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IL PERICOLO DEL NUOVO PASTORALISMO SOCIALE
Nuovo libro dell'arcivescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi intervistato da Stefano Fontana (VIDEO: i doveri della politica nei confronti della religione vera)
di Silvio Brachetta
 

Si sono sentite spesso ripetere, da parte dell'episcopato, esortazioni di questo tenore: c'è bisogno di «una nuova classe di politici cattolici», di una «nuova stagione del cattolicesimo politico», di «una nuova generazione di cattolici impegnati in politica». È del tutto vero. Ma dove mai «dovrebbe andare a formarsi un laico», dato che l'insegnamento della Dottrina sociale è «molto carente»?
Se lo chiede Mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, nel libro "La Chiesa italiana e il futuro della Pastorale Sociale" (Cantagalli, 2017), scritto assieme a Stefano Fontana, direttore dell'Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa. L'Arcivescovo tratta della questione nel capitolo "Pastorale e pastoralismo: equivoci e ritardi nella Pastorale Sociale". E individua la causa della crisi pastorale proprio nel «pastoralismo» definito, appunto, come una «pastorale sociale senza dottrina» o una sua «assolutizzazione», che «soffoca e assorbe le altre dimensioni della vita della Chiesa».

LA DERIVA DI KARL RAHNER
È un problema che ha segnato tutta l'epoca postconciliare e che si è acutizzato specialmente negli anni successivi al 1980. Si tratta di una prassi innescata, in modo particolare, dalla teologia di Karl Rahner, secondo cui nella Chiesa c'è posto per tutti e per tutte le dottrine, indistintamente. Secondo Crepaldi, a seguito della deriva rahneriana, vasti settori della Chiesa hanno dimenticato che in essa «possono entrare tutti, ma non il male che portano con sé». In altre parole, il mondo «non è solo l'ambito esistenziale dell'umano» (come pensava Rahner), ma «anche il luogo delle forze antagoniste a Cristo». Per questo motivo, la pastorale non può limitarsi al semplice accompagnamento o al puro ascolto di tutti gli uomini, ma deve trovare il coraggio d'indicare la dottrina di Cristo, il quale - spiega Crepaldi - «ci ha detto di amare tutti, ma non di amare tutto». Nel momento in cui il cristiano rinuncia ad indicare il peccato e l'errore, respingendo così la dottrina, scivola dalla pastorale al pastoralismo.
Non è possibile, allora, collaborare con tutti e specialmente con chi rifiuta, a priori, la verità cattolica. Sono tipici atteggiamenti pastoralisti, ad esempio, la «cura delle persone omosessuali» e la simultanea «accettazione dell'omosessualità», o la collaborazione con organizzazioni «impegnate per il riconoscimento dei diritti delle persone LGBT, per l'approvazione del diritto all'eutanasia, per la liberalizzazione della droga, per i "diritti sessuali e riproduttivi"» o impegnate per la «contraccezione». Non è infrequente - dice l'Arcivescovo - che la pastorale resti «priva di annuncio», nel timore che la dottrina si possa trasformare in ideologia ed «impedisca l'incontro». Sono in molti, purtroppo, a pensare che la verità sia causa della «divisione tra i cattolici». Molti parroci non trattano i «temi scottanti» per paura di «dividere la comunità», dimenticando però che «l'unità si fa nella verità».

DOTTRINA SOCIALE, LA GRANDE ASSENTE
Non deve stupire che da simili pratiche siano scaturite forme oramai sclerotizzate di relativismo e secolarizzazione. La grande assente degli istituti di scienze religiose e dei seminari è stata proprio - e continua ad essere - la Dottrina sociale. Crepaldi lamenta anche una certa assenza formativa nei Movimenti ecclesiali, più assorti su «altre priorità».
Crepaldi e Fontana avevano più volte riflettuto sul pastoralismo. Nell'articolo "Il pastoralismo, malattia infantile del catto-pietismo" (La Nuova Bussola Quotidiana, 13/01/2016), Stefano Fontana ne ha elencato i danni. Tra l'altro, il pastoralismo «ha fatto pensare a molti che non bisogna più intervenire sulle leggi, ma solo sulle coscienze delle persone»; «fa ritenere che scendendo sul terreno delle leggi civili la fede cattolica diventi ideologia»; «ha indirizzato tante Diocesi a trattare certi temi, ma con l'intervento di tutte le opinioni in campo e senza prendere posizione». Per il pastoralista, nulla di oggettivo è più materia di critica o giudizio. Nulla è più carità o presenza, se non aiuto immediato, pronto soccorso. Non c'è più posto per programmi strutturati, per una proposta formativa di lungo respiro, per un progetto di evangelizzazione. La pastorale sociale è tutt'altra cosa.

Nota di BastaBugie: mons. Crepaldi e Stefano Fontana hanno fondato in varie regioni italiane le scuole di Dottrina Sociale della Chiesa seguendo il modello della diocesi di Trieste. Nel seguente video Stefano Fontana nell'incontro del Centro Culturale "Amici del Timone" di Staggia Senese del 13 ottobre 2017 analizza il rapporto politica-religione in una lezione dal titolo "La laicità e i doveri della politica nei confronti della religione vera".


https://www.youtube.com/watch?v=b5HFekIyx30

Per un resoconto della conferenza, clicca qui sotto:
http://www.amicideltimone-staggia.it/it/articoli.php?id=164

 
Titolo originale: Il pericolo del nuovo pastoralismo sociale nell'ultimo libro dell'arcivescovo Crepaldi
Fonte: Osservatorio Van Thuân, 16/10/2017