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« Torna agli articoli di Riccardo Cascioli
Come è noto, sabato 21 maggio si svolgerà a Roma la Manifestazione per la vita, che prevede una marcia con inizio alle ore 14 da piazza della Repubblica e arrivo in piazza San Giovanni, dove ci saranno testimonianze e interventi. Come accade dal 2011, anche quest'anno dunque avremo una marcia intorno al 22 maggio, giorno che nel 1978 segnò l'approvazione in Italia della legge che legalizzava l'aborto.
Che anche in Italia si sia creata la possibilità di questa iniziativa - sul modello di tante che si svolgono in varie parti del mondo - non può che essere salutato con soddisfazione, e dunque non c'è che da augurarsi una piena riuscita dell'iniziativa di sabato, per la quale si prevede l'arrivo a Roma di decine di migliaia di persone: non tanto grazie all'adesione quest'anno di una novantina di associazioni, quanto alla mobilitazione del movimento neocatecumenale convinto dalla presenza di un suo esponente, Massimo Gandolfini, quale portavoce della manifestazione.
Detto questo però non sarebbe serio cercare di nascondere la polvere delle divisioni e dei distinguo del popolo pro-life sotto il tappeto della bella manifestazione con tante adesioni di associazioni. Anzi, è doveroso capire cosa stia avvenendo nel variegato e complesso popolo della vita italiano per comprendere anche le prospettive future ed eventualmente correggere la rotta.
Proviamo a spiegarci: il primo fattore da comprendere è che, malgrado l'apparenza e malgrado i tentativi di ricucire, il mondo pro life italiano è molto diviso. E sabato prossimo mancheranno a Roma componenti importanti di questo popolo, a cominciare da chi ha organizzato le Marce per la vita da 11 anni a questa parte. Non a caso quella di quest'anno si chiama Manifestazione per la vita e non Marcia per la vita, il cui marchio registrato resta in mano a chi ha organizzato l'evento fino al 2021. Bisogna dare atto che si è evitato di creare uno scontro pubblico in nome di un bene più grande, ma la divisione resta e non è un problema di antipatie personali. Il problema sono i contenuti, e non certo da oggi, dato che questa non è neanche la prima grossa trasformazione dell'iniziativa.
IN PRINCIPIO FU LA MARCIA PER LA VITA
Dobbiamo perciò risalire all'origine: nel 2011 la prima Marcia nazionale per la Vita si svolse a Desenzano del Garda, organizzata da Movimento Europeo Difesa Vita (MEDV) e associazione Famiglia Domani, con l'adesione di diverse associazioni. In Italia per la prima volta emergeva un popolo della vita fuori dai canali istituzionali, ovvero in alternativa al Movimento per la Vita che, dipendente dalla Conferenza Episcopale Italiana, era molto ingessato e più incline a frequentare i palazzi della politica che non a mobilitare l'opinione pubblica, anche ricorrendo alle piazze.
Non per niente diverse delle associazioni aderenti alla prima Marcia per la vita erano schegge uscite dal Movimento per la Vita, in aperto contrasto con la sua dirigenza nazionale. E ovviamente il Movimento per la Vita osteggiava apertamente l'iniziativa. Già nel 2012 la Marcia si trasferisce a Roma, preceduta il giorno prima da un Congresso internazionale sulla vita. Ma già nel 2014, in nome di una maggiore purezza della battaglia contro l'aborto, una parte dei primi organizzatori è costretta a ritirarsi: il problema era la partecipazione di relatori giudicati non completamente allineati su ogni aspetto delle battaglie pro life. Così al nome della Marcia viene affiancato lo slogan "senza compromessi", per evitare qualsiasi ambiguità. Nello stesso tempo però fette consistenti del mondo pro-life non partecipavano alla Marcia che infatti, anche negli anni più brillanti, non ha mai superato qualche migliaio di partecipanti.
L'arrivo del Covid, e la diatriba sui vaccini preparati con linee cellulari provenienti da feti abortiti, ha fatto il resto: non è un segreto che chi aveva la massima responsabilità della Marcia ha sostenuto la vaccinazione senza se e senza ma. Si è così creata una frattura insanabile che ha portato il Comitato Marcia per la Vita a sciogliersi l'anno scorso e a rendere impossibile una nuova Marcia con la stessa dirigenza (che però ha mantenuto il marchio).
INIZIATIVA ECUMENICA
Sono entrate così in gioco altre associazioni che hanno preso il testimone, cogliendo l'occasione per proporre una iniziativa che solo apparentemente è in continuità con la storia precedente, tanto è vero che sabato mancheranno proprio le componenti che hanno finora sostenuto la Marcia per la Vita: si è passati infatti da una concezione esclusivista, fortemente connotata dal punto di vista cattolico, a una iniziativa "ecumenica" che tende a riunire tutti a costo di ammorbidire i contenuti ed evitare le questioni più spinose. In effetti leggendo il manifesto appare chiaro che, sebbene il giudizio negativo sull'aborto sia netto, si evitano riferimenti alla legislazione italiana puntando invece sulla testimonianza positiva per la vita. E questo anche in un momento in cui quanto sta accadendo negli Stati Uniti, con il possibile rovesciamento della sentenza della Corte Suprema sull'aborto, dovrebbe indurre a maggiore coraggio sulla possibilità di cambiare il corso della legislazione.
