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Un libro che è una perla preziosa, l'ha scritto A. M. Lemmonier, Luce sul patibolo. Lettere dal carcere di Jacques Fesch. L'abbiamo letto quando uscì in Italia e non l'abbiamo più dimenticato. La misericordia di Dio non è buonismo né accondiscendenza al male, ma conversione a Dio, che di un delinquente fa un mistico. Non è giacere nei vizi né legalizzarli, ma essere redenti dal Crocifisso.
RAPINA A RUE VIVIENNE
Il 25 febbraio 1954 a Parigi, in Rue Vivienne, verso le sei di sera, è stato aggredito a colpi di martello un cambiavalute, Alexandre Silberstein. Perde sangue, mentre il suo aggressore fugge con una cospicua somma di denaro. Il criminale, Jacques Fesch, rivoltella in pugno, si copre la fuga ferendo un passante. Il poliziotto Georges Vergnes, cui è stato dato l'allarme gli dà la caccia fino al Boulevard des italiens. Il bandito, sul punto di essere preso, spara all'agente e lo uccide. Qualche ora dopo, l'autore della rapina e dell'omicidio è catturato e assicurato al carcere. Ma chi è costui?
Jacques Fesch ha 24 anni, essendo nato a Parigi nel 1930, figlio di un belga autoritario e insopportabile. Questo belga, che è direttore di banca, si occupa poco del figlio e presto si separa dalla moglie, lasciandole il giovanissimo Jacques a Saint-Germain-en-Laye. Cresce molto attaccato alla mamma, che però è una donna incapace di educarlo e di prepararlo alla vita. Non sa distinguere il bene dal male, desideroso di affetto e di sicurezza. Le scuole le frequenta in un collegio privato, senza combinare nulla.
A 20 anni, il servizio militare, che non è proprio una buona educazione. Poi subito sposa Pierette, una ragazza di Saint-Germain, di origine ebrea. Presto nasce Veronique, ma Jacques abbandona la ditta del suocero dove lavora, la moglie, la figlioletta e se ne va dalla mamma, con il progetto di aprire una ditta in concorrenza al suocero. Ma presto si trova nei guai e decide di partire per la Polinesia. Ha assolutamente bisogno di soldi ed è disposto a tutto.
La mattina del 26 febbraio 1954, Pierette apprende dai giornali che suo marito, Jacques Fesch, era diventato un assassino e deve presentarsi in questura a essere interrogata su di lui. Nel carcere della "Santé", a Parigi il cappellano va a far visita al nuovo arrivato (i preti s'interessavano subito di salvare un'anima - oggi, ognuno "può" essere lasciato alle sue scelte spontanee e istintive!). Il detenuto Fesch Jacques gli dichiara di essere un senza-Dio e lo manda via.
GESÙ MI HA VISITATO
Nella cella, Jacques è solo con se stesso. Lunghe giornate di solitudine e di silenzio. Alla porta le sbarre. Alla finestrella le inferriate. Il sole, quando c'è, lo si vede a "quadretti". Il regolamento carcerario cui sottostare con le sue umiliazioni. Il cappellano è un sacerdote cattolico e che crede a Gesù Redentore. Un giorno, dopo alcune settimane, il giovane lo vede passare e lo chiama: «Padre ho fatto un gran male».
All'inizio lo cerca perché è l'unico con il quale si possa parlare. Il "don" gli propone di scrivere un rapporto su se stesso e sulla sua tristissima vicenda. Acconsente. E lo fa con assoluta sincerità, spietato con se stesso, ma narra anche della sua famiglia di origine, di genitori separati che non hanno saputo amarlo né tanto meno guidarlo alla vita: «Mio padre era ateo all'estremo e io mi sono nutrito dei suoi pensieri di senza-Dio». Così travolto da un sogno utopistico, si era trovato a compiere una rapina e un omicidio senza alcun sussulto di coscienza. Spera, anzi è quasi certo che non sarebbe stato condannato a morte.
Il cappellano lo ascolta, senza stupirsi di nulla e gli porta libri scelti bene: il Vangelo, le Confessioni di sant'Agostino, tra i più grandi convertiti della storia, la Vita di santa Teresa d'Avila e Storia di un'anima di santa Teresa di Gesù Bambino, che ancora ragazza, convertì con la sua preghiera ardente il criminale Pranzini, poche ore prima della ghigliottina. Jacques legge e medita. Presto la figura di Gesù lo avvince: davanti a Lui, può solo mettersi e stare in ginocchio, ma non si sente umiliato: ha dato, sì o no il Paradiso, al brigante Crocifisso al suo fianco, che lo invocava: "Gesù, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno"? Sì, che l'ha dato!
