« Torna alla edizione


OMELIA PER LA III DOMENICA TEMPO QUARESIMA - ANNO C - (Lc 13,1-9)
da Il settimanale di Padre Pio
 

Siamo giunti a metà del nostro itinerario quaresimale e la lettura del Vangelo ci presenta la parabola del fico infruttuoso. Quell’albero di fico simboleggia ciascuno di noi chiamati a portare frutti abbondanti che rimangano per la Vita eterna. Come un albero carico di frutti piega i suoi rami a terra, fino quasi a spezzarsi, così noi, al termine della nostra vita, dovremmo giungere ricolmi di opere buone per il Paradiso.
Nel racconto della parabola, il padrone di quel campo attende per tre anni che il fico porti i suoi frutti, fa di tutto affinché possa restare, lo pota, lo concima, ma tutto è inutile: i frutti tanto attesi non maturano. Allora lo taglia affinché possa per lo meno essere bruciato nel fuoco.
Questa parabola ci insegna prima di tutto che la nostra vocazione è quella di portare frutti abbondanti di opere buone. Solo così potremo essere felici. Certamente ciò comporterà sacrificio: i rami pieni di frutti quasi si spezzano, ma se un albero non fruttifica a cosa serve? Un genitore è contento di tutti i suoi sacrifici quando vede che questi sono serviti a far crescere i figli buoni e onesti. Quando si ama, i sacrifici sono amati e benedetti.
Per dare frutto autentico, noi dobbiamo intraprendere un cammino di seria conversione. Ciò è indispensabile. Dobbiamo intensificare la nostra preghiera, lottare contro il peccato, e dobbiamo esseri generosi nella nostra mortificazione. In poche parole, dobbiamo convertirci. Per ben due volte, nel brano del Vangelo di oggi, Gesù ci dice: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3-4).
La Quaresima è il tempo adatto per convertirci e cambiare rotta. La mortificazione, la penitenza di cui il Vangelo tante volte parla, si possono paragonare a tutte quelle cure che il contadino prodiga affinché gli alberi da lui curati portino frutto. La sua opera è faticosa, ma indispensabile.
La parabola del fico ci insegna inoltre la pazienza di Dio. Il padrone del campo attese per tre anni prima di tagliare quell’albero infruttuoso. Così fa Dio con noi. Egli non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. Ma non bisogna abusare della sua pazienza. San Bernardino da Siena insegnava che Dio aspetta la conversione del peccatore, ma, dopo un certo tempo più o meno lungo, interviene per il bene stesso di quel peccatore. Questi interventi medicinali di Dio che tante volte chiamiamo “castighi di Dio”, su questa terra, sono espressioni della sua infinita Misericordia. Il castigo è come una medicina amara che Dio non vorrebbe somministrare, ma che usa come estremo rimedio per scuotere i suoi figli prodighi e ricondurli al suo Amore. Dio, che tanto ama le sue creature, non può disinteressarsi della sorte dei suoi figli che camminano per la via della perdizione: Egli fa di tutto per ricondurli sulla retta strada che conduce al Cielo.
Non dobbiamo attendere questi interventi, convertiamoci subito! Chiediamo incessantemente a Gesù per intercessione della Madre sua e nostra la grazia di una continua e profonda conversione.
Anni fa un missionario incontrò una donna, la quale aveva un figlio che da poco si era convertito. In precedenza egli era un delinquente, un violento e rubava di continuo. La mamma cercava di richiamarlo, di condurlo alla Fede, ma inutilmente. A un certo punto, dopo diversi anni di questa vita dissoluta, il giovane disse alla madre: «Se Dio veramente esiste e se Dio veramente mi ama, come tu dici, certamente mi punirà, perché un padre corregge sempre un figlio che sbaglia». Passarono pochi giorni e dopo l’ennesimo furto, il giovane fu arrestato. In quel Paese le carceri sono molto dure e in mezzo a tanta sofferenza il giovane si convertì e divenne un apostolo per tanti compagni di prigionia, distribuendo loro i Rosari e le Medagline che la mamma gli portava. Accettò con rassegnazione la sofferenza di quella dura prigionia, in riparazione dei suoi numerosi e gravi peccati.
Dio amava davvero quel giovane e proprio perché lo amava permise quella sofferenza, per convertirlo e salvarlo. Da questo episodio possiamo capire come la più grande sventura che ci possa capitare è quella di non essere corretti da Dio.

 
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 7 marzo 2010)