Ma soprattutto si evita accuratamente il tema che pure ha lacerato il mondo pro life in questi due anni, ovvero il vaccino, e anche una condanna più generica dell'uso di linee cellulari di feti abortiti nell'industria farmaceutica (non solo vaccini anti-Covid dunque) è sparita dal manifesto finale. La domanda è d'obbligo: quanto può essere solida un'unità che evita le questioni più spinose, su cui ci sarebbe davvero bisogno di chiarirsi? In fondo è la stessa Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede sui vaccini anti-Covid a chiedere ad aziende farmaceutiche e governi di produrre e commercializzare farmaci evitando l'uso di quelle linee cellulari.
IDENTITA' DILUITA... EPPURE ANCORA NON BASTA AL MOVIMENTO PER LA VITA
C'è da aggiungere che quanti dei partecipanti alle vecchie marce per la vita non aderiscono alla Manifestazione di quest'anno obiettano anche sul titolo dato alla manifestazione, "Scegliamo la vita", uno slogan di vago sapore pro-choice. Il tema della scelta, in effetti, appartiene al fronte abortista, tradizionalmente nel fronte pro-life si parla di accoglienza della vita, essendo questa un dono.
Ma è chiaro, in questo, tutto lo sforzo degli organizzatori di trasmettere un messaggio positivo, di trovare parole e slogan su cui tutti - o perlomeno il maggior numero possibile - possano ritrovarsi in qualche modo. Per questo c'è anche la massima attenzione a evitare che gruppi o singoli attivisti pro life portino manifesti o immagini che possano creare problemi, sul sito della manifestazione ci sono anche gli slogan da stampare su striscioni e cartelloni, i soli consentiti. È uno sforzo certamente diretto alla Chiesa istituzionale per averne il sostegno, inclusa l'adesione del Movimento per la Vita. Quest'ultimo tentativo è però clamorosamente fallito in modo addirittura grottesco. Il Movimento per la Vita, guidato da Marina Casini, ha infatti partecipato a tutta la fase preparatoria della Manifestazione, influenzando pesantemente il contenuto del manifesto e chiedendo anche garanzie per isolare o silenziare eventuali gruppi e associazioni giudicate estremiste. Dopodiché, l'assemblea del Movimento per la Vita ha comunque bocciato la proposta di adesione e la presidentessa Marina Casini ha dovuto inviare una imbarazzata e patetica lettera di spiegazione ai membri del Movimento.
Risultato: l'adesione di tante associazioni e la prevista partecipazione in massa del movimento neocatecumenale, per quanto positive, non possono comunque nascondere la realtà di un movimento pro-life italiano che resta molto frammentato e diviso. Ci si può solo augurare che si abbia più coraggio di un confronto vero e trasparente, e senza reciproche scomuniche, sulle questioni di fondo che riguardano la vita perché cresca una unità su ciò che conta davvero. E che la manifestazione del 21 maggio possa essere un passo in questa direzione.
Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Riccardo Cascioli, nell'articolo seguente dal titolo "Avvenire e aborto, il fascino discreto della Legge 194" fa notare che il quotidiano della CEI, pur facendo un resoconto della manifestazione per la vita, in realtà difende la legge 194 del 1978 che in Italia ha introdotto l'aborto.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 24 maggio 2022:
Il segnale politico è chiaro: la Chiesa italiana - ovvero la sua gerarchia - difende la legge 194 che ha introdotto l'aborto nel 1978, ma lo fa in modo discreto, con una breve colonnina pubblicata da Avvenire (il giornale della Conferenza Episcopale Italiana, CEI) a fianco del resoconto della manifestazione per la vita svoltasi a Roma sabato 21 maggio. Il testo non è firmato, ma è chiaramente impensabile che su un tema tanto delicato possa uscire una nota del genere - molto precisa in quel che vuole comunicare - per distrazione o per l'iniziativa di un redattore disinformato o malintenzionato. E non può certo essere casuale il momento scelto, ovvero all'indomani della Manifestazione per la vita, a fianco del resoconto (neutrale) di cronaca, come a voler rassicurare qualcuno che comunque la Chiesa farà di tutto per evitare che venga messa in discussione la legge 194.
Cosa dice infatti questa nota che sotto l'etichetta "Da sapere" viene titolata "L'obiettivo della 194"? Vale la pena riportare il testo completo:
"Prima che un diritto è e resta una scelta drammatica ed estrema, quella dell'aborto. Che la legge italiana consente dal 22 maggio del 1978 nella misura in cui un bene giuridico costituzionalmente sancito - il diritto alla vita del concepito - si pone in insanabile contrasto con un altro di pari valore - la salute fisica e psichica della gestante.