GESÙ MI HA VISITATO
C'è un suo coetaneo, già compagno di collegio, che ora è diventato religioso, e che appena sa della vicenda di Jacques, gli scrive e tiene con lui un carteggio cordiale e luminoso. Anime belle e sante, cui è stato segnalato dal cappellano, pregano e offrono per lui. In una parola, Gesù, il Re divino, con la sua tattica sempre vincente, ha posto l'assedio alla sua anima. Al fondo di se stesso, comincia a sentire una Voce che lo chiama per nome: "Jacques, sei un delinquente, ma io, il tuo Dio, sono morto per te sulla croce". La sua esistenza, in realtà, dalla sua nascita aveva imboccato un tunnel oscuro, ma ora in fondo vede una Luce. Vuole credere, affidarsi a Gesù, ma non può: è troppo ciò che gli chiede il Nazareno.
Tiene un diario, e scrive in risposta alle lettere che riceve dal religioso e da altri buoni amici. Così racconta: «Alla fine di un anno di detenzione, mi ha percosso un intenso dolore dell'anima che mi fatto molto soffrire; bruscamente in poche ore, ho posseduto la fede, una certezza assoluta. Ho creduto e non capivo più come facevo prima a non credere. Gesù mi ha visitato e una grande gioia si è impossessata di me, soprattutto una grande pace. Tutto è diventato luce in pochi istanti. Era una gioia fortissima».
All'amico religioso, si apre senza riserve e gli narra la più bella storia d'amore che possa capitare nell'esistenza, anche oltre le sbarre di un carcere: un'anima con il suo Dio. «Sì, è Gesù che mi ha amato per primo, quando nulla avevo fatto per meritare il suo amore. Gesù mi ha colmato di grazie, e in te mi ha dato un fratello da amare. Ogni giorno, rileggo le tue lettere e vi attingo luce e forza».
Si rivolge alla moglie Pierette, scrivendole in modo commovente per portarla alla fede e quando lei rifiuta, non si arrende e torna alla carica e per lei prega: «Sei così infelice e sola. Gesù ti doni la sua luce, aprigli ché Lui bussa alla tua porta».
COM'È DOLCE GESÙ!
Ora tutto il suo impegno, la sua unica preoccupazione è rendersi conforme a Gesù. La Confessione frequente, frequentissima per purificarsi, per rafforzarsi nella grazia di Dio, per prepararsi in modo sempre più degno alla Comunione eucaristica con Gesù. Jacques è affamato, letteralmente affamato del Pane di vita e Gesù, nella cella del carcere, lo assimila a sé. Le lettere a padre Tommaso, il religioso amico, che intanto è diventato sacerdote, sono come la storia della sua anima che viene via via redimendosi: «Una mano possente - la mano di Dio - mi ha trasformato. Dov'è? Che cosa mi ha fato? È mano divina, incomprensibile a solo occhi umani, ma efficace, trasforma il mio essere in Lui. La lotta contro il male in me spesso è tragica, ma ormai sono creatura nuova innestata a Gesù Cristo, la vera vite». «Occorre che io abbatta, adatti, ricostruisca le mie strutture interiori non posso essere in pace. Il mio è tempo di lotta. Ma non mi fermo: se mi fermo, retrocedo. Devo crescere in Cristo».
Intanto il processo va per le lunghe e Jacques si illude che possa essere condannato almeno solo per l'ergastolo. Ma il cambiamento di scena avviene il 3 aprile 1957, quando al processo crolla ogni illusione: Fesch sarà condannato a morte. A nulla serve la difesa dell'avvocato Sudaka: non ci sono attenuanti che tengano: sul suo collo scenderà la lama della ghigliottina. Può essere la disperazione. Invece ora comincia l'ultimo atto della sua offerta - un'offerta sacrificale - della sua piena configurazione a Gesù Crocifisso. Nei mesi precedenti, Jacques aveva riflettuto, quindi pregato a lungo e sempre più intensamente nella sua cella, non tanto per evitare la condanna a morte, ma per rendersi fedele a Gesù, per riparare il male compiuto, per diventare un altro.
