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L'ERRORE NON HA OGGETTIVAMENTE ALCUN DIRITTO NE' ALL'ESISTENZA, NE' ALLA PROPAGANDA, NE' ALL'AZIONE
Il cattolico deve desiderare fortemente una società integralmente cristiana e con altrettanto vigore deve deplorare il neutralismo religioso che lo Stato moderno gli impone
di Roberto de Mattei
 

Chi volga uno sguardo attento e non prevenuto alla situazione generale in cui oggi versa l'Occidente, non può non convenire sull'esistenza di una profonda crisi di civiltà. La società contemporanea si presenta come una società frammentata, o "liquida", secondo la nota formula di Zygmunt Baumann, votata a un processo di autodisgregazione che ricorda quanto avvenne nell'era del tramonto dell'Impero Romano.
Qual è il dovere e il ruolo dei cattolici in questa situazione? In primo luogo resta per ognuno di essi l'obbligo di santificarsi. Anche, e soprattutto, in un'epoca caotica come la nostra, vivere non significa trascinare la propria esistenza in maniera priva di senso, ma ordinarla a Dio, meditando le parole con cui sant'Agostino apre le sue Confessioni: «Ci hai fatto per te, o Dio, e il nostro cuore sarà instabile finché non riposerà in te».
Quando l'uomo si allontana da Dio per inseguire solo il proprio interesse e piacere è destinato a essere infelice. Avvicinarsi a Dio significa sforzarsi di seguire la sua volontà e la sua legge, e in questa conformità alla volontà divina consiste propriamente la santità.
Ma l'uomo, per agire, ha bisogno di modelli a cui richiamarsi ed è per questo che la Chiesa, canonizzando i santi, ci offre esempi concreti di vita da imitare. «La loro esperienza umana e spirituale – dice Benedetto XVI – mostra che la santità non è un lusso, non è un privilegio per pochi, un traguardo impossibile per un uomo normale; essa, in realtà, è il destino comune di tutti gli uomini chiamati ad essere figli di Dio, la vocazione universale di tutti i battezzati» (Udienza generale del 20 agosto 2008).
Il fine della società non è diverso dal fine dell'uomo. Ed è diritto di Dio essere il primo, in tutto, non solo nel cuore umano, ma nella società intera, che solo in Lui può trovare ordine e stabilità. Oggi la vita è organizzata in modo tale che l'uomo, e non Dio, ha il posto primario nelle idee, nei costumi e nelle leggi.
Il rovesciamento di quest'ordine è la causa principale dei mali politici e sociali che ci affliggono. La rinascita politica e sociale di cui tutti avvertono la necessità non può che partire dall'assegnare a Dio la priorità nella vita privata come in quella pubblica.
Ma l'uomo ha bisogno di modelli anche sul piano sociale, non solo su quello individuale. E poiché le società non hanno vita ultraterrena, è nella memoria storica che i modelli a cui ispirarsi vanno cercati. Nella storia, tra lo schierarsi pro o contro la verità religiosa, per le società non c'è altra scelta possibile.
Il rifiuto di Dio caratterizza le "ideologie del male" del secolo XX, quali il comunismo e il nazismo, ma anche le società laiciste contemporanee, che evolvono verso una implacabile "dittatura del relativismo".
A tali società, che rappresentano una sorta di "contro-ideale", sarebbe vano contrapporre il modello pluralista americano. È vero che negli Stati Uniti si professa pubblicamente l'esistenza di Dio, e ciò rappresenta un male minore della aggressiva imposizione del laicismo, ma l'equiparazione dei culti è un prodotto del libero esame che un cattolico non può in coscienza accettare. La parabola della zizzania mescolata al buon grano (Mt. 13,24-30), presenta un fatto, ma non sancisce un diritto, né un principio.
Un cattolico non può accettare il modello dello Stato etico hegeliano, nelle sue diverse declinazioni, dal liberalismo al fascismo, e neppure il dispotismo assoluto di Ancien Régime, in cui la volontà del principe si sostituisce alla legge. Tutti questi modelli accettano il principio della Ragion di Stato, fondato sulla emancipazione machiavellica della politica dalla morale.
Qual è l'unico modello storico a cui un cattolico può dunque guardare? È la società sacrale medievale, in cui, come affermava Leone XIII, «la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata ben addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli» e «la religione di Gesù Cristo, posta solidamente in quell'onorevole grado che le conveniva, cresceva fiorente all'ombra del favore dei principi e della dovuta protezione dei magistrati» (Enciclica Immortale Dei dell'1 novembre 1885).
Oggi si confonde il principio cattolico secondo cui nessuno può essere costretto con la forza a credere, con il principio del diritto all'errore in materia religiosa e morale. Ma quando la Chiesa insegna che l'uomo aderisce alla fede solo attraverso un libero atto della volontà, non intende assolutamente attribuire diritto di cittadinanza all'errore. Per questo Pio XII insegna che l'errore «non ha oggettivamente alcun diritto né all'esistenza, né alla propaganda, né all'azione» (Discorso Ci riesce del 6 dicembre 1953).
I cattolici possono accettare come un male minore il pluralismo religioso, ma un male minore non è certamente un diritto, e non è neanche necessariamente un piccolo male. Il cattolico deve desiderare con tutta la forza della sua anima una società integralmente cristiana e con altrettanto vigore deve deplorare il neutralismo religioso che costretto lo Stato moderno gli impone.
I cattolici liberali respingono istintivamente questi pensieri. Essi sono privi di spirito soprannaturale e credono più nelle forze dell'uomo che nell'aiuto di Dio. Ogni ideale sembra a loro inattuabile e tutto ciò che è sociologicamente visibile sembra a loro storicamente irreversibile. Nel fondo della loro anima essi rifiutano la lotta, che avvertono come la inevitabile conseguenza della professione della verità. Per viltà patteggiano con l'errore e per poca fede ne sono sopraffatti.
Non dobbiamo seguire il loro esempio, ma quello dei santi, che furono uomini come noi che vollero sempre dare il primo posto a Dio, nelle loro anime e nella società intera.
Per noi dunque non c'è altro ideale sociale che quello espresso dalla Regalità di Gesù Cristo. Pio XI nella enciclica Quas primas spiega che Cristo è Re non in senso metaforico, ma nel senso proprio della parola: il suo Regno non è di questo mondo (Gv. 18,36), perché dal mondo non trae la sua origine, ma ad esso si estende e in esso inizia a realizzarsi, per fiorire poi eternamente in Cielo.
Gesù possiede ogni potestà in cielo e in terra (Mt 18,28), ovvero detiene una sovranità assoluta sui cuori dei singoli uomini e su ogni genere di società umana, dalla famiglia allo Stato, in ogni tempo e in ogni luogo. Le condizioni storiche possono renderlo di difficile applicazione, ma il Regno di Gesù Cristo non è una formula devozionale: è l'unico modello a cui il cattolico possa tendere e l'unica condizione normale in cui gli uomini e le società possano vivere e prosperare.

 
Fonte: Radici Cristiane, Luglio 2011