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« Torna agli articoli di Stefano Fontana
Cosa insegna la Dottrina sociale della Chiesa sulle nazioni, gli Stati e il loro rapporto? Può essere utile chiederselo, oggi che la Catalogna pone tutti questi problemi sul tavolo dell'attualità con il cosiddetto referendum per l'indipendenza.
Il punto di partenza riguarda il problema quale delle due realtà venga prima, se la nazione o lo Stato. La Dottrina sociale della Chiesa pensa che venga prima la nazione, che ha quindi una sua propria originarietà che non le deriva dal riconoscimento dello Stato ma che lo presuppone. La nazione è l'insieme delle famiglie e delle aggregazioni sociali plasmate in una forma unitaria dalla storia, dalle tradizioni, dai valori che danno senso alla vita comunitaria, soprattutto la religione.
LA NAZIONE È QUALCOSA DI VITALE
All'origine della società non stanno né individui indipendenti e slegati né il potere dello Stato inteso come un altro individuo, più forte delle individualità dei cittadini e che si impone su di essi legandoli insieme. Una società simile sarebbe una somma di individui tenuti artificialmente insieme da un Individuo più forte di tutti, non diverso da essi quanto a individualità ma solo per potenza.
La politica moderna, si sa, è purtroppo figlia di queste due impostazioni che hanno soffocato e distrutto le nazioni. In modo particolare lo Stato moderno, il Leviatano (Hobbes) dal potere che dipende solo dalla sua spada (Bodin) ha attuato una semplificazione dall'alto (una "reductio ad unum" della molteplicità della storia, come già diceva Marsilio Da Padova nel XIV secolo) che ha eliminato tutto quanto stesse in mezzo tra Sé e i cittadini, comprese quindi le nazioni.
Lo Stato moderno, nella sua lunga e dolorosa storia, ha sempre combattuto le nazioni. Lo Stato nato dalla Rivoluzione Francese e poi dal Codice Napoleonico ha ridotto le nazioni a Dipartimenti, quando non le ha colpite con la violenza dell'esercito sia in Francia che in Germania che in Italia. Le insurrezioni antinapoleoniche avevano origini sia religiose che nazionali. Lo Stato sovietico ha deportato interi popoli e ha soffocato nel terrore e nell'uniformismo rivoluzionario le varie nazioni dell'impero, che non sono morte, dato che dopo il '91 sono tutte riemerse, ma senz'altro hanno sofferto molto. Dopo la disgregazione dell'Impero austro-ungarico si celebrava il principio dell'autoderminazione dei popoli che però non fu per niente applicato.
NEL MEDIO EVO L'IMPERO NON SOFFOCAVA MA PROTEGGEVA LE NAZIONI
Cosa ben diversa era la realtà della Respublica Christiana nel Medio Evo e poi, più avanti nel tempo, negli imperi che solo la violenza organizzata contro di essi nella prima guerra mondiale è riuscita a distruggere. Nel Medio Evo l'Impero non soffocava ma proteggeva le nazioni e, con esse, la molteplice varietà della comunità politica di allora. Fino al XX secolo, l'Impero di Austria-Ungheria aveva cercato di fare sostanzialmente lo stesso, fino a che gli fu impedito di farlo.
All'origine della comunità politica - per usare l'espressione di Aristotele - non stanno né gli individui né questo altro Grande Individuo che viene chiamato Stato. Stanno le persone dentro i loro legami naturali come la famiglia e la nazione. L'equivoco personalista fa iniziare la società e la socialità dalla persona. E' vero, ma bisogna aggiungere che la persona è fin da subito dentro relazioni sociali naturali e originarie che divengono per essa "normative", vale a dire indicazioni per la vita buona. Il bene comune è prima di tutto dietro di noi piuttosto che davanti a noi.
L'Unione Europea avrebbe dovuto seguire le orme della Respublica Christiana medievale o degli imperi, con un centro e contemporaneamente molte periferie autonome frutto della sapienza della storia, ma non lo ha fatto. Ha preferito seguire l'esempio dello Stato moderno. Se un super Stato europeo non c'è, bisogna però riconoscere che l'Unione europea ha posto tutte le premesse perché ci sia.
