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E' lecito moralmente che un sindaco conferisca una delega ad un suo collaboratore al fine di celebrare le unioni civili? No. Infatti una modalità per compiere il male è collaborare a fare il male. La collaborazione al male è vietata perché collaborare significa aiutare, agevolare, facilitare il male. Facciamo un esempio. Tizio mi chiede di uccidere Caio. Io sono contrario all'uccisione di Caio ma indico a Tizio un mio amico killer ben disposto a compiere omicidi. Risultato sul piano morale: io non avrò compiuto l'omicidio, ma comunque avrò collaborato all'omicidio perché avrò aiutato Tizio a raggiungere il suo scopo malvagio. Delegare è collaborare formalmente.
Posto quindi che la collaborazione al male configura un'azione malvagia, mai è lecito compiere un'azione malvagia, anche se di poca entità ed anche se meno malvagia di un'altra. E dunque una collaborazione al male che rappresenta un'azione poco malvagia o meno malvagia di un'altra non può essere lecitamente compiuta.
Si obietterà: ma in tal modo il sindaco che si oppone alle unioni civili rischia guai processuali o di venire rimosso. Addirittura rischiamo che al suo posto venga un sindaco favorevole alle unioni civili. Insomma cadremmo dalla padella alla brace. Lasciamo la risposta a Paolo VI nell'Humanae vitae: "Non è lecito, neppure per ragioni gravissime [circostanze N.d.A.], fare il male, affinché ne venga il bene [fine N.d.A.], cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell'intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali" (n. 14).
IL MALE MINORE RESTA SEMPRE UN MALE
Il male, piccolo o grande che sia, maggiore o minore che sia, non deve essere mai compiuto, nemmeno per evitare danni incalcolabili, i quali - è da notare - però non potranno essere attribuiti dal punto di vista morale a chi si è rifiutato di compiere il male. Il male non può essere scelto per una semplice ragione: l'uomo è chiamato sempre a compiere il bene, non sempre a ricercare l'utile (evitare danni). Il male - seppur piccolo e minore di altri - contrasta sempre con la dignità della persona. E' per questo che non può essere compiuto. Questa è la vera utilità da cercare sempre.
Altra obiezione. Se io sindaco mi rifiuto di delegare, in un modo o in un altro le unioni civili comunque si celebreranno. Preferibile la delega ad altro funzionario, così non rischio guai processuali e, rimanendo a capo dell'amministrazione, forse dall'interno avrò modo di cambiare in meglio la situazione. L'obiezione non regge. Partiamo ancora da un esempio. Seconda guerra mondiale, Italia. I tedeschi, per ritorsione contro alcuni partigiani, fanno un rastrellamento in un paese. Il capitano tedesco si rivolge così agli abitanti: "Dieci di voi moriranno fucilati oggi stesso. Però non saremo noi ad ucciderli bensì voi. Si facciano avanti dieci volontari che andranno a comporre il plotone di esecuzione. A costoro sarà fatta salva la vita". Anche in questo caso l'evento è certo: dieci persone moriranno. Ma non è certo chi li ucciderà. Gli abitanti del paese sbaglierebbero a ragionare così: "Dieci persone innocenti sono comunque condannate. Val la pena allora, per salvare la pellaccia, farsi avanti per uccidere i compaesani". L'errore sta in questo: nulla cambia sotto l'aspetto del danno, ma tutto cambia sotto l'aspetto morale, cioè dell'imputabilità dell'azione malvagia. L'importante sotto il profilo etico sta nel fatto che non sia io ad uccidere, anche se il danno è certo. Ciò che cambia è l'attribuzione dell'atto malvagio. Mai compiere il male. Lasciamo che siano altri a compierlo, se è proprio impossibile evitare l'evento (tolleranza del male). Poco importa quindi che le unioni civili si celebreranno, cioè che rileva è l'attribuzione dell'azione malvagia all'agente. L'importante è che non sia io a celebrarle oppure a facilitarne la celebrazione.
L'INTERVENTO DI GIOVANNI PAOLO II SUI CONSULTORI TEDESCHI
Un caso in cui storicamente si sono applicati i principi fin qui esposti riguarda i rapporti intercorsi negli anni '90 del secolo scorso tra Santa Sede, Conferenza Episcopale Tedesca e alcuni consultori cattolici tedeschi. Questi ultimi si erano iscritti nei registri ufficiali al fine di poter incontrare le donne che volevano abortire. L'intento meritorio perseguito dagli operatori cattolici era la dissuasione dalle pratiche abortive, ma se il fine non fosse stato raggiunto gli operatori erano obbligati - a norma della legge tedesca sulla gravidanza e la famiglia del 21 agosto 1995 - a firmare il certificato che permetteva alle madri di abortire il proprio figlio, configurando così una collaborazione formale alle pratiche abortive. Addirittura - ed è bene sottolinearlo - in questo caso l'intervento dei medici nell'iter abortivo poteva scongiurare alcuni aborti: l'evento non era certo.
