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Nove anni sono trascorsi dall’11 settembre. Se ne torna a parlare anche per l’annuncio del pastore protestante Terry Jones di voler bruciare copie del Corano. Se ne torna a parlare anche perché c’è chi vuole costruire una moschea sul luogo dove avvenne il terribile attentato.
Ovviamente il gesto proposto dal pastore americano è da stigmatizzare. Ma attenzione: lo è per un semplice ma importante motivo, perché è inopportuno in quanto possibile causa di inasprimento di uno scontro che purtroppo è già in atto e perché possibile causa di futuri attentati contro popolazioni inermi.
Dove però ci sentiamo di dover fare chiarezza è su una “convinzione” che la cultura dominante sta da tempo esprimendo e in questi giorni ribadendo: un conto sarebbe il terrorismo islamico altro l’islam; un conto sarebbe la violenza altro la sacralità del Corano e quindi il rispetto che si deve ad esso. Una convinzione, questa, che purtroppo è tanto diffusa quanto sbagliata.
Spesso si dice che bisogna differenziare tra un islam moderato ed un islam fondamentalista. Non è così. Piuttosto ci possono essere musulmani moderati e musulmani fondamentalisti. Ci sono anche musulmani che non farebbero del male neppure ad una mosca; ma –e qui sta il punto- l’islam non può non essere fondamentalista. Non si può negare che tante giustificazioni di atti abominevoli commessi da terroristi musulmani trovino la loro “giustificazione” proprio nel Corano.
Lo ripetiamo sarebbe ingenuo confondere l’islam con i singoli musulmani; ciò però non vuol dire che il moderatismo islamico interpreti correttamente il Corano, mentre il fondamentalismo no. E’ vero purtroppo il contrario. Politicamente e diplomaticamente può avere una sua utilità dare maggiore credito ai musulmani moderati, augurarsi che siano sempre di più; ma ciò non toglie che esista una questione Corano; che questo libro parli fin troppo chiaramente; e che purtroppo dia ragione più ai fondamentalisti che ai moderati. Ecco degli esempi.
Ci limiteremo a citarvi solo qualcosa in tema di guerra santa.
(II,18 e VIII,40): “Combatteteli finché non vi sia più discordia civile e sia la religione solo quella di Dio; (...).” “Combatteteli, finché non vi sia più opposizione, in favore dell’idolatria (per l’islam anche i cristiani sono idolatri, soprattutto quando affermano la loro fede nella Trinità) e il culto sia totalmente di Dio; (...).” Dunque, bisogna combattere fino a che “la religione sia solo quella di Dio”. Ebbene, questo è un elemento costitutivo dell’islam. Non a caso il musulmano può rinunciare provvisoriamente, ma non definitivamente, alla conquista. L’islam, infatti, divide il mondo in tre zone: 1.Dar-al-Islam (le terre dove l’islam già governa). 2.Dar-al-harb (le terre dove si sta combattendo per conquistarle all’islam). 3.Dar-al-isuhl (letteralmente: “le terre di tregua”). Terre di “tregua” e non terre di “pace”. La differenza non è di poco conto. La pace è qualcosa di definitivo, la tregua no. Insomma, vuol dire che si è rinunciato solo provvisoriamente (e non definitivamente) a conquistare queste terre. Il musulmano non può rinunciare alla conquista, perché nemmeno una zolla di terra dovrà sfuggire alla sovranità di Allah.
(IV,97): “Fra i credenti, quelli che saranno rimasti nelle loro case, senza esporsi a pericoli, non verranno considerati eguali a quelli che, invece, avranno combattuto nella via di Dio, con le loro sostanze e con la loro vita; Dio costituì superiori di un grado quelli che combattono con le proprie sostanze e con la propria vita su quelli che rimangono nelle loro case; (...).” Dunque, c’è una sorta di “obbligo” a combattere. Tanto è vero che non pochi studiosi hanno parlato del jihad come una sorta di “sesto pilastro” (gli obblighi dei musulmani sono cinque, detti per “cinque pilastri”). Soffermiamoci sulla frase: “avranno combattuto nella via di Dio, con le loro sostanze e con la loro vita”. Non solo con la vita, ma anche con le proprie ricchezze. Con le proprie ricchezze! Ogni riferimento non è puramente casuale...
