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Serata del Festival di Sanremo dedicata alle donne (e sai la novità). Molti anni fa, quando era ancora in forza ad Avvenire, l'amico Maurizio Blondet venne mandato a seguire il Festival. Era una sorta di punizione, perché il giornalista, ad avviso dell'allora direttore, faceva troppo il "complottologo" commentando da par suo gli avvenimenti (politici) nazionali e internazionali. Blondet, che era stato anche inviato di guerra, si sentì, giustamente, declassato, e, riferendosi al Festival, parlò di sguincio di "imbecillità nazionale". In effetti, già all'epoca non erano più "solo canzonette". Sanremo non lo è mai stato, per gli italiani, e ancora adesso è un avvenimento molto importante, a giudicare dai folli indici di ascolto che registra. Infatti, le serate canoniche erano tre, e avanzavano; poi, visto il successo clamoroso, sono passate a quattro. Prima o poi, se va avanti così, Sanremo durerà una settimana e mi chiedo come mai non abbiano pensato ad abbinarci la Lotteria di Capodanno.
SANREMO, LA GOLOSA PREDA
Si capisce, dunque, perché il politicamente corretto abbia avvistato la golosa preda e cerchi in ogni modo di metterci il cappello sopra. Qualche stagione fa, il Festival sembrò un Gay Pride, con tanto di intervento dell'allora senatore Grillini a bilanciare una canzone di Povia (Luca era gay). Poi, volta dopo, tutti i cantanti coi nastri arcobaleno al polso, cosa che fece commentare il politologo Galli Della Loggia: ai tempi del Reich si sarebbe presentati con la svastica al braccio. Quest'anno, le donne. Michelle Hunziker si mette a cantare I maschi di Gianna Nannini e viene fintamente apostrofata da alcune donne tra il pubblico. Finisce che tutte si ritrovano a intonare Le donne di Modena di Francesco Baccini, poi Viva la mamma di Edoardo Bennato e, ahiahi, O mia bela Madunina di Giovanni D'Anzi.
Ed è qui che certe femministe si sono indispettite: eh, no, la Madonna no. Vergine & madre, figurarsi. Dopo tutte le battaglie perché le donne si liberassero dal cliché. E caso vuole che la Hunziker fosse vestita in rosa confetto. Come Barbie. Eh, no, quando è troppo è troppo. Si legge infatti su Wired.it: "Se un alieno ieri sera avesse visto Sanremo avrebbe dedotto una sola cosa: le donne non sono altro che delle Barbie bionde, rigorosamente vestite di rosa, che nella vita hanno un unico obiettivo, quello di diventare mamme". Mamma mia, che impressione! Oops, ho detto mamma... "Rosa per le donne? Ancora?". Wired.it si augura sia stata solo "una sfortunata coincidenza (e non una pessima caduta di stile)". Le (finte) spettatrici che hanno interrotto la Hunziker hanno sottolineato un verso della canzone di Baccini: "Tutte le donne di Napoli sono mamme". Scuote la testa Wired.it: "Una scelta infelice, ma il peggio deve ancora venire". E quale sarebbe il peggio?
LA MADONNA È LA MAMMA DI TUTTE LE MAMME
La Hunziker che canta O mia bela Madunina perché, dice, la Madonna è la mamma di tutte le mamme. Guai! "Ma è mai possibile che nel 2018 leghiamo ancora la donna al concetto di maternità?" (Wired.it). In effetti, non si vede a che cosa tale concetto possa essere legato, visto che, anche quando si procede per via artificiale, sempre una donna ci vuole a monte. Ma con le ideologie non si ragiona, perciò ecco la femminista lamentare lo spreco, il "buttare via" in un solo colpo mezzo secolo di battaglie.
Ed è qui il punto: è così fragile e delicata l'ideologia femminista che basta Michelle Hunziker vestita di rosa sul palco di una gara di canzoni a vanificarla? Basta davvero l'inno di Milano e un riferimento, peraltro vago, alla Madonna? Noi credenti sappiamo che la Madonna interemit cunctas heresis, debella tutte le eresie. Mai avremmo immaginato che l'avrebbe fatto anche dal palco del Festival di Sanremo.
