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Jesus Christ is comin' to town. La versione di quest'anno del classico swing natalizio composto nel 1932 da Haven Gillespie e J. Fred Coots è finalmente questa. Lo sfratto imposto per otto anni da Barack Obama è finito e Gesù Bambino nascerà ancora una volta nella mangiatoia anche alla Casa Bianca.
Mentre ancora una volta il mondo ne inventa una più di Bertoldo per vergognarsi in pubblico di quella Nascita (presepi surreali o disinvoltamente buttati nel cesto, parodie blasfeme della Sacra Famiglia), giovedì 30 novembre il presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump e signora hanno accesso il tradizionale albero di Natale che svetta davanti alla Casa Bianca. Si chiama "National Christmas Tree". Negli Stati Uniti un mucchio di cose si chiamano così, e molte di queste sono belle cose. "National Shrine", "National Prayer Breakfast", "National Catholic Prayer Breakfast", persino le "National Holiday". Sono quei momenti e quei gesti pubblici che simboleggiano una nazione intera, un popolo vivo, una storia. Momenti e gesti in cui non c'è partigianeria (in realtà c'è, ma la si sospende pour cause e gentlemanship), in cui il Paese non "si sente" unito ma lo è davvero. Momenti e gesti nazionali, appunto, con un senso e un gusto che molti di noi hanno invece tristemente perso, addirittura bandiere, emblemi, l'american way of life al suo meglio.
TRUMP HA RIMESSO GESÙ AL SUO POSTO
C'è dunque appunto anche l'Albero di Natale Nazionale. È inconfondibilmente lui. Lo si potrebbe persino chiamare per nome. Svetta nel quadrante di nordest dell'Ellisse, ovvero il parco di poco più di 200mila metri quadrati che si estende oltre il cancello sud della Casa Bianca. Ovvero davanti a essa, sul marciapiede opposto. Settimana scorsa, come di rito, la coppia presidenziale lo ha inaugurato. E, come aveva promesso in pubblico parlando al Value Voter Summit il 13 ottobre, Trump ha rimesso Gesù al suo posto, cioè al centro di tutto, in barba al politicamente corretto, alle molte sedie vuote per polemica sterile, ai commentucci scontati dei soliti noti.
Le parole pronunciate da Trump giovedì scorso le riporta integralmente LifeSite News, uno dei più lucidi e combattivi siti Internet di sana controinformazione a difesa della vita umana nascente e della famiglia naturale. «Per i cristiani questo è un tempo santo», ha detto Trump: «la celebrazione della nascita di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. La storia del Natale inizia 2mila anni fa con una madre, con un padre, con il loro bambino e con il dono più straordinario di tutti: il dono dell'amore di Dio a tutta l'umanità. Quale che sia il nostro credo, noi sappiamo che la nascita di Gesù Cristo e il racconto di quella vita incredibile hanno mutato per sempre il corso della storia umana. Non vi è un solo aspetto delle nostre esistenze che quella vita non abbia toccato: l'arte, la musica, la cultura, il diritto e il rispetto che abbiamo per la dignità sacra di ogni persona in qualsiasi luogo del mondo. Ogni anno a Natale riconosciamo che lo spirito autentico del Natale non è ciò che abbiamo, bensì ciò che siamo: ognuno di noi è figlio di Dio. È questa la fonte vera della gioia di questo periodo dell'anno. È questo ciò rende ogni Natale "buono". Ed è questo ciò che ricordiamo con la bella cerimonia di oggi: che siamo chiamati a servirci gli uni gli altri, ad amarci gli uni gli altri e a perseguire la pace nei nostri cuori e nel mondo intero».
IL PRESIDENTE CHE HA RIDATO LEGALITÀ AL NATALE
Trump potrebbe passare alla storia come il presidente che negli Stati Uniti ha ridato legalità e corso all'espressione «buon Natale». È prevedibile che l'astio già enorme nei suoi confronti aumenti a dismisura. Il «buon Natale» del presidente si muta del resto subito in ringraziamento esplicito a coloro che si spendono affinché il Natale sia davvero sempre buono per milioni di americani, persone che mettono ogni giorno a diposizione la propria vita per gli altri onde garantire sicurezza, pace e stabilità a tutti, vale a dire i soldati e le forze dell'ordine. Ma il «buon Natale» presidenziale raggiunge esplicitamente anche i leader religiosi che hanno insegnato e che insegnano. Prevedibili rovesci eccezionali di accuse di lesa laicità dello Stato sul capo di Trump, anche perché il presidente si è spinto ancora più in là ringraziando «[...] specialmente le famiglie americane».
Il Natale, ha detto, «[...] ci ricorda più di ogni altro tempo dell'anno che la famiglia è la roccia su cui poggia la società statunitense»; per questo ha aggiunto, pubblicamente: «[...] dunque questo Natale chiediamo la benedizione di Dio sulle nostre famiglie e sulla nostra nazione. E preghiamo affinché il nostro Paese possa essere il luogo dove ogni bambino abbia una casa colma di amore, una comunità ricca di speranza e una nazione benedetta dalla fede». Qui Trump non dice "blessed", ma "blest": usa una forma antica, atavica, avita, arcaica nel migliore dei significati. Per fare il vecchio trombone? No, per riecheggiare la fede dei padri, il senso di una storia che continua, la musicalità di un suono che riproduce la bellezza primigenia. Il Natale, appunto, inizio di tutto. Quando chiude con il classico «God bless America» nessuno ha la sensazione che sia una forma vuota di circostanza, per primi quelli che Trump lo odiano. La notizia del giorno è che negli Stati Uniti Gesù è tornato libero.
Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo sottostante dal titolo "Trump vince al Senato: 1500 miliardi di tasse in meno" parla della riforma fiscale negli Stati Uniti, voluta da Donald Trump e approvata dal Senato, pur con una maggioranza risicata. 1500 miliardi di tasse in meno nei prossimi 10 anni. Sinistra scandalizzata: si aiutano i ricchi. In realtà vengono avvantaggiate le famiglie, anche sullo home schooling, la libertà di educazione finalmente riconosciuta alle famiglie.
Ecco dunque l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 3 dicembre 2017:
Con pochi, ma significativi, aggiustamenti nel testo, il Senato degli Stati Uniti ha votato riforma fiscale più incisivo dagli anni '80. Tecnicamente è solo il primo di tre voti, perché adesso spetta alla Camera far passare il proprio piano, simile ma non identico a quello del Senato. E poi si passerà all'ultimo voto in Senato per l'approvazione definitiva. Entro Natale, il presidente Trump potrebbe firmarlo per la promulgazione. Da un punto di vista politico, tuttavia, si è passato lo scoglio più grande e i Repubblicani al Congresso hanno tutte le ragioni del mondo per festeggiare di già la vittoria. Si tratta di un taglio di tasse immenso, pari a circa 1500 miliardi di dollari (al netto delle maggiori entrate dovute alle minori deduzioni fiscali) in dieci anni.
I dettagli di questa riforma fiscale li avevamo già visti su queste colonne, quando il testo della riforma era stato presentato in Senato. La sua versione definitiva è stata approvata, con una maggioranza risicata (51 voti a favore e 49 contrari) dopo la votazione di quattro emendamenti. Due di questi sono stati bocciati, due promossi e inclusi nella riforma. L'emendamento bocciato nel modo più schiacciante avrebbe leggermente alzato l'aliquota sull'utile delle imprese, da 20 a quasi 21% e aumentato l'esenzione fiscale per i bambini, ma solo per le famiglie con reddito più basso. Emendamento bocciato con 71 voti contrari e 29 favorevoli, nonostante il sostegno di alcuni big del mondo conservatore, quali Ted Cruz e Marco Rubio, oltre che di una piccola pattuglia di 9 senatori democratici. Gli altri tre emendamenti sono tutti stati promossi o bocciati con votazioni al fotofinish.
E' passato quello di Ted Cruz, sulla libertà di educazione, con il quale l'uso dei fondi di risparmio "529" (quelli con cui i genitori risparmiano somme esentasse per permettersi la retta del college per i figli) viene esteso anche alle scuole private, religiose e allo home schooling. L'emendamento rischiava di non passare a causa della diserzione di due repubblicane, Susan Collins e Lisa Murkowski, ma alla fine è stato approvato con una maggioranza di un solo punto. Quello del vicepresidente Mike Pence, che ha rotto l'impasse esercitando il suo diritto di voto. [...]
La riforma fiscale è passata con appena 2 punti di maggioranza, 51 voti contro 49.
Cosa comporta un taglio fiscale di queste dimensioni? La stampa liberal, a partire dal New York Times, punta il dito contro una riforma che "arricchisce i ricchi" e "non aiuta la classe media". Questa è tuttavia una spiegazione tipica di chi ragiona in termini di classi sociali. Se la riforma dovesse avere l'effetto che ebbe quella di Reagan, nei prossimi anni rimetterà in moto l'ascensore sociale. Dunque molti di coloro che sono "ceti medi", un domani potrebbero essere membri dei ceti più alti, più facilmente di quel che sono ora. Con la riforma, si avvantaggia chi realizza più utili aziendali, dunque è un incentivo a produrre. E paga meno tasse chi mette in piedi una famiglia con figli, per cui si alza l'esenzione standard. Anche grazie agli emendamenti aggiunti, la riforma è innegabilmente una manna dal cielo per le famiglie, anche per quelle che vogliono provvedere direttamente all'educazione dei figli.
Dove fa acqua? Nella copertura di bilancio. Sicuramente è questa la critica (mossa da Corker, fra gli altri) più fondata al nuovo sistema fiscale. Perché senza adeguate coperture rischia di gravare interamente sul debito pubblico. I Repubblicani forse mostrano un troppo leggero ottimismo quando affermano che la crescita economica, generata da una tassazione più leggera, sarà sufficiente a colmare il buco. Nemmeno con Reagan funzionò così: il presidente simbolo degli anni 80 lasciò in eredità un debito molto superiore rispetto a quello che aveva trovato nel 1981. E il debito pesa inevitabilmente sulle generazioni successive. Certo, scagli la prima pietra chi, finora, fra i Democratici, ha sempre difeso Obama, un presidente che il debito pubblico l'ha letteralmente raddoppiato, non tagliando le tasse, ma alzando la spesa pubblica.
Da un punto di vista strettamente politico, si tratta della prima vera vittoria dei Repubblicani. Pur avendo il presidente dalla loro e la maggioranza sia alla Camera che al Senato, non avevano fatto passare nemmeno una riforma importante dal gennaio del 2017, quando si è insediato il nuovo Congresso, più che per l'opposizione dei Democratici, soprattutto per faide interne. Adesso hanno ottenuto un risultato e lo slancio che cercavano, così da avviare con più determinazione un anno elettorale: nel novembre 2018 si voterà alle elezioni di Medio Termine proprio per il rinnovo di gran parte del Congresso. Più che un banco di prova per Trump, sarà un test per la maggioranza repubblicana.
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