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«Quando sono venuto a conoscenza che dei malati della casa di Marienthal dovevano essere portati via, per essere uccisi, io il 28 luglio ho sporto denuncia al pubblico ministero. Già il 26 luglio avevo protestato. Senza esito. Così noi dobbiamo tener conto del fatto che i poveri e indifesi malati prima o poi saranno uccisi. Perché? Non perché colpevoli di un crimine, ma perché, secondo il giudizio di un ufficio divenuti "indegni di vivere", "connazionali improduttivi". No, qui si tratta di esseri umani. Se si ammette il principio, ora applicato, che l'uomo "improduttivo" possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi. Se anche per un'unica volta accettiamo il principio del diritto a uccidere i nostri fratelli improduttivi – benché limitato in partenza solo ai poveri e indifesi malati di mente – allora in linea di principio l'omicidio diventa ammissibile per tutti gli esseri improduttivi, i malati incurabili, coloro che sono stati resi invalidi, e noi stessi, quando diventiamo vecchi. Sventura al genere umano, alla nostra nazione tedesca se non solo viene infranto il santo comandamento di Dio: "Non uccidere", ma si tollera e ammette che tale violazione sia lasciata impunita». Sono stralci di un'omelia pronunciata il 3 agosto 1941 dal vescovo di Münster, l'avvocato della dignità umana, il cardinale Clemens-August von Galen. Parole – le sue – che ancora dovrebbero scuotere chi indica l'eutanasia negando nella vita la Verità. Dopo le leggi che «nell'interesse della società» avevano permesso la sterilizzazione degli handicappati mentali (sole proteste quelle del clero), il 1° settembre 1939 Hitler alzò il tiro, passando dall'esclusione allo sterminio per i portatori di handicap con il pretesto dello spazio da riservare negli ospedali ai feriti della guerra – appena iniziata – e del risparmio per lo Stato cancellando il mantenimento di tante "vite indegne". Il Führer aveva affidato l'operazione al capo della cancelleria, Philip Bouhler, e al suo medico, Karl Brandt, «incaricati di estendere a determinati medici la facoltà di autorizzare che, ai malati da considerare secondo ogni giudizio umano inguaribili» potesse garantirsi «morte pietosa». La pratica segreta – nome in codice Aktion T4 – applicata da funzionari alle prese prima con il veleno poi il gas sotto false docce asfissianti – che, nei centri di Grafeneck, Bernburg, Hartheim, Sonnenstein, Brandeburgo e Hadamar, anticipa Auschwitz, Dachau, Buchenwald, Mauthausen, ecc. – portò all'assassinio, fra il '40 e il '41, di centomila persone. Un numero che non poteva più restare nascosto. Subito dopo la denuncia di von Galen il pensiero del presule fu diffuso ovunque, arrivando al fronte, accendendo la protesta di pastori protestanti e preti cattolici. Hitler – che voleva ammazzare l'arcivescovo di Münster e ne era stato dissuaso da Goebbels (per non trasformarlo in un martire) – si rassegnò così a sospendere l'Aktion T4, ma fece arrestare una quarantina di preti della diocesi e il fratello del presule, Franz, fu deportato a Oranienburg.
L'azione di eutanasia però finì solo ufficialmente. Continuò di lì a poco in un'altra "Aktion" più segreta, la "14F13" ,dalla sigla usata nei lager per registrare i decessi dei disabili arrivati nel '45 – a trecentomila – vittime del programma di eliminazione subito riservato anche ad altre "vite indegne di vivere", gli ebrei, anche sani. Dall'eutanasia degli handicappati alla soluzione finale, all'orrore senza fine della Shoah.
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