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LE INGERENZE DELLO STATO NELLA VITA DELLA CHIESA, CORSI E RICORSI STORICI
Il Coronavirus ha provocato una intromissione dello Stato nella vita della Chiesa: comunione in mano e con i guanti, chiusura delle chiese, poliziotti che interrompono la messa, mancato rispetto del Concordato, ecc.
di Stefano Fontana
 

Il covid-19, tra i tanti suoi effetti, ha anche provocato una nuova secolarizzazione della religione cristiana nel nostro Paese. Il divieto di inginocchiarsi, la sostituzione dei banchi con le sedie, la comunione obbligatoriamente in mano, i sacerdoti con i guanti, la chiusura delle chiese, pezzi di liturgia appaltata al governo, poliziotti che interrompono la messa,  il mancato rispetto del Concordato [vedi nota in fondo all'articolo, N.d.BB]... tutta una serie di piccoli/grandi interventi che senz'altro hanno tolto alla liturgia domenicale qualche risonanza di sacro.
Per indicare questi atteggiamenti dello Stato gli storici hanno creato i termini di giuseppinismo, regalismo e giurisdizionalismo, ossia l'allargamento delle prerogative statali - allora regie ora repubblicane -  a danno della Chiesa.  

CORSI E RICORSI STORICI
Nella lunga storia della Chiesa, le ingerenze dello Stato sono state copiose. Può essere utile leggere l'agile libretto di Giovanni Turco dal titolo "Il problema dei cattolici tra Italia e Germania", edito da Solfanelli nel 2019. Lì si può vedere i molti tentativi di secolarizzazione della religione cattolica, certamente più acuti ed aspri di quelli di oggi ma con alcuni aspetti dii comune interesse.
Già gli Stati italiani precedenti l'unità si erano molto impegnati nel settore. Nel Granducato di Toscana, nelle regioni italiane dell'Impero e nel Regno di Napoli il potere politico arrivava a decidere il numero dei novizi da ammettere nelle congregazioni religiose, la nomina dei docenti nei seminari, la regolamentazione dell'uso delle campane, la lunghezza delle candele votive, fino al condizionamento degli indirizzi teologici nella formazione del clero. L'uso del placet e dell'exequatur, ossia del consenso governativo alla nomina dei vescovi, accompagnò spesso il sostegno all'eterodossia
Con la nascita del nuovo Stato italiano unitario, dal 1861 al 1867, vennero soppresse tutte le congregazioni religiose e i loro beni incamerati dallo Stato. Nel meridione "conquistato" le Opere pie vennero soppresse, le mense vescovili eliminate, limitate le funzioni religiosi vespertine e notturne, abolita l'esenzione dei chierici dal servizio militare, ostacolato l'obolo di san Pietro, imposto il giuramento ai cattolici dichiarati. Nel 1864 ben 34 vescovi vengono estromessi dalle loro sedi per ordine governativo per non avere sottoposto al governo le Bolle pontificie e chiesto l'exequatur.

DIFFERENZE TRA IERI ED OGGI
In Germania, durante il Kultukampf voluto da Bismark tra il 1871 e il 1874, ci fu un'ondata laicizzatrice sulla scorta del principio del primato dello Stato. Per essere designati ad un incarico ecclesiastico bisognava essere tedeschi, giurare obbedienza alle leggi del Reich ed avere il permesso dello Stato. Venne esclusa ogni giurisdizione del Papa in Germania. Tutti gli ordini religiosi vennero aboliti, ad eccezione di quelli ospedalieri e fu esteso alle scuole religiose il controllo statale. I vescovi sostenitori del dogma dell'infallibilità pontificia vennero colpiti. La legge "del pulpito" vietava di accennare qualsiasi critica alle leggi ecclesiastiche dello Stato durante le omelie.
In Svizzera nel 1874 fu fatto divieto di fondare nuovi conventi, furono soppresse le giurisdizioni ecclesiastiche e fu stabilito il matrimonio civile.
In tutte queste vicende si nota una costante, che rappresenta un punto interessante anche oggi. Parti consistenti di Chiesa resistettero, ma sempre ci fu una parte che dall'interno della Chiesa appoggiava il laicismo di Stato. In Austria i vescovi cattolici coraggiosamente si rifiutarono di obbedire alle legge che imponeva loro di consegnare allo Stato i registri dei matrimoni, rinunciando così alla giurisdizione della Chiesa sul matrimonio. Ma in Germania gruppi di cattolici scelsero il lealismo nei confronti del Reich. Anzi, tutte le leggi del Kulturkampf provenivano dai membri cattolici del Reichspartei. Alfonso Maria de' Liguori si schierò contro la soppressione dei Gesuiti e contro i giansenisti e i "novatori" che dall'interno della Chiesa invece la appoggiarono.
È sempre stato così e ancora adesso è così. Ci sono solo due differenze. La prima è che quei territori interni alla Chiesa sono già stati ampiamente invasi e rimane ormai ancora poco da invadere. Il secondo è che, contrariamente ad oggi, a quei tempi coloro che resistevano erano in molti e i "novatori" in pochi.