Ora, che sa quale sarà il suo destino ormai prossimo, passa tante ore della sua detenzione in ginocchio, nella sua cella, solo con Dio, a pregare e offrire per sé e per tutte le anime, deciso ad entrare subito in Paradiso dopo la sua morte, come il buon ladrone pentito sulla croce, accanto a Gesù Crocifisso. Sente che la giustizia umana, l'opinione pubblica, i più lo odiano, ma lui scrive: «Non resta che una cosa da fare, ignorare tutto quest'odio, poi cercare in fondo Gesù, Colui che instancabilmente attende l'anima percossa per darle il tesoro che il mondo rifiuta: Lui Stesso. Ecco, io ritrovo il Cristo, che qui, in questa cella, anticamera della morte vicina, mi dice: "E io non ho forse sopportato i chiodi per te?"».
LA SANTA VERGINE PER MANO
Jacques attende ancora l'esito della Cassazione... che però conferma la condanna a morte. L'avvocato chiede la grazia al capo dello Stato, ma Jacques gli scrive: «Io non sarò graziato. Ma è meglio così, perché se lo fossi, non so se vivendo potrò rimanere sulle vette dove Gesù mi ha condotto. È meglio che io muoia e che io vada da Lui».
Da mesi ha regolarizzato il Matrimonio con Pierette che aveva sposata a 20 anni solo civilmente e gli resta un sogno: che ella ritrovi la Fede, che educhi Veronique, la loro piccina, all'amore di Gesù. In primo piano nella sua offerta, ci sono loro due, le creature che più ama e che assisterà dal Paradiso: «Ora so che tutto è grazia e che non verso la morte io vado ma verso la vita. Non c'è pace all'infuori di Gesù, non c'è salvezza senza di Lui. Ogni volta che ricevo l'Ostia santa, ho il cuore che trabocca d'amore e un inno di grazie sale dalle mie labbra. Offrirò la mia morte come un sacrificio, per coloro che amo... e per coloro che mi odiano».
Negli ultimi mesi della vita, Jacques scopre e approfondisce l'amore e la presenza della Madonna accanto a lui: «Voglio tenere la Santa Vergine per mano e non più lasciarla fin che mi conduca al Figlio suo. Io vivo delle ore meravigliose. La Santa Vergine mi protegge, mi indica la via e quel che Gesù vuole da me. Sì, vivo delle ore meravigliose: com'è dolce Gesù con un peccatore convertito come me!».
Non è più un assassino, Jacques, neppure un buon cristiano, è diventato un piccolo mistico: «Gesù - scrive ancora - mi colma di doni... Gesù fa tutto e io mi rimetto a Lui, anche se mi fa un po'soffrire. Attendo che l'opera sia compiuta».
Alla fine di settembre l'avvocato lo avverte che l'ultima ora si avvicina. Jacques scrive all'avvocato, alla mamma, all'amico sacerdote, il suo addio, il suo «arrivederci»: «Ancora qualche ora di lotta prima di vedere l'Amore. Attendo l'Amore, attendo di essere inebriato da torrenti di gioia e di cantare eterne lodi a Cristo Risorto».
Notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre 1957, vigilia della sua esecuzione: «Fra cinque ore vedrò Gesù». Recita il Rosario e le preci dei moribondi per se stesso. Il cuore gli si riempie di pace, «perché Gesù mi ha promesso di portarmi subito in Paradiso». Un'ultima offerta: «Il mio sangue sia accetto a Dio come sacrificio totale». Ha vegliato e pregato tutta la notte, recitando un Rosario dopo l'altro, prima i misteri dolorosi, quindi i misteri gloriosi, cui sta per andare incontro. Riceve dal cappellano l'ultima assoluzione, riceve Gesù Eucaristico come Viatico per la Vita eterna. Quando vengono a prelevarlo dalla cella, è ancora buio. Avanza verso il patibolo con passo fermo, pallido ma sereno in volto, quasi sorridente, in una pace incredibile.
Prima di inginocchiarsi sul ceppo e di mettervi la testa, si volge al cappellano: «Padre, Padre mio, il Crocifisso, il Crocifisso» e lo bacia intensamente.
Alle 5.30, la testa di Jacques Fesch cade sotto la lama.
Ha solo 27 anni. Non è stato giustiziato un criminale, ma un piccolo santo!
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