IL RISCHIO CHE I NUOVI STATI "REGIONALI" SI STRUTTURINO A LORO VOLTA COME LO STATO ASSOLUTO E CENTRALIZZATO
Se lo Stato soffoca le nazioni alla fine soffoca anche se stesso, perché la natura non si può vincere. La Spagna è rimasta fuori dalla rivoluzione francese e dallo Stato napoleonico e ha conservato per molti versi le caratteristiche di un piccolo impero. La secessione della Catalogna potrebbe essere un altro esempio di come gli Stati europei possano essere destrutturati e ristrutturati su base nazionale. Non è del resto successo così anche per la Cecoslovacchia o per la Jugoslavia? Tanto più che la globalizzazione permette di superare le difficoltà di tanti Stati tutto sommato piccoli per garantire le necessarie economie di scala. Ecco perché il geografo triestino Gianfranco Battisti dice che "L'ipotesi attuale di una secessione conflittuale della Catalogna (che rispetto a Madrid rappresenta quello che è per Roma la Lombardia) fa comprendere quali possano risultare le conseguenze di una ristrutturazione regionale dell'Europa. Se lo Stato è, concretamente, il contenitore di un'economia, la sua disaggregazione comporta inevitabilmente lo smantellamento di quest'ultima, con la gravissima perdita di fondamentali economie di scala. Un disastro, a meno che non lo si inquadri all'interno dei cambiamenti imposti dalla globalizzazione, i cui meccanismi già stanno redistribuendo queste economie sull'intera scacchiera mondiale".
Si ponga però attenzione ad un pericolo, ossia che i nuovi Stati nati sotto la spinta delle rivendicazioni nazionali si strutturino a loro volta come lo Stato moderno, in forma assoluta e centralizzata. Di più, che la spinta alla secessione e all'indipendenza non sia, in fondo, per fedeltà all'originaria realtà della nazione, ma per egoismi statalistici.
Nota di BastaBugie: nell'articolo sottostante dal titolo "Il referendum non è andato come ve l'hanno raccontato" un italiano che vive a Barcellona racconta cosa è successo davvero in Catalogna. La televisione ha mostrato scontri, feriti, violenza come se la situazione fosse degenerata dappertutto. In realtà nella quasi totalità dei seggi la situazione è stata tranquilla e pacifica. Al solito, bisogna essere sul posto per verificare di persona, altrimenti i mezzi di comunicazione di massa distorcono le informazioni per i loro scopi. I telegiornali infatti non fanno informazione, ma indottrinamento di massa.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su Tempi il 2 ottobre 2017:
Sono un italiano che vive a Barcellona e dopo aver visto il servizio del Tg1 sul referendum e letto alcuni giornali internazionali, credo di dover fare un po' di chiarezza su come sono andate davvero le cose. Ieri ci sono effettivamente stati degli scontri, ma, a differenza dell'immagine data da televisioni e giornali, la città non è stata messa a ferro e fuoco. Ci sono state situazioni pessime, ma solo in pochi luoghi strategici.
Il 95 per cento dei seggi ha funzionato (molto a rilento) senza nessun problema di ordine pubblico. Molti miei amici sono andati a votare e ci hanno messo delle ore, ma non hanno dovuto lottare per farlo. Io sono uscito senza problemi di casa e sono passato davanti a un seggio, fuori dal quale c'erano 200 persone in fila e due poliziotti che se ne stavano tranquilli tranquilli a controllare il traffico. Non abbiamo assistito a nessun pestaggio ingiustificato.
Anche il dato degli 800 feriti è da prendere con le pinze: alcuni hanno riportato contusioni gravi, e questo è indiscutibilmente deprecabile, ma per la quasi totalità si tratta di feriti lievi. La linea presa dal governo catalano, sostenuta anche con un comunicato ufficiale, era quella di farsi fare un certificato medico e sporgere denuncia per qualsiasi lesione. Di conseguenza, nei seggi dove si sono verificati gli scontri, anche chi aveva al massimo una pellicina strappata è stato convinto ad andare in ospedale per farsi medicare e per far salire il numero di feriti di cui Rajoy comunque dovrà rendere conto. Quello che non si dice è che negli 800 feriti ci sono anche 60 poliziotti che sicuramente non si sono picchiati da soli.
Rajoy è stato ingenuo, è riuscito a farsi fregare e passare per il cattivo di turno in tutta la Spagna, quando invece sono i catalani dalla parte del torto visto che il referendum era stato dichiarato illegale e non tutti in Catalogna sono favorevoli l'indipendenza. Solo il 40 per cento degli aventi diritto è andato a votare (2,6 milioni su 5,5) e di questi il 90 per cento ha detto sì. Hanno votato dunque per l'indipendenza solo il 36 per cento dei catalani, che vogliono decidere anche per il restante 64. E tutto per colpa di un governo che ha appena il 48 per cento dei voti in parlamento. In 48 ore dovrebbero dichiarare l'indipendenza e vediamo che cosa succederà. Nel resto della Spagna oggi Rajoy raduna il Parlamento e quasi certamente ne verranno chieste le dimissioni, ma lui difficilmente mollerà.
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