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«In una Università cattolica gli ideali, gli atteggiamenti e i principi cattolici permeano e informano le attività universitarie conformemente alla natura e all'autonomia proprie di tali attività», «le implicazioni morali, presenti in ciascuna disciplina, sono esaminate come parte integrante dell'insegnamento della stessa disciplina (…), e la teologia cattolica, insegnata in piena fedeltà alla Scrittura, alla tradizione e al magistero della Chiesa, offrirà una chiara conoscenza dei principi del Vangelo, la quale arricchirà il significato della vita umana e le conferirà una nuova dignità» (punti 14 e 20 della Costituzione Apostolica Ex corde Ecclesiae emanata dal Romano Pontefice, il Beato Giovanni Paolo II, il 15 agosto 1990).
Così era l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano che io ho conosciuto, ho frequentato ed in cui mi sono laureato, una trentina di anni fa. Prima, quindi, che lo stesso Ateneo decidesse di dotarsi del recente Codice Etico, alla cui sottoscrizione gli studenti sono peraltro obbligati. Si tratta di un testo di trenta pagine in cui aleggia ambiguamente una perniciosa vena relativista intrisa della più venefica political correctness. Trenta pagine in cui non viene fatta neppure una sola menzione a concetti quali Chiesa Cattolica, Papa, Magistero, Tradizione. Con buona pace della Costituzione Apostolica Ex Corde Ecclesiae.
Come ha giustamente denunciato il Centro Studi Jean d'Arc, all'art.1 del Preambolo del Codice Etico si accenna solamente ad un generico «Cristianesimo», senza alcun richiamo alla Fede Cattolica, mentre all'art. 2, lett. e), si invitano gli studenti, i docenti e il personale dell'Università al «rispetto dei principi ispiratori della Costituzione della Repubblica Italiana e del Trattato sull'Unione europea, come modificato a Lisbona il 13 dicembre 2007». E' lo stesso trattato, peraltro, che secondo quanto evidenziato da S.E. Mons. Dominique Marie Jean Rey, Vescovo di Frejus-Toulon, «rappresenta in molti punti una rottura intellettuale e morale con le altre grandi formulazioni giuridiche internazionali, presentando una visione relativistica ed evolutiva dei diritti dell'uomo che mette in causa i principi del diritto naturale». La parte del Codice Etico dedicata, poi, alle «Disposizioni comuni», rigorosamente ispirata al politically correct, gronda pure di venature relativiste, le stesse contro cui continua a combattere, con ostinato coraggio, Sua Santità Benedetto XVI. Tra le varie perle se ne può scegliere una in particolare. L'art.1, ad esempio, si incarica di vietare ogni forma di discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale di una persona. La stessa generica forma, fumosa ed ambigua, utilizzata dai sacerdoti del politicamente corretto per bollare di omofobia chiunque osi solamente accennare alle chiare ed univoche posizioni della Chiesa Cattolica in materia. Com'è noto, infatti, per i cattolici l'orientamento sessuale non può costituire una qualità paragonabile alla razza, all'origine etnica, ecc., rispetto alla non-discriminazione, perché diversamente da queste, essa appartiene oggettivamente alla sfera etico-morale. E vi sono ambiti nei quali non può considerarsi ingiusta discriminazione il fatto di tener conto della tendenza sessuale: per esempio nella collocazione di bambini per adozione o affido.
Il Magistero della Chiesa Cattolica sul punto è chiarissimo, come attesta un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, che merita di essere testualmente riportato in alcuni suoi passi:
12. Le persone omosessuali, in quanto persone umane, hanno gli stessi diritti di tutte le altre persone, incluso il diritto di non essere trattate in una maniera che offende la loro dignità personale. Fra gli altri diritti, tutte le persone hanno il diritto al lavoro, all'abitazione, ecc. Nondimeno questi diritti non sono assoluti. Essi possono essere legittimamente limitati a motivo di un comportamento esterno obiettivamente disordinato. Ciò è talvolta non solo lecito ma obbligatorio, e inoltre si imporrà non solo nel caso di comportamento colpevole ma anche nel caso di azioni di persone fisicamente o mentalmente malate. Così è accettato che lo stato possa restringere l'esercizio di diritti, per esempio, nel caso di persone contagiose o mentalmente malate, allo scopo di proteggere il bene comune.
13. Includere la "tendenza omosessuale" fra le considerazioni sulla base delle quali è illegale discriminare può facilmente portare a ritenere l'omosessualità quale fonte positiva di diritti umani, ad esempio, in riferimento alla cosiddetta "affirmative action" o trattamento preferenziale nelle pratiche di assunzione. Ciò è tanto più deleterio dal momento che non vi è un diritto all'omosessualità, che pertanto non dovrebbe costituire la base per rivendicazioni giudiziali. Il passaggio dal riconoscimento dell'omosessualità come fattore in base al quale è illegale discriminare può portare facilmente, se non automaticamente, alla protezione legislativa e alla promozione dell'omosessualità. L'omosessualità di una persona sarebbe invocata in opposizione a una asserita discriminazione e così l'esercizio dei diritti sarebbe difeso precisamente attraverso l'affermazione della condizione omosessuale invece che nei termini di una violazione di diritti umani fondamentali.
