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Prendiamo sempre con le molle i sondaggi e le analisi statistiche e sociologiche, ma non possiamo negare di aver trovato nell'ultimo Rapporto Censis, presentato ieri a Roma, la conferma di una situazione che sentiamo come veritiera. Il Rapporto è pieno di considerazioni interessanti, ma qui ci limiteremo a riportare quelle che, a nostro avviso, fotografano molto bene un "clima" - non sapremmo altrimenti come definirlo - che vige nel nostro paese. Significativo ci pare il fatto che si dica che gli italiani preferiscano essere «sudditi piuttosto che morti».
La citazione, tratta dalla sintesi del Rapporto, è un po' lunga ma merita di essere riproposta.
MEGLIO SUDDITI CHE MORTI
«Spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza: ecco l'Italia nell'anno della paura nera, l'anno del Covid-19. Il 73,4% degli italiani indica nella paura dell'ignoto e nell'ansia conseguente il sentimento prevalente in famiglia. In questi mesi, il 77% ha visto modificarsi in modo permanente almeno una dimensione fondamentale della propria vita: lo stato di salute o il lavoro, le relazioni o il tempo libero. Lo Stato, pur percepito come impreparato di fronte all'ondata dei contagi, si è palesato come il salvagente a cui aggrapparsi nel massimo pericolo. Ma, oltre al ciclopico debito pubblico, le scorie dell'epidemia saranno molte, diversificate e di lungo periodo. La prima scoria è la propensione a rinunciare volontariamente alla solitamente apprezzatissima sovranità personale:
- il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni della mobilità personale;
- il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, introducendo limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione, di organizzarsi, di iscriversi a sindacati e associazioni. La paura pervasiva dell'ignoto porta alla dicotomia ultimativa: "meglio sudditi che morti". E porta a vite non sovrane, volontariamente sottomesse al buon Leviatano. Cresce allora il livore della logica "o salute o forca":
- il 77,1% degli italiani chiede pene severissime per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento;
- il 76,9% è fermamente convinto che chi ha sbagliato nell'emergenza, che siano politici, dirigenti della sanità o altri soggetti, deve pagare per gli errori commessi, che hanno provocato la diffusione del contagio negli ospedali e nelle case di riposo per gli anziani;
- il 56,6% vuole addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena e dell'isolamento, e così minacciano la salute degli altri;
- il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili o irregolari, hanno provocato la propria malattia;
- e il 49,3% dei giovani vuole che gli anziani siano curati dopo di loro. C'è un rimosso in cui pulsano risentimenti antichi e recentissimi di diversa origine, intensità, cause. Non sorprende, quindi, che persino una misura assolutamente indicibile per la società italiana come la pena di morte torni nella sfera del praticabile: quasi la metà degli italiani (il 43,7%) è favorevole alla sua introduzione nel nostro ordinamento (e il dato sale al 44,7% tra i giovani)».
GLI ITALIANI SOGNANO IL MODELLO CINESE
Sono numeri impressionanti che mostrano come l'unico vero sentimento oggi imperante nel paese è la paura con tutte le sue conseguenze. C'è lo Stato, identificato come un dio imperfetto, ma pur sempre l'unico cui affidarsi. C'è l'odio per chi si sottrae alle regole che va punito o non curato (c'è persino la forca per chi ha sbagliato). C'è il risentimento generazionale che colpisce gli anziani, cui è addossata la colpa delle proprie limitazioni.
Oggi sulla Terra esiste un paese dove lo Stato è tutto, chi sbaglia è punito, il sospetto e il risentimento sono forme di controllo sociale, la libertà è limitata al massimo: è la Cina. Su questo giornale, già da tempo, discutiamo della tendenza da parte, per ora, di alcuni intellettuali di proporre quello cinese come modello più efficiente della democrazia per affrontare le sfide di un mondo sempre più veloce e senza punti di riferimento ideali stabili. Ora, almeno a giudicare dallo studio del Censis, sembra che inizino a pensarlo anche gli italiani. Forse bisognerebbe far notare loro che è proprio all'interno di quel "paradiso" che è nato e si è diffuso il virus e che è lo Stato cinese ad averlo tenuto nascosto provocando i danni che conosciamo. E forse bisognerebbe far notare loro cosa sta succedendo a Hong Kong.
