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Il direttore di un noto «giornale quotidiano di ispirazione cattolica» attacca oggi violentemente monsignor Antonio Livi per l'articolo scritto sul nostro quotidiano online a proposito di Enzo Bianchi. Nel rispondere a dei lettori scandalizzati per le critiche al priore della comunità monastica di Bose, il direttore di tale giornale si fa prendere da tale foga che incorre anche in un clamoroso incidente: definisce infatti l'eresia monofisita come "considerare Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, solo un uomo". In realtà l'eresia monofisita consiste esattamente nel contrario, ovvero considerare solo la natura divina di Cristo.
Ma qui non interessa tanto entrare nella disputa teologica: eventualmente a dare ragione di certe affermazioni sarà nei prossimi giorni monsignor Livi (curioso peraltro che il direttore affermi di conoscerlo solo di nome: non solo Livi è filosofo dal lungo curriculum, ma il "quotidiano di ispirazione cattolica" ne ha recensito più volte i libri e lo ha addirittura intervistato, ad esempio il 7 novembre 2009).
Qui però vorrei sottolineare la sorpresa per una difesa d'ufficio veemente che arriva a parlare di disonestà intellettuale e di vergogna per chi avrebbe distorto il senso delle parole di Bianchi per metterne in discussione "l'indiscutibile adesione alla buona dottrina cattolica". Forse il direttore del giornale di ispirazione cattolica farebbe bene a rileggersi quel resoconto dell'incontro pubblico tenuto a Pescara (la fonte è il giornale diocesano) che pubblichiamo tra le lettere e poi farci sapere se pensa che certe affermazioni siano "una buona dottrina cattolica".
Peraltro anche il predecessore dell'attuale direttore ogni tanto nutriva dubbi sulla "buona dottrina cattolica" di Enzo Bianchi. Prova ne è la risposta che diede a un lettore il 21 luglio 2007. In quell'occasione un sacerdote di Mondovì si lamentava perché su Avvenire non era stato pubblicato il commento di Enzo Bianchi a proposito del Motu Proprio Summorum Pontificum, quello sulla messa in rito antico, che invece era apparso su Repubblica. Ovviamente si trattava di una critica molto severa nei confronti del Motu Proprio voluto da Benedetto XVI (curioso, Bianchi non si può criticare, il Papa sì). L'allora direttore, che si chiama Dino Boffo, così rispondeva:
"Vede reverendo, se Enzo Bianchi scrive la sua intemerata su Repubblica, nessuno ha nulla da dire (eppure qualcosa ci sarebbe da commentare); se invece la ospitasse Avvenire (ma non ci è stato chiesto) immediatamente si direbbe, anche da parte di altra stampa, che Avvenire non è allineato alla Chiesa. Poi, ci pensi: che cosa c'è oggi di più anticonformista che ragionare in termini cattolici fino a sembrare fin troppo obbedienti?".
Insomma pare di capire che Dino Boffo avesse, almeno in questa occasione, molti dubbi sull'ortodossia di Enzo Bianchi, fino ad accusarlo di disobbedienza.
Ma non solo: anche l'attuale direttore del "giornale quotidiano di ispirazione cattolica", che si chiama Marco Tarquinio, ha avuto qualche problemino personale con Enzo Bianchi. Ricordiamo cosa accadde quando morì Eluana Englaro: Tarquinio scrisse il 10 febbraio 2009 un editoriale dal titolo "Uccisa, non morta", che così diceva (e noi condividiamo completamente):
"Eluana è stata uccisa. E noi vogliamo chiedere perdono ai nostri figli e alle nostre figlie. Ci perdonino, se possono, per questo Paese che oggi ci sembra pieno di frasi vuote e di un unico gesto terribile, che li scuote e nessuno saprà mai dire quanto. Con che occhi ci guarderanno? Misurando come le loro parole, le esclamazioni? Rinunceranno, forse per paura e per sospetto, a ragionare della vita e della morte con chi gli è padre e madre e maestro e amico e gli potrebbe diventare testimone d'accusa e pubblico ministero e giudice e boia? Chi insegnerà , chi dimostrerà , loro che certe parole, che le benedette, apodittiche certezze dei vent'anni non sono necessariamente e sempre pietre che gli saranno fardello, che forse un giorno potrebbero silenziosamente lapidarli. Ci perdonino, se possono. Perché Eluana è stata uccisa."
La cosa non piacque affatto a Enzo Bianchi, che il 15 febbraio replicò dalle colonne de La Stampa (eh sì, questi "profeti" sanno scrivere cose diverse a seconda di chi li ospita, attaccando chi li ha ospitati la volta prima e li ospiterà la volta successiva) con un articolo dal titolo "Vivere e morire secondo il Vangelo", scrivendo tra l'altro:
"Attorno all'agonia lunga 17 anni di una donna, attorno al dramma di una famiglia nella sofferenza, si è consumato uno scontro incivile, una gazzarra indegna dello stile cristiano: giorno dopo giorno, nel silenzio abitato dalla mia fede in Dio e dalla mia fedeltà alla terra e all'umanità di cui sono parte, constatavo una violenza verbale, e a volte addirittura fisica, che strideva con la mia fede cristiana. Non potevo ascoltare quelle grida - «assassini», «boia», «lasciatela a noi»... - senza pensare a Gesù che quando gli hanno portato una donna gridando «adultera» ha fatto silenzio a lungo, per poterle dire a un certo punto: «Donna \ neppure io ti condanno: va' e non peccare più»; non riuscivo ad ascoltare quelle urla minacciose senza pensare a Gesù che in croce non urla «ladro, assassino!» al brigante non pentito, ma in silenzio gli sta accanto, condividendone la condizione di colpevole e il supplizio. Che senso ha per un cristiano recitare rosari e insultare? O pregare ostentatamente in piazza con uno stile da manifestazione politica o sindacale?".
Sì, avete letto bene: Tarquinio accusato da Enzo Bianchi di aver alimentato "una gazzarra indegna dello stile cristiano".
Potremmo sbagliarci, ma non ricordiamo repliche piccate dirette a Enzo Bianchi, con relative accuse di disonestà intellettuale e di farsi giudice dell'altrui fede e "adesione alla buona dottrina cattolica". Anzi, da allora gli interventi di Enzo Bianchi sulle pagine del "quotidiano di ispirazione cattolica" sembrano essere addirittura aumentati.
Segno della grande magnanimità e misericordia del direttore. Che oggi osiamo invocare anche in favore di monsignor Antonio Livi.
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