14. La "tendenza sessuale" di una persona non è paragonabile alla razza, al sesso, all'età, ecc. anche per un'altra ragione che merita attenzione, oltre quella sopramenzionata. La tendenza sessuale di un individuo non è in genere nota ad altri a meno che egli identifichi pubblicamente se stesso come avente questa tendenza o almeno qualche comportamento esterno lo manifesti. Di regola, la maggioranza delle persone a tendenza omosessuale che cercano di condurre una vita casta non rende pubblica la sua tendenza sessuale. Di conseguenza il problema della discriminazione in termini di impiego, alloggio, ecc. normalmente non si pone.
Le persone omosessuali che dichiarano la loro omosessualità sono in genere proprio quelle che ritengono il comportamento o lo stile di vita omosessuale essere "indifferente o addirittura buono", e quindi degno di approvazione pubblica. È all'interno di questo gruppo di persone che si possono trovare più facilmente coloro che cercano di manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile, coloro che usano la tattica di affermare con toni di protesta che qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali (…) è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione. Inoltre, vi è il pericolo che una legislazione che faccia dell'omosessualità una base per avere dei diritti possa di fatto incoraggiare una persona con tendenza omosessuale a dichiarare la sua omosessualità o addirittura a cercare un partner allo scopo di sfruttare le disposizioni della legge.
Ebbene, è ora lecito domandarsi se, stando al nuovo Codice Etico dell'Università Cattolica, gli studenti potranno ancora sostenere – senza per questo passare per discriminatori – che l'omosessualità rappresenta una «grave depravazione» (Gn 19,1-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tm 1,10.), che i suoi atti «sono intrinsecamente disordinati» (Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana), e «contrari alla legge naturale», poiché «precludono all'atto sessuale il dono della vita e non costituiscono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale» (art. 2357 del Catechismo della Chiesa Cattolica). Potranno sostenere che non deve essere giuridicamente riconosciuto il matrimonio tra persone dello stesso sesso, e che non deve essere consentita la possibilità di adozione per le coppie omosessuali? Potranno sostenere che l'orientamento sessuale non può essere riconosciuto come un diritto fondamentale dell'uomo?
La citata costituzione Apostolica Ex Corde Ecclesiae contiene anche delle Norme Generali basate sul Codice di diritto canonico, del quale rappresentano un ulteriore sviluppo, e sulla legislazione complementare della Chiesa, norme che valgono per tutte le Università cattoliche e per le Istituzioni cattoliche di studi superiori in tutto il mondo (fermo restando il diritto della Santa Sede di intervenire, ove ciò si renda necessario). Ebbene, i quattro paragrafi dell'art.2 di tali disposizioni normative, intitolato «la natura di una Università Cattolica», meritano di essere testualmente riportati:
§ 1. Un'Università cattolica, come ogni Università, è una comunità di studiosi che rappresenta vari rami del sapere umano. Essa si dedica alla ricerca, all'insegnamento e a varie forme di servizi rispondenti alla sua missione culturale.
§ 2. Una Università cattolica in quanto cattolica, ispira e svolge la sua ricerca, l'insegnamento e tutte le altre attività secondo gli ideali, i principi e gli atteggiamenti cattolici. Essa è collegata alla Chiesa o per il tramite di un formale legame costitutivo e statutario, o in forza di un impegno istituzionale assunto dai suoi responsabili.
§ 3. Ogni Università cattolica deve manifestare la propria identità cattolica o con una dichiarazione della sua missione, o con altro appropriato documento pubblico, a meno che non sia autorizzata altrimenti dalla competente autorità ecclesiastica. Essa deve provvedersi particolarmente mediante la sua struttura e i suoi regolamenti, dei mezzi per garantire l'espressione e il mantenimento di tale identità in modo conforme al § 2.
§ 4. L'insegnamento cattolico e la disciplina cattolica devono influire su tutte le attività dell'Università, mentre deve essere pienamente rispettata la libertà della coscienza di ciascuna persona. Ogni atto ufficiale dell'Università deve essere in accordo con la sua identità cattolica.
Poiché il Codice Etico non può non considerarsi un «atto ufficiale dell'Università», i suoi estensori sono proprio sicuri che esso sia anche «in accordo con l'identità cattolica», secondo quanto previsto dall'art.2, § 4, delle Norme Generali emanate nella menzionata Costituzione Apostolica? Io mi permetto sommessamente di nutrire fortissimi dubbi in proposito.
Qui come viene introdotto sul sito della Università Cattolica del Sacro Cuore:
Di fronte alla crescente complessità dell'istituzione universitaria e della sua vita quotidiana, l'Università Cattolica ha deciso di riaffermare i propri principi e valori fondamentali, definendo regole più funzionali per garantire l'efficacia e la trasparenza dell'intera struttura. Importante tappa di questo processo è l'introduzione, a partire dal 1° novembre 2011, del Codice Etico e del Modello organizzativo dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.
La prima novità riguarda il Codice Etico. Il testo, collocato nel solco dei valori che intessono lo Statuto dell'Università, raccoglie le regole di condotta che sempre più dovranno costituire un punto di riferimento per indirizzare i comportamenti di ciascuno, così da offrire risposte articolate, motivate ed eticamente responsabili, agli interrogativi e ai problemi originati dalla fluidità delle attuali reti relazionali, sociali, professionali.
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