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« Torna agli articoli di Riccardo Cascioli
Da diversi giorni si parla molto di Malika Chalhy, la 22enne di Castelfiorentino (comune nelle vicinanze di Firenze) cacciata di casa dopo aver rivelato di avere una relazione omosessuale. Un caso che capita a proposito per spingere la causa del ddl Zan sull'omofobia, che dovrebbe essere discusso in Senato dopo essere già stato approvato alla Camera. Il caso, all'apparenza, è perfetto: una giovane che confessa un amore lesbico, discriminata e ripudiata dalla propria famiglia, minacciata di violenza, cacciata in strada. Ecco dimostrato che ci vuole la legge Zan. Uno schema classico: il caso pietoso che assurge a emergenza nazionale, la legge già pronta per mettere fine all'ingiustizia.
Senonché per far funzionare lo schema bisogna nascondere una parte della realtà. Non solo riguardo al ddl Zan che, come abbiamo detto molte volte, non c'entra affatto con la tutela delle persone omosessuali da atti di violenza e ingiusta discriminazione: per questo c'è già la legge italiana attualmente in vigore che, punendo i vari atti di violenza contro ogni persona, prevede l'aggravante per motivi futili e abietti, usata anche nel caso di motivi legati alle preferenze sessuali. Il ddl Zan invece ha lo scopo di punire chiunque non approvi l'ideologia Lgbtq... (e chi più ne ha, più ne metta).
No, la parte di realtà nascosta riguarda proprio il cuore del caso Malika, un fatto che da solo smonta tutto il castello che intorno alla vicenda è stato costruito per promuovere il ddl Zan. Lasciamo stare anche il fatto che il fratello di Malika racconti tutt'altra versione dei fatti, e diamo pure per buona la versione della ragazza.
Il fatto è che la famiglia di Malika è islamica: papà marocchino e mamma italiana convertita all'islam. Per poter montare il caso, utile alla causa Zan, si è omesso questo particolare, che a fatica, dopo giorni, è emerso da qualche organo di informazione minore. Già, perché questo piccolo particolare cambia completamente la storia, che dovrebbe invece accendere i riflettori su cosa accade nelle comunità islamiche in Italia, riguardo alle donne, e anche nei paesi islamici riguardo agli atti omosessuali. A questo proposito, basti ricordare che se Malika avesse confessato la sua omosessualità nel paese di origine di suo padre, il Marocco, avrebbe rischiato una pena di tre anni di carcere. E molto peggio le sarebbe andata in qualsiasi altro paesi islamico. Altro che la solidarietà subito scattata in Italia con una colletta pubblica che le ha già fruttato oltre 100mila euro.
Più che alle discriminazioni contro gli omosessuali, il caso Malika andrebbe casomai accostato a precedenti ben più gravi avvenuti in Italia contro giovani donne islamiche: ricordate Hina, la ragazza pachistana che viveva nel bresciano, uccisa dai suoi familiari perché si stava occidentalizzando troppo? E Rachida, la giovane donna madre di due figli, uccisa a martellate dal marito perché si stava accostando alla fede cristiana, e la cui vicenda è stata raccontata in un libro scritto da Souad Sbai?
Questi casi sono solo la punta dell'iceberg: in Italia c'è addirittura un Numero verde (800682718) dedicato alle donne arabe vittime di violenza, all'interno del progetto "Mai più sola" dell'associazione Acmid-Donna onlus a cui nel periodo settembre 2019-settembre 2020 sono arrivate bel 6.210 richieste di aiuto: il 51,5% per violenze e maltrattamenti, il 12% per casi di poligamia, lo 0,7% per matrimoni forzati (anche Hina fu vittima di questa pratica), l'8,6% per problemi legati all'affido dei figli minori, inclusi casi di rapimento che qualche volta affiorano anche sulle pagine di cronaca dei nostri giornali. In questo prolungato periodo di lockdown i casi, dice Acmid, sono aumentati del 67%. E questo è soltanto quello che viene denunciato, ma molti di più sono i casi che restano nascosti all'interno di comunità chiuse e spesso "religiosamente" controllate in modo ferreo (vogliamo parlare delle violenze contro coloro che si convertono, in Italia, al cristianesimo?). A questo poi vanno collegati altri fenomeni inquietanti, come la "scomparsa" di ragazze islamiche dalla scuola (il 60% non termina il ciclo di studi).