Nota di BastaBugie: Fabio Piemonte nell'articolo sottostante dal titolo "Vincere l'odio con l'amore, ma senza relativismo" parla della canzone vincitrice di Sanremo "Non mi avete fatto niente". L'idea nasce da una lettera di un marito dopo la strage del Bataclan. E afferma la verità che il male si vince col bene. Ma è una grazia che l'uomo da solo non può darsi. Per questo il relativismo della canzone è da rigettare. Islam e cristianesimo non sono la stessa cosa.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 febbraio 2018:
"Non mi avete fatte niente" è la canzone di Fabrizio Moro ed Ermal Meta premiata con il Leone d'oro al Festival di Sanremo 2018. Una vittoria auspicata da tanti per un brano certamente significativo e un'interpretazione davvero intensa da parte dei due artisti, in cui la voce morbida e calda di Meta mitiga e stempera quella graffiante di Moro. Ogni canzone però si compone di musica e parole, per cui non bisogna limitarsi alla dimensione emotiva suscitata dalla sua musicalità, ma è opportuno soffermarsi adeguatamente anche a riflettere sul significato profondo del testo, a partire dalla sua genesi.
È stata uan commovente lettera, che il parigino Antoine Leiris postò su Facebook all'indomani della strage del Bataclan del 13 novembre 2015 in cui rimase uccisa sua moglie, a ispirare il testo della canzone "Non mi avete fatte niente" di Moro e Meta.
Eccola: «Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale l'amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi (...). L'ho vista stamattina finalmente, dopo notti e giorni d'attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di corta durata (...). Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo petit garçon vi farà l'affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio».
"La musica serve per trasformare l'odio in amore, ma ci vuole anche l'educazione". Con queste parole Moro ha risposto ai giornalisti in sala stampa nel merito del significato del testo della canzone. Gli ha fatto subito eco Meta: "Qualcosa ti può entrare come una spina, ma sta a te trasformarla in fiore".
Il leit motiv del brano dei due cantautori risiede proprio nella possibilità dell'uomo di non ripagare il male con il male, la violenza subita con sentimenti di odio e di vendetta, ma di vincere il male con il bene, sconfiggendo l'odio con l'amore per costruire un mondo più umano e fraterno. Se questo messaggio è senza dubbio profondamente condivisibile da credenti e non credenti, sembra però non sia altrettanto facile, per i due artisti, riconoscerne esplicitamente l'impronta cristiana.
A tal proposito è doveroso precisare che l'essere umano non possiede in se stesso e naturalmente la capacità di trasformare il male in bene, l'odio in amore, ma può farlo esclusivamente se il Creatore gliene offre la possibilità attraverso il dono della sua grazia. Nessun altro uomo se non il Dio-Uomo, Cristo Gesù, e con Lui e in Lui schiere innumerevoli di martiri provenienti da ogni angolo della terra, hanno avuto ed hanno parole di perdono per i propri carnefici.
Ecco perché se è doveroso "dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" non può esser accolta con lo stesso favore la consueta solfa relativista che pone tutte le religioni sullo stesso piano, allorquando il brano recita: «C'è chi si fa la croce e chi prega sui tappeti. Le chiese e le moschee, l'Imàm e tutti i preti, ingressi separati della stessa casa. Miliardi di persone che sperano in qualcosa». È vero, siamo tutti figli di un solo Padre, ma credere in Allah o nel Dio di Gesù Cristo non è evidentemente indifferente. In nessuna sura del Corano si legge: "Amate i vostri nemici", né dalla vita di Maometto si apprende che il vertice dell'amore sia il perdono, laddove invece la sublimità del cristianesimo risiede proprio nella novità dell'amore oblativo del Padre, il quale offre la vita del Figlio per la vita del mondo e in questo modo trasforma il più atroce supplizio per un condannato a morte nel più nobile atto d'amore che sia mai stato compiuto nella storia umana. La salvezza di tutto il genere umano ha dunque un prezzo molto alto da pagare: il sangue preziosissimo del Figlio di Dio.
Pertanto se è in conformità al messaggio evangelico che il parigino Antoine Leiris si 'impose' di non odiare i carnefici della moglie e constatò con dolore quanto la morte di lei sia stata "una ferita nel cuore di Dio" allora, cari Ermal Meta e Fabrizio Moro, dovreste ammettere con chiarezza che un dio non vale l'altro!
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