(IX,124): “O voi che credete, combattete i miscredenti (anche i cristiani sono ritenuti tali) che sono vostri vicini, e questi trovino in voi durezza; sappiate che Dio è con quelli che lo temono.” Sarebbe certamente sbagliato teorizzare nei confronti dei musulmani gli stessi mezzi da essi teorizzati. Ma un linguaggio che tenga conto della loro psicologia, quello sì, è opportuno. Alcuni parroci, soprattutto dell’Italia settentrionale, hanno dovuto rivedere determinate posizioni. Un parroco che avesse nella sua parrocchia dei musulmani bisognosi di sostentamento materiale, dovrebbe farsi certamente in quattro. E su queste cose i musulmani sono sensibili ed anche riconoscenti. Ma un parroco che volesse aiutarli spiritualmente (perché non hanno luoghi di culto) dando loro finanche la chiesa, farebbe un errore non solo sul piano teologico e canonico ma anche pastorale. Un’offerta di questo tipo figurerebbe, nell’opinione del musulmano, come un vero discredito per il cristianesimo. Penserebbero: Questa è la dimostrazione che Dio non è con loro...e che loro stessi non hanno fede. Sono disposti a darci le loro chiese! Andare a domandare per credere. Altro che possibilità di aprire un dialogo! Con i musulmani il dialogo lo si deve fare mostrando passione ed affezione per il proprio credo.
(V,56): “O voi che credete, non prendete per amici gli ebrei e i cristiani; essi sono amici gli uni degli altri; chi di voi li prenderà per amici, egli certamente diverrà uno di essi; Dio, in verità, non guida gli uomini iniqui.” Secondo il Corano tra il musulmano e il cristiano e tra il musulmano e l’ebreo non può nemmeno realizzarsi un rapporto di amicizia. Eppure dall’islam cristiani ed ebrei sono considerati come “gente del Libro”, miscredenti sì, ma discendenti di Abramo, certamente migliori di altri. Figuriamoci per chi non è nemmeno cristiano ed ebreo! In realtà, un tale versetto è pienamente coerente con certi presupposti dell’islam. Questa religione nega la distinzione tra legge naturale e legge soprannaturale. Mentre i cristiani possono tranquillamente essere amici dei non cristiani, perché riconoscono un piano naturale oltre che soprannaturale; per i musulmani questo non è possibile, essendo la legge soprannaturale l’unica legge che governa la realtà.
(VIII,12): Per finire: “Quando il tuo Signore disse, per rivelazione, agli angeli: ‘io sarò con voi, rendete saldi quelli che credono, io getterò il terrore nel cuore di quelli che non credono, e voi colpiteli sulle nuche e recidete loro tutte le estremità delle dita.” Malgrado tutti gli sforzi interpretativi, parole come queste sono di una chiarezza incontestabile. Possiamo discutere finché vogliamo sul fatto che politicamente si debba dire altro. Non il falso certamente, ma altro. Possiamo discutere finché vogliamo che non si debba fare di tutta l’erba un fascio e che ci sono –come abbiamo già detto- tanti buoni musulmani che non farebbero del male nemmeno ad una mosca. Possiamo discutere finché vogliamo che ci sono molti musulmani che interpretano il Corano in maniera soft. Ma c’è un “ma”. L’islam è il Corano e il Corano è l’islam! Il Corano va preso alla lettera, perché libro non ispirato da Dio (come dicono i cristiani per la Bibbia) ma dettato. Addirittura non potrebbe nemmeno essere tradotto. Tanto è vero che chi vuole aderire alla religione di Maometto provenendo da contesti non arabi, è tenuto ad imparare a memoria i versetti in arabo, altrimenti non potrebbe pregare.
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