Questa è la vera emergenza che abbiamo in Italia, ma nessuno ovviamente se ne occupa, né ci sono vip che lanciano collette per aiutare le vittime delle tradizioni islamiche, che non hanno il privilegio di essere omosessuali.
Già, perché se c'è una cosa che il caso Malika insegna è che le persone con tendenze omosessuali, vittime di violenze, sono privilegiate rispetto alle altre vittime. Altro che necessità del ddl Zan. Una volta ancora si dimostra che solo la menzogna, sostenuta dai principali organi di informazione, può spacciare per emergenza quella che a tutti gli effetti si sta dimostrando una situazione di privilegio. Se il ddl Zan fosse approvato, questa palese ingiustizia si aggraverebbe ancora di più.
Nota di BastaBugie: Souad Sbai nell'articolo seguente dal titolo "Rachida, il coraggio di una convertita dimenticata" ricorda che il 19 novembre di nove anni fa veniva uccisa a colpi di martellate la marocchina Rachida Radi, "colpevole" per il marito Mohamed di voler essere libera e di essersi avvicinata al cristianesimo.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 21-11-2020:
Sono trascorsi nove lunghissimi anni da quel terribile 19 novembre del 2011, in cui un vile "marito", se così può dirsi, ha posto fine alle sofferenze di sua moglie, privando della madre le sue due bambine di 4 e 11 anni. Dopo anni di torture fisiche e mentali, la giovane marocchina Rachida Radi veniva uccisa dal suo vile carnefice a colpi di martellate nella loro casa a Sorbolo Levante, la frazione di Brescello in cui i due vivevano.
Oggi Mohamed El Ayani sta giustamente scontando la sua pena, ma è qui che la giustizia finisce, perché quella di Rachida è una ferita ancora aperta che fatica a rimarginarsi. Negli anni ho tentato di omaggiarne la memoria ogni volta ne avessi l'opportunità, affinché altre donne non subissero le stesse violenze che ha patito lei. La storia, purtroppo, ci ha insegnato ben altro, e Rachida è solo una delle tante vittime di un estremismo islamista fomentato, come sempre, dall'ignoranza.
Nove anni fa Rachida di anni ne aveva solo 35. Era stata considerata colpevole da suo marito per essersi ribellata ai maltrattamenti che subiva quasi quotidianamente e aver avviato le pratiche per la separazione. Colpevole di voler finalmente condurre una vita normale. Colpevole di voler essere libera. E colpevole, neanche a dirlo, di essersi avvicinata al cristianesimo, nel quale aveva sempre trovato un rifugio sicuro alle sue continue umiliazioni.
Chi l'ha conosciuta la descrive come una persona gentile, dal sorriso grande e buono, che aveva fatto della dignità la migliore arma per educare le sue bambine. Da qualche tempo Rachida aveva smesso di portare il velo, si sforzava di parlare in italiano, aveva iniziato a frequentare la parrocchia del paese e faceva le pulizie in chiesa per poter essere libera di pregare. Una conversione al cristianesimo che non poteva andare giù a un uomo accecato dall'odiosa ortodossia radicalista, che si sentiva minacciato da un eventuale allontanamento della moglie, un fardello impossibile da sopportare. Per non parlare del giudizio a cui sarebbe stato sottoposto dalla comunità del paese per cui mariti, padri e fratelli debbono trasformarsi in inquisitori algidi nell'eseguire la propria sentenza. Che in questi casi, si sa, punisce con la morte.
Rachida è morta per condurre un'esistenza migliore, per dare un futuro migliore alle sue figlie e per salvaguardare il suo credo, i cui membri, al contrario, non hanno tutelato lei. Oltre al danno la beffa. Non bastava vedersi spezzati i propri sogni, Rachida ha dovuto impiegare ben 50 giorni per trovare una degna sepoltura perché il suo corpo non lo voleva nessuno, nemmeno la comunità cristiana.
Rachida, che considero alla stregua di una martire, merita quantomeno di essere rievocata per il suo coraggio e la sua forza di volontà nel voler combattere per la libertà. [...]
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