Giovanni Paolo II intervenne per ben tre volte sulla questione - il 21 settembre del 1995, l'11 gennaio del 1998 e il 3 giugno del 1999 - scrivendo altrettante lettere all'episcopato tedesco. Nonostante le buone intenzioni dei medici cattolici, il Papa espressamente vietò ai consultori il rilascio del certificato abortivo. Infatti nella missiva del settembre del '95 così il Pontefice si espresse in merito al certificato rilasciato dai consultori: "Esso [il certificato N.d.A.] attesta che ha avuto luogo una consulenza, ma è allo stesso tempo un documento necessario per l'aborto depenalizzato nelle prime 12 settimane della gravidanza".
Nel gennaio del '98 il Papa specificò ancor meglio il peso morale di questo certificato che combina necessariamente, seppur non in modo sufficiente, e indissolubilmente effetti positivi e negativi: "Il certificato attesta la consulenza nel senso della difesa della vita, ma rimane sempre la condizione necessaria per l'esecuzione depenalizzata dell'aborto, anche se certamente non è la causa decisiva che lo provoca". Da qui la conclusione presente nella stessa lettera: "Perciò vorrei invitarvi con insistenza, cari Fratelli, a fare sì che un certificato di tale natura non venga più rilasciato nei consultori ecclesiali o dipendenti dalla Chiesa".
IL FINE NON GIUSTIFICA I MEZZI
Ricapitolando. La delega configura una collaborazione al male, il male non può essere mai compiuto, nemmeno per un fine buono: evitare di perdere il posto di lavoro, che succeda al sindaco obiettore un sindaco favorevole alle unioni civili, etc. Altrimenti scadremmo nell'utilitarismo. Lo ricorda anche il Catechismo della Chiesa cattolica: "Non può essere giustificata un'azione cattiva compiuta con una buona intenzione. Il fine non giustifica i mezzi" (1759).
E il povero sindaco che si oppone alle unioni civili, quali soluzioni giuridiche ha in mano per venirne fuori? Sta ai giuristi trovare soluzioni di diritto valide ma prima di tutto lecite sul piano morale. Alcune soluzioni. Posto che il sindaco non può appellarsi all'istituto dell'obiezione di coscienza perché non è previsto dalla legge Cirinnà, può invece appellarsi sul piano morale all'istituto dell'obiezione della coscienza che sul piano pratico può portare: alla mera omissione di qualsiasi atto che favorisca le unioni civili oppure alle dimissioni. Tra l'altro, dato che molti commentatori sono interessati all'efficacia delle scelte compiute dal sindaco, nulla esclude che tali atti - compiuti da più sindaci - possano sortire a livello mediatico e culturale una forte controffensiva alle unioni civili. In merito alla prima soluzione però potrà capitare che il sindaco sia trascinato in giudizio. Quella potrebbe essere l'occasione favorevole per sollevare eccezione di incostituzionalità della legge Cirinnà. E così non tutto il male verrebbe per nuocere.
Nota di BastaBugie: nell'articolo sottostante dal titolo "Unioni civili: 300 sindaci obiettori" si parla delle adesioni all'appello al Presidente della Repubblica affinché sia riconosciuto il diritto all'obiezione di coscienza.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su Gender Watch News il 28/09/2016:
Il Comitato Difendiamo i Nostri Figli (Cdnf), promotore dei Family Day, sta raccogliendo adesioni per un appello al Presidente della Repubblica perchè nella legge sulle unioni civili sia prevista l'obiezione di coscienza.
Massimo Gandolfini, presidente del Cdnf spiega che «siamo intorno a trecento-quattrocento adesioni circa. Alcuni sindaci hanno deciso di delegare, altri ne fanno una questione di principio in maniera ancor più coraggiosa dicendo che bisogna che si intervenga facendo una riflessione».
Tra questi ultimi occorre segnalare per coerenza morale Serafino Ferrino, sindaco di Favria, comune in provincia di Torino, il quale non celebrerà nessuna unione civile, nè delegherà: «Sono cattolico praticante, sono contrario alle unioni gay, ciò non ha nulla a che vedere con gli omosessuali, ma io credo che la famiglia sia fatta da un uomo e una donna per creare dei figli. Chiedo alla nazione di essere obiettore di coscienza. Perché un medico può essere obiettore e io no? Nel momento in cui delego, significa che condivido e io invece non condivido. Fermo restando che qualora il sindaco si rifiuti di celebrare, può farlo senza necessità di delegare l'ufficiale di stato civile. Molti nel silenzio delegano e non parlano. Io invece non voglio delegare e voglio sapere perché, su un fatto così importante, non posso essere obiettore».
Ed infine così chiosa: «Chiedo che a livello parlamentare si approvi un emendamento per permettere a noi amministratori di essere obiettori di coscienza».
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