Oltre a questo, c'è un altro aspetto da sottolineare: di cosa si ha paura? Si ha paura di perdere la vita, l'unica cosa che abbiamo. Qui si torna all'analisi di Olivier Rey, il matematico francese di cui vi abbiamo parlato qualche giorno fa, autore di un saggio che spiega molte cose sul tempo presente. Se la vita ristretta alla sola accezione biologica è l'unico valore, essa diventa "tirannica". In suo nome si può e si deve fare tutto e chi "può e deve" fare tutto è lo Stato, cui si dà pieno potere. Scriveva infatti Rey che il mondo all'era del Covid certifica la vittoria di Hobbes: stiamo costruendo una società «nella quale l'individuo accetta di sottomettersi al potere assoluto del Leviatano in cambio della protezione che dovrebbe assicurargli contro la morte».
Nota di BastaBugie: la redazione di Tempi (composta da Alessandro, Gianpaolo, Matteo, Michele, Raffaele, Tommaso) nell'articolo seguente dal titolo "Vivi. Né morti, né tantomeno sudditi" parla del Rapporto Censis sulla situazione in cui si trova l'Italia.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 6 dicembre 2020:
Nel leggere alcuni passaggi del Rapporto Censis pubblicato il 4 dicembre 2020, siamo sobbalzati sulla sedia. Nel comunicato stampa che lo accompagna, l'analisi è impietosa: «Spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza: ecco l'Italia nell'anno della paura nera. Il 73,4% degli italiani indica nella paura dell'ignoto e nell'ansia conseguente il sentimento prevalente. Che porta alla dicotomia ultimativa: meglio sudditi che morti».
L'immagine del suddito ci ha colpiti.
Il suddito è colui che rinuncia a vivere, in nome della tranquillità, della sicurezza e della paura della morte. Il suddito ritiene che la propria libertà, il proprio cuore che esprime un desiderio di pienezza e felicità, e la stessa propria vita non siano esigenze assolute. Anzi: il suddito ha paura di disturbare i sapienti, di compiere errori e mettere a repentaglio se stesso e gli altri, quando esercita le proprie scelte e le proprie decisioni. Meglio attendere istruzioni, e seguirle in nome del "benessere della collettività".
Il potere (il sovrano) è ben felice di trovare di fronte a sé tali sudditi. Ritenendo di conoscere meglio di loro il bene e il male, e in ultima analisi i loro desideri, ben si presta all'arduo ruolo di "compiere scelte difficili". Il sovrano solleva il suddito della rischiosa scelta di come impiegare la propria libertà, fornendo dettagliate istruzioni e indicazioni: le regole, che nella visione del sovrano (colto e istruito, a volte) salveranno il mondo. E così, procede con Dpcm onnicomprensivi e con Faq esplicative.
Una tale situazione è per noi intollerabile.
La nostra esperienza e il nostro cuore si ribellano a una alternativa stupida tra l'autoriduzione in schiavitù (la sudditanza) e il mettere in atto comportamenti irresponsabili e folli (la morte). Siamo consapevoli che il periodo storico che viviamo richieda prudenza e attenzione. Ma dentro una tale ragionevole attenzione, vogliamo essere liberi di seguire quello che rende la vita vera: il tempo speso con gli amici veri, l'esperienza educativa dei nostri figli, l'affetto per i nostri genitori, la possibilità di assistere un malato, la vista dalla cima di una montagna innevata, la Messa per celebrare il Natale.
Soprattutto, non tolleriamo che questa dimensione di pienezza della vita sia banalizzata da regolette scritte da un sovrano autodefinitosi illuminato, che forte della propria laurea in legge o in medicina ci voglia spiegare (o imporre!) come vivere il periodo delle feste, o come abbracciare un nostro caro alla fine del proprio cammino.
È possibile essere vivi, liberi e non sudditi anche in questo momento perché la libertà è la possibilità di aderire al vero riconosciuto e riconoscibile nella nostra vita, in tutte le circostanze. Un desiderio, un grido che resiste e che chiede un senso, appartiene alla nostra natura umana e si ridesta in tutta la sua portata quando troviamo davanti a noi una Presenza che risponde.
L'esperienza della pienezza che abbiamo sperimentato mettendoci in gioco dentro le questioni della vita (il lavoro, la famiglia, l'amicizia, le passioni) è troppo bella, e troppo forte, per arrendersi di fronte alla pandemia. E non può temere il tiranno, o aver paura della morte. [...]
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