Ecco il vero spirito della legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza, che traspare da tutto il suo testo e che tante sentenze hanno confermato nel corso degli anni.
Lo Stato riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio, vi si legge nell'articolo 1. E riconosce, sì, il diritto ad abortire, ma imponendo ogni volta il tentativo di rimuovere le cause per cui esso viene chiesto e subordinandolo a procedure rigide".
Intanto c'è da chiedersi che senso ha fare un colonnino sulla legge 194 quando questa non era a tema della Manifestazione per la vita e men che meno se ne parla nell'articolo di cronaca. Già da questo traspare la volontà di mandare un messaggio. Ma quello che è scandaloso sono la quantità di menzogne che il giornale dei vescovi riesce ad accumulare in così poche righe. Ci limitiamo a sottolineare le questioni fondamentali.
La legge italiana, ci dice Avvenire, consentirebbe l'aborto solo come soluzione di un insuperabile contrasto tra due beni giuridici (costituzionalmente sanciti) di pari valore. Falso. Intanto perché la vita non è espressamente tutelata dalla Costituzione sin dal concepimento, ma indirettamente: l'articolo 31 impone infatti la "protezione della maternità", in quanto rientra tra gli adempimenti dei "compiti relativi" alla famiglia. Inoltre, se il problema fosse stato regolare il rapporto tra la vita del concepito e la salute della madre, la legge non sarebbe servita a nulla perché ci aveva già pensato la Corte Costituzionale tre anni prima. Con la sentenza numero 27 del 1975 la Corte aveva infatti già deciso che in questi casi a prevalere è la salute della madre.
E ancora: si vorrebbe far credere ai lettori che l'aborto in Italia è consentito soltanto in questi casi drammatici in cui si deve scegliere tra la madre e il bambino. Senonché casi del genere si possono contare ogni anno sulle dita di una sola mano, mentre dal 1978 ad oggi sono stati praticati in Italia circa 6 milioni di aborti, senza considerare che ormai tra RU486 e pillole del giorno dopo e dei 5 giorni dopo è diventato impossibile un conteggio esatto.
In realtà l'aborto in Italia è consentito praticamente sempre nei primi 90 giorni: il rischio per la salute fisica o psichica può essere infatti relazionato allo "stato di salute" della madre, "o alle sue condizioni economiche, sociali e familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito" (articolo 4). E dopo i 90 giorni "quando la gravidanza e il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna" e "quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna" (art. 6).
Ci vuole una bella dose di malafede per affermare che in Italia l'aborto sia una scelta estrema, così come nascondersi dietro al titolo della legge e all'articolo 1 che afferma come "lo Stato riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio". Si tratta di un chiaro specchietto per le allodole, visto che di tutela della maternità si parla soltanto all'articolo 2 della legge ed esclusivamente per blindare il sistema dei consultori statali (decisivo per diffondere la pratica dell'aborto), del cui finanziamento si parla poi all'articolo 3. Dopodiché, dall'articolo 4 al 22 (in pratica tutta la legge) si parla esclusivamente di aborto, anzi di "interruzione volontaria della gravidanza" come il linguaggio politicamente corretto prescrive. E delle previste pene pesanti per chiunque causa l'aborto al di fuori di quelle che Avvenire considera "procedure rigide", ci sanno dire dal giornale della CEI quante ne sono state comminate in questi 44 anni?
La realtà è che il vero spirito della legge 194 è la legalizzazione dell'aborto, fondata sull'autodeterminazione della donna. Peraltro il direttore di Avvenire era allora già cresciuto abbastanza per poter ricordare in quale clima culturale e politico è stata approvata la legge 194. "Il corpo è mio e lo gestisco io" era forse uno slogan per rivendicare il valore sociale della maternità? Le migliaia di aborti illegali praticati dalle militanti radicali - Emma Bonino in testa - per spingere il Parlamento a legalizzare l'aborto, intendevano promuovere una crociata a tutela della maternità?
La risposta è ovvia. C'è solo dunque da chiedersi quale sia il vero obiettivo di Avvenire e delle gerarchie ecclesiastiche a cui risponde. Di sicuro manda un segnale rassicurante a certi poteri: lasciate pure gridare un po' in piazza questi pro-life, non vi preoccupate, sono innocui; in Italia non accadrà come negli Stati Uniti, è la Chiesa cattolica stessa a difendere la legge sull'aborto e a spegnere sul nascere qualsiasi velleità di rimetterla in discussione.
Quindi c'è un segnale chiaro anche per gli organizzatori della Manifestazione: fate pure delle belle marce, parlate della bellezza della vita, promuovete una cultura della vita, ma restate bene dentro il recinto, non provate neanche a uscire dai confini segnati, sennò restate da soli e niente più copertura mediatica della stampa cattolica istituzionale né saluti del Papa al Regina Coeli.
E certamente, nel momento del passaggio di consegne della presidenza CEI dal cardinale Gualtiero Bassetti al suo successore, che sarà deciso nei prossimi giorni, si tratta anche di un modo per blindare il futuro presidente (ammesso che ne avrà bisogno).
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