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"Martire", "combattente", "poeta". Nel 50mo anniversario della morte di Che Guevara, ieri, se n'è sentite di tutte, in ogni servizio televisivo e giornalistico, sulle Tv nazionali. Al massimo si aggiunge "chiaroscuro" per definire il suo curriculum. Tutt'al più: "controverso", giusto per apparire imparziali. Ma Che Guevara, a mezzo secolo dalla sua uccisione, pare essere stato un misto fra Garibaldi (per chi ama il genere) e Madre Teresa («Credo in una sola Chiesa, che va da Che Guevara a Madre Teresa» cantava Jovanotti). Eppure del Che si sa tutto, ormai. I suoi crimini sono noti. La lista è lunga. Perché il mito continua?
L'ODIO COME FATTORE DI LOTTA
La prima citazione che viene in mente di Che Guevara è tutt'altro che una frase da bigliettino nei cioccolatini. Esaltò l'odio, letteralmente, nella Conferenza Tricontinentale: «L'odio come fattore di lotta, l'odio intransigente verso il nemico, che spinge oltre i limiti naturali dell'essere umano e lo trasforma in una reale, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere». Non certo le stesse cose che diceva Madre Teresa. Il Che visse come un trauma il suo celeberrimo viaggio in motocicletta nell'America Latina. Vide la miseria e la malattia. Ma evidentemente non ne trasse alcun messaggio d'amore, bensì un odio apocalittico. Una voglia di distruzione del vecchio mondo e costruzione di un mondo e di un uomo nuovo che è testimoniata dalla sua posizione estrema nella crisi dei missili sovietici a Cuba, che nel 1962 portò il mondo sull'orlo del baratro della guerra nucleare. «Se i missili fossero rimasti - disse in seguito il Che - noi li avremmo utilizzati contro il cuore degli Stati Uniti, tra cui New York. Non dobbiamo mai stabilire una convivenza pacifica». Non temeva (anzi pareva auspicare) l'Olocausto nucleare: «Quello che affermiamo è che dobbiamo proseguire sulla via della liberazione, anche se questo costa milioni di vittime atomiche». Aveva idee chiare anche su come amministrare la giustizia: «Non abbiamo bisogno di una prova per l'esecuzione di un uomo. Abbiamo solo bisogno della prova che è necessario giustiziarlo». E come controllare il dissenso: «Dobbiamo eliminare tutti i giornali. Non siamo in grado di fare una rivoluzione con una stampa libera».
SISTEMA DI GOVERNO STALINIANO
Dalle parole, durissime («ma senza perdere la tenerezza», come disse lui stesso e come amano ricordare i suoi estimatori), il Che passò subito ai fatti sin dal giorno in cui la rivoluzione di Castro trionfò a Cuba. Nel 1959, Guevara divenne procuratore. Nel carcere della Cabanha, sotto sua diretta responsabilità, si eseguivano fucilazioni tutti i giorni. In sei mesi vennero "liquidati" dalla sua Commissione per la Purificazione 180 prigionieri politici. Nel 1960 mette in piedi il primo gulag cubano nella penisola di Guanaha. Funzionava come i gulag dell'Unione Sovietica: lavori forzati, torture, esecuzioni sommarie, disumanizzazione dei prigionieri. Definito un «partigiano dell'autoritarismo fino al midollo» dal suo ex compagno di lotta Regis Debray, fu Guevara, ancor più di Castro, a importare a Cuba un sistema di governo e repressione puramente staliniano.
Probabilmente la sua fama fu dovuta unicamente alla scelta di esportare la rivoluzione all'estero, fra Africa e Sud America. Morì da combattente, catturato sul campo dalle forze anti-insurrezionali della Bolivia e giustiziato il 9 ottobre 1967. Il suo corpo, esposto al pubblico e fotografato, è spesso paragonato a una Deposizione atea. Il suo volto, nel ritratto più celebre del fotografo Alberto Korda, ha lo sguardo ispirato di un messia. Per il pubblico più colto, è proprio nel suo messianesimo marxista che risiede il suo fascino. Ma è un culto della morte, anche se ben mascherato da speranza. Il giornalista Dario Fertilio, nel suo Il Virus Totalitario, la descrive come una «filosofia della tabula rasa, al piacere di ripartire da zero cancellando il già tentato e realizzato, senza pietà per coloro che vengono scartati dal programma, trucioli del vecchio mondo destinati all'inceneritore della distruzione creatrice». E' il "paradiso" in terra sognato dai marxisti. Inevitabilmente ha garantito la nascita di inferni terrestri, ovunque sia stato sperimentato. Ma il Che è sopravvissuto alla disillusione perché non ha mai assistito al suo fallimento. Non invecchiò, non divenne un gerarca, non attraversò la fase di "burocratizzazione" della dittatura più longeva del mondo.
Per il pubblico meno colto, il volto del Che stampato su magliette e cover dei cellulari, spille e tatuaggi, è solo un logo del perfetto «giovane che vuol cambiare il mondo». Ed è la nemesi perfetta per un uomo che dedicò la vita (e la perse) nella lotta contro il capitalismo: diventare un diffuso brand di successo.
