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CARITAS IN VERITATE 2
Non c'è contrasto tra le opere di carità e l'affermazione dei principi dottrinali
di Antonio Gaspari
 

Chi si aspettava i soliti luoghi comuni e la retorica dei «cattolici adulti» sulla decrescita, sull'ambientalismo romantico, sulla rivolta anti-capitalistica, sul fascino di coloro che accusano la cultura occidentale, è rimasto molto deluso, perché la Caritas in veritate, terza enciclica di Benedetto XVI, la prima di carattere sociale (a 18 anni dall'ultima enciclica sociale, la Centesimus annus di Giovanni paolo II), presentata martedì a Roma, ha dissipato dubbi e ambiguità circa l'ecologismo, il terzomondismo, la rivolta no global, il sostegno o meno allo sviluppo, la terza via tra capitalismo e socialismo, la teologia della liberazione, ecc...
Pur non citando mai la parola «capitalismo», l'enciclica propone un progetto di carattere culturale e sociale per superare le logiche utilitaristiche a favore di una rivoluzione antropologica dove lo sviluppo è indicato come «vocazione» per favorire «il bene comune» e si colloca nel «disegno di Dio».
Innumerevoli le novità. La prima riguarda la grande rilevanza dei temi di bioetica, che per la prima volta in una enciclica sociale trovano una esplicita e corposa collocazione in relazione allo sviluppo. Nella Caritas in veritate (ai punti 28, 44 e 75) la cosiddetta «questione antropologica» diventa a pieno titolo» questione sociale». Il controllo delle nascite, l'aborto, le sterilizzazioni, l'eutanasia, le manipolazioni dell'identità umana e la selezione eugenetica sono severamente criticati non solo per la loro intrinseca immoralità, ma soprattutto per la loro capacità di lacerare e degradare il tessuto sociale, minare il senso della legge, corrodere la famiglia e rendere difficile l'accoglienza del debole, che sono pratiche decisive per lo sviluppo delle virtù e dell'economia. L'enciclica spiega che per non mettere in pericolo lo sviluppo dell'economia e della società non sarà più possibile, impostare programmi di sviluppo solo di tipo utilitaristico che non tengano sistematicamente conto anche della dignità della donna, della procreazione, della famiglia e dei diritti del concepito.
A molti sembrerà ovvio che il Papa Benedetto XVI tocchi di nuovo i temi di bioetica. In realtà, questi sono di grande rilevanza soprattutto per chiarire il dibattito che ha coinvolto gran parte della Chiesa cattolica nel post Concilio Vaticano II. Da alcuni decenni, infatti, il mondo cattolico sembra essere diviso tra coloro che si dedicano ad opere di carità ed altri che si occupano più di questioni bioetiche come la difesa della vita e della famiglia. La lettura riduttiva dei mezzi di comunicazione di massa indica come progressisti coloro che si occupano di opere di assistenza e come conservatori quelli che si battono per la vita nascente. La questione è così presente che lunedì 25 maggio il cardinale Angelo Bagnasco, nel corso della prolusione alla 59a Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), ha riportato la domanda che alcuni fanno: «Se non sia opportuno concentrarci sul terreno della carità, dove s'incontrano facili consensi, piuttosto che in quello assai più contrastato della bioetica». Ed ha spiegato che non c'è contrasto tra le opere di carità e l'affermazione dei principi dottrinali, riaffermando la verità cristiana sull'uomo secondo cui «non c'è contraddizione tra mettersi il grembiule per servire le situazioni più esposte alla povertà e rivolgere ai responsabili della democrazia un rispettoso invito affinché in materia di fine vita non si autorizzi la privazione dell'acqua e del nutrimento vitale a chi è in stato vegetativo».
L'enciclica Caritas in veritate spiega in maniera chiara che non c'è carità senza verità e che solo nella verità la carità risplende. Sottolinea così che «senza la verità, la carità viene esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività».
Altra tematica nuova è quella dell'ambiente. I temi relativi all'ecologia sono affrontati con franchezza dall'enciclica, e l'ecologia umana viene contrapposta all'ideologia nota come «ecologia ambientale». E' scritto nella Caritas in veritate che «è contrario al vero sviluppo considerare la natura più importante della stessa persona umana. Questa posizione induce ad atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo. Dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, non può derivare la salvezza per l'uomo». E nel capitolo che tratta la crisi alimentare mondiale, il pontefice ha scritto che «potrebbe risultare utile considerare le nuove frontiere che vengono aperte da un corretto impiego delle tecniche di produzione agricola tradizionali e di quelle innovative, supposto che esse siano state dopo adeguata verifica riconosciute opportune, rispettose dell'ambiente e attente alle popolazioni più svantaggiate», concetto che gli analisti hanno letto come un'apertura, anche se prudente e velata, che Papa Benedetto XVI farebbe nei confronti delle nuove biotecnologie vegetali.
Mentre la parola più usata da Giovanni Paolo II era «solidarietà», nell'enciclica sociale di Benedetto XVI la parola chiave è quella di «fraternità», intesa come paradigma culturale e antropologico che guida ad una rivoluzione sociale, purificata da verità ed amore e finalizzata allo sviluppo del bene comune. Una rivoluzione della carità nella verità, che, a detta del Papa, ha in Gesù Cristo la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera.

 
Fonte: Ragionpolitica, 07 luglio 2009