle puntate successive i parenti dei tanti «non-Welby e non-Englaro» (definizione di Avvenire) che ci sono in Italia, malgrado le forti pressioni della società, dei partiti e il deciso invito del Consiglio di amministrazione della Rai.
Avvenire allora fu giustamente in prima linea nell'attaccare una gestione ideologica e violenta del servizio pubblico tv.
È perciò con una certa sorpresa che capita di vedere dopo così poco tempo Paolo Ruffini, l'«inaccettabile» del novembre 2010, chiamato prima a dirigere la tv dei vescovi e ora esaltato dalle stesse colonne di Avvenire con una ampia intervista in cui si magnifica il suo nuovo corso.
Certo in questi anni di cose ne sono successe, anche nella Chiesa italiana, e non a caso Ruffini è stato scelto personalmente dal nuovo segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, insieme al direttore delle news Lucio Brunelli (ex vaticanista di lungo corso del Tg2) e più recentemente al vice direttore Alessandro Sortino (ex Iene e Piazzapulita). Cattolico di estrazione, Ruffini è sicuramente – come oggi lo definisce Avvenire - «uno dei più brillanti direttori italiani» - e i risultati stanno lì a dimostrarlo. Ma alla guida di Rai 3 e ultimamente di La7 ha sempre scoperto e valorizzato personaggi sì di sicuro successo – da Santoro a Fazio, da Dandini a Floris – ma anche di provata fede laicista. È quel che una volta si sarebbe definito un cattolico "adulto", che magari con la destra mantiene buoni rapporti con l'alto clero e con la sinistra dispensa "veleno" al popolo cattolico. Stesso discorso potrebbe farsi per il suo vice Sortino, che dopo l'ingaggio a Tv2000 ha deciso di fare outing come «cattolico credente», ma dopo che per anni – passati in prima linea in tv - non se ne era accorto nessuno.
RILANCIARE TV2000 ASSUMENDO PERSONAGGI AMBIGUI?
Nulla di male per carità, ognuno fa e si comporta come ritiene, ma è curioso che i vescovi italiani, per rilanciare una tv che dovrebbe avere come mission quella di rendere attuale e fruibile da tutti il messaggio cristiano, affidino un investimento di decine di milioni di euro proprio a personaggi che nella loro vita professionale del messaggio cristiano hanno fatto strame. Eh sì, perché nel bilancio della Cei Tv2000 (ex Sat2000) pesa non poco. Secondo fonti vicine alla Cei, fino al 2013 i vescovi dovevano sborsare circa 30 milioni di euro l'anno per ripianare il bilancio di una tv nata nel 1998 da un tragico mix di sogni di grandezza e incapacità manageriale (in 15 anni la "tv dei vescovi" è costata una cifra molto vicina ai 500 milioni di euro); tanto che nei mesi scorsi si è parlato insistentemente di una sua chiusura o almeno di un suo drastico ridimensionamento: la spesa non è infatti giustificata da una audience dello 0 virgola, che si impenna soltanto quando c'è la trasmissione della Santa Messa e del Rosario da Lourdes.
Poi, con l'arrivo di Galantino alla Cei, ecco il miracolo: l'ingaggio di 3 professionisti ai cui stipendi – non certo da poco, visto le emittenti da cui arrivano – vanno aggiunti costi molto maggiori per i progetti editoriali che avranno pur preteso per sbarcare in casa Cei. Se 30 milioni l'anno non erano sufficienti per garantire la produzione di programmi in proprio, possiamo immaginare cosa costerà ora la tv dei vescovi che invece con Ruffini ha già iniziato a produrre programmi. Come quello andato in onda l'8 luglio, realizzato dalla regista emergente Costanza Quatriglio, un servizio su Lampedusa a un anno dalla visita di papa Francesco: protagonista principale quell'Erri De Luca tornato recentemente alla ribalta per la sua difesa delle azioni violente dei No Tav in Val di Susa.
LA QUESTIONE CULTURALE
A parte la questione economica, il dato che qui interessa sottolineare è proprio la questione culturale: vale a dire che, almeno nella sua ufficialità, la Chiesa italiana sembra incapace di esprimere una cultura che nasca dalla fede, oscillando tra seriosi esponenti che parlano un linguaggio per iniziati e personaggi popolari che vengono reclutati per manifestazioni e iniziative cattoliche e che si fanno pagare dai preti prima e dopo averne screditato la fede nella loro vita professionale.
Il problema è generale. Un altro recente esempio clamoroso di questa miseria è stato l'incontro della scuola cattolica italiana con il Papa lo scorso 10 maggio. A parte l'intervento di papa Francesco, la giornata passata in attesa delle sue parole è stata una dimostrazione imbarazzante del vuoto culturale di chi l'ha organizzata. Escluse alcune testimonianze, la parte di intrattenimento ha visto sfilare personaggi di umanità varia – Fiorella Mannoia, Max Giusti e diversi altri – scelti non si sa bene in base a che cosa e che magari si fanno paladini di battaglie che con il cristianesimo hanno ben poco a che fare. Il punto non è che sia necessario proporre soltanto personaggi di provata fede cattolica, nient'affatto: ma almeno in chi propone l'incontro deve essere chiara l'identità, per cosa un personaggio è invitato e cosa c'entra con il gesto proposto. Altrimenti si assiste a un susseguirsi di banalità come è appunto accaduto a Roma, dove è emerso un vuoto totale di proposta. In altre parole il problema non è in Fiorella Mannoia, tanto per fare un nome, ma in chi l'ha invitata.
UN ALTRO ESEMPIO: L'EXPO 2015
Un altro esempio, sempre recente, ma in un campo completamente diverso: l'ambiente. Sappiamo che papa Francesco sta preparando un'enciclica sul tema, sappiamo che a Milano si sta organizzando l'Expo 2015 sul tema dell'alimentazione e quindi della coltivazione: ed ecco allora che la Scuola della Cattedrale, pensando a tutto questo, ha organizzato per lo scorso 5 maggio un incontro di riflessione sull'ecologia per approfondire il «contributo del messaggio cristiano» sul tema. E chi è stato chiamato a fare da relatore principale? Mario Capanna, l'ex leader del Sessantotto e dell'estrema sinistra, riciclatosi come ambientalista e agricoltore sperimentale (con i fondi pubblici) nonché devastatore di coltivazioni Ogm. A fargli da contorno Emanuele Severino (il filosofo che, tra l'altro, auspica la manipolazione, la soppressione e la selezione eugenetica degli embrioni) e padre Bartolomeo Sorge. Anche sull'ambiente dunque la Chiesa (non è un problema solo di Milano) si presenta pubblicamente come se non avesse nulla da proporre di originale se non la solita propaganda ecologista, magari condita con qualche frasetta biblica tanto per darle una patente di cristianità.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare e anche il dibattito di questi giorni su mafia e Chiesa andrebbe letto in questa prospettiva. Ma basta questo a far capire quanto il nocciolo della crisi che stiamo vivendo nella Chiesa sia proprio qui. Come disse Giovanni Paolo II: «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta». E, come dimostra Tv2000, è anche molto costosa.
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