Nota di BastaBugie: Gianfranco Amato nell'articolo seguente dal titolo "Domande alla Santa Sede dopo la violazione del Concordato" si chiede perché, dopo l'emergenza Coronavirus, la Santa Sede non abbia denunciato la violazione del Concordato da parte dello Stato Italiano. Il problema sta nel fatto che non si capisce se la Santa Sede si ritenga ancora uno Stato indipendente. Sono domande lecite e soprattutto che hanno bisogno di una risposta chiara.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 23 maggio 2020:
Alcuni cattolici vorrebbero rivolgere tre semplici domande alla Santa Sede e alla Conferenza Episcopale Italiana a seguito dell'atteggiamento assunto di fronte ai provvedimenti amministrativi del governo Conte in tema di pandemia Covid-19.
1) PRIMO QUESITO
Tra la Repubblica italiana e la Santa Sede esiste un trattato internazionale, noto come Concordato Lateranense, modificato nel 1985 attraverso quello che la storia conosce come "Accordo di Villa Madama", voluto dall'allora Presidente del consiglio dei ministri Bettino Craxi. Quell'accordo, riconfermando alcuni importanti diritti dei Patti Lateranensi, riconosceva fin dall'art. 1 che «La Repubblica italiana e la Santa Sede sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Si tratta, pertanto, di un trattato internazionale tra due soggetti «indipendenti e sovrani». In questo accordo, peraltro, è espressamente sancito che «la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione», assicurando in particolare «alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica» (art.2). Ora, è accaduto che il governo italiano, attraverso semplici atti amministrativi - peraltro di dubbia costituzionalità - quali i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri Conte, ha palesemente violato l'Accordo sottoscritto con la Santa Sede, disponendo unilateralmente la sospensione del «pubblico esercizio del culto», e stabilendo quali celebrazioni potessero essere svolte e a quali condizioni.
È come se, per esempio, in un trattato internazionale tra l'Italia e la Francia, il nostro Paese avesse violato uno dei punti dell'accordo. È difficile non immaginare reazioni da parte dell'altro stato contraente. Per non parlare di ciò che potrebbe accadere se l'Italia decidesse unilateralmente di non rispettare un trattato europeo. La domanda che alcuni cattolici vorrebbe porre è la seguente: Perché la Santa Sede non ha formalmente denunciato la violazione del Concordato con la Repubblica italiana?
2) SECONDO QUESITO
Il trattato internazionale tra Italia e Vaticano prevede all'art.14 che in caso di violazioni, difficoltà di interpretazione o di applicazione degli accordi stipulati le parti contraenti affidino «la ricerca di un'amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata». A questo riguardo, la domanda che alcuni cattolici vorrebbero porre è: perché la Santa Sede, di fronte alla violazione del governo italiano, non ha attivato la procedura dell'art.14, richiedendo la nomina della Commissione paritetica per dirimere la controversia?
3) TERZO QUESITO
Tutti i trattati internazionali, come il Concordato tra Italia e Vaticano, sono soggetti al rischio della della disapplicazione e della desuetudine. Per mantenere gli effetti giuridici del Concordanto non è sufficiente la sua pacifica applicazione da parte dei contraenti, ma è necessaria, piuttosto, la denuncia - nelle forme previste dagli stessi Trattati o comunque contemplate dal diritto internazionale - delle violazioni e delle disapplicazioni, al fine di costringere il contraente inadempiente a rispettare i patti.
La domanda che alcuni cattolici vorrebbero porre è la seguente: la Santa Sede intende far cessare gli effetti del Concordato per disapplicazione e desuetudine? Non è più interessata a quel particolare trattato internazionale? La grave inerzia di fronte alle violazioni del governo italiano è dovuta ad una limitata conoscenza giuridica o ad una deliberata volontà di non volersi più avvalere dei diritti e delle prerogative contemplate nel Concordato? Se, infatti, si trattasse di una precisa volontà, sarebbe giusto comunicarlo esplicitamente ai fedeli. E sarebbe anche opportuno essere consapevoli di tutte le conseguenze pratiche di tale rinuncia. Alcuni esempi per capire.
La rinuncia al Concordato farebbe venire meno il terzo comma dell'art.2 che garantisce «ai cattolici e alle loro associazioni ed organizzazioni la piena libertà di riunione o di manifestazione del pensiero», farebbe cessare anche l'art.4 il quale prevede che gli «ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero». Verrebbero meno anche gli effetti dell'art.5 che sancisce «il divieto di requisizione, occupazione, espropriazione o demolizione degli edifici aperti al culto in mancanza di previo accordo con la competente autorità ecclesiastici», e che «salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l'esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all'autorità ecclesiastica».
Il protocollo sottoscritto il 7 maggio 2020 tra il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministro dell'Interno e il Presidente della Conferenza Episcopale italiana non è stato fatto rientrare nel quadro del trattato internazionale tra Stato e Chiesa. Quello stesso protocollo - che non a caso omette qualunque riferimento o rinvio al Concordato lateranense e al successivo Accordo di Revisione - potrebbe domani essere invocato come prova della volontà di far cessare gli effetti dei citati patti internazionali per disapplicazione e desuetudine.
La questione è molto semplice: la Santa Sede si ritiene ancora uno Stato indipendente e sovrano? E la Chiesa cattolica italiana intende ancora essere riconosciuta dallo Stato italiano come un'istituzione «indipendente e sovrana» in virtù di un trattato internazionale, o si accontenta di essere trattata come qualunque altra istituzione? Sono domande lecite a cui pare doveroso rispondere in maniera chiara, esplicita ed onesta. Qualcuno da Oltretevere batta un colpo.

 
Titolo originale: La Chiesa e le ingerenze dello Stato: corsi e ricorsi
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 09-06-2020