Nota di BastaBugie: Francesco Agnoli nell'articolo sottostante dal titolo "Il vero volto del Che" dimostra come Che Guevara fosse crudele, fanatico, dogmatico, freddo, intollerante.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su Libertà e Persona il 9 ottobre 2017:
Il mitico Che Guevara fu un ammiratore dello sterminatore Stalin, prima di divenire un seguace entusiasta del più grande massacratore di tutti i tempi, il dittatore cinese Mao Tse Tung. Il Che fu il primo filocomunista e il primo filosovietico, ben prima di Castro, tra i ribelli cubani, e riempì l'isola di manuali e di tecnici russi; fu l'uomo che durante la crisi dei missili di Cuba del 1962 sperò ardentemente che potesse scoppiare la guerra mondiale tra Usa e URSS, ritenendo che essa avrebbe sconfitto il nemico americano e portato automaticamente la pace e la giustizia sociale ai popoli.
Un uomo che ebbe due mogli e cinque figli, ma secondo la testimonianza di uno di questi, Camilo Guevara, non dedicò loro un solo attimo del suo tempo, intento com'era a cambiare il mondo con le armi. Che Guevara fu un feroce sanguinario. "Era disumano, un uomo senza sentimenti che in realtà voleva fare solo ciò che aveva occupato tutto il suo tempo: la guerra di guerriglia": così, dopo aver ricordato le fucilazioni indiscriminate ordinate dal Che a la Cabaña, Juanita Castro, la sorella di Fidel, che fu rivoluzionaria al suo fianco per alcuni anni (Juanita Castro, I miei fratelli Fidel e Raùl, Roma, 2010).
"La sua arroganza e il disprezzo verso gli altri, che considerava inferiori e trattava con i piedi - aggiungeva Carlos Franqui, che fu direttore di radio Rebelde e del quotidiano Revolucion, voci ufficiali della rivoluzione castrista -, erano proverbiali". E ancora: "Esiste il mito di Guevara, nonostante tutti i suoi insuccessi economici e politici, che contribuirono fortemente alla distruzione dell'economia e della società cubane" (Carlos Franqui, Cuba, la rivoluzione: mito o realtà, Milano, 2007).
Il Che era un uomo crudele, fanatico, un "dogmatico, freddo, intollerante che non ha nulla da spartire con la natura calorosa e aperta dei cubani", scriveva Regis Debray, un intellettuale francese marxista, che fu amico intimo di Castro e di Guevara, e che venne arrestato insieme a lui in Bolivia, prima di divenire consigliere del presidente socialista Mitterand (Révolution dans la révolution?, Paris, 1967 e Loués soient nos seigneurs, Paris, 1996).
Secondo Alvaro Vargas Llosa (figlio del celebre Mario, che fu sostenitore della rivoluzione cubana), il Che fu il responsabile di centinaia di esecuzioni nel carcere della Cabaña nelle prime settimane di potere; contribuì a consegnare la rivoluzione anti-Batista nelle mani del comunismo, allacciando le relazioni con il regime sovietico, e organizzò i primi campi di concentramento per i prigionieri politici, i credenti e gli "asociali" (tra cui gli omosessuali), creando nello stesso tempo un sistema economico autoritario che andò ben presto in bancarotta. (Il mito Che Guevara e il futuro della libertà, Torino 2007; Enrico Oliari, Pride, 9/2004).
Del resto è stato Guevara stesso a scrivere, in quello che è considerato il suo testamento: "Agirà il grande insegnamento dell'invincibilità della guerriglia...L'odio come fattore di lotta; l'odio intransigente contro il nemico, che permette all'uomo di superare le sue limitazioni naturali e lo converte in una efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere. I nostri soldati devono essere così" (E. Che Guevara, Scritti, discorsi e diari di guerriglia (1959-1967), Torino, 1969). Così come era lui, capace di condannare a morte su due piedi avversari e talora persino compagni di lotta, e di dichiarare: "Prendete un fucile e sparate alla testa di ogni imperialista che abbia più di quindici anni". (Massimo Caprara, già segretario di Palmiro Togliatti, Il Timone, luglio-agosto 2002)".
Il già citato Antonio Moscato, suo grande estimatore, ricorda che il Che fu un devoto ammiratore di Stalin, poi di Mao, poi del comunismo ceco: "Guevara era stato il più entusiasta sostenitore della collaborazione con i paesi del socialismo reale...aveva manifestato la sua commozione per le accoglienze trionfali ricevute in URSS e in altri paesi socialisti..."; "Era stato il primo filocomunista nel '58, durante la guerra, e il primo filosovietico nel '59, '60, '61...".
Fu lui a inviare studenti, operai e tecnici cubani ad addestrarsi in diversi paesi socialisti, Urss, Cecoslovacchia e Germania comunista e ad invitare a Cuba tecnici sovietici, distruggendo l'economia cubana, nonostante promesse altisonanti.
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