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Abbiamo ascoltato una delle più vivaci parabole raccontate da Gesù, costruita sul richiamo degli usi nuziali palestinesi. Una festa di matrimonio cominciava di solito alla sera, con l'arrivo del corteo dello sposo, al quale la sposa doveva muovere incontro con le sue damigelle d'onore. Tutto poi si concludeva nell'allegria di un banchetto. La narrazione di Gesù presenta il caso di uno sposalizio dove le cose non sono andate lisce, dove la cerimonia prevista e preordinata è stata turbata dal ritardo insolito dello sposo, il quale, invece che al tramonto, arriva addirittura a mezzanotte. La lunga attesa provoca tutta una serie di scompigli. Prima di tutto, come è facilmente immaginabile, tutti si lasciano sorprendere dal sonno. A questo però si rimedia subito: basta un grido nella notte e tutti sono in piedi, eccitati e attenti. C'è però un altro guaio: le lampade durante la veglia imprevista hanno consumato tutto l'olio. Anche a questo inconveniente si può porre un facile riparo ricorrendo all'olio di scorta. Ma a questo punto della vicenda si profila una diversità tra le damigelle d'onore; una diversità che introduce l'elemento più significante della parabola: cinque di quelle ragazze avevano avuto il buon senso di portare con sé la riserva di combustibile, a differenza delle altre cinque, volenterose ma "stolte", desiderose di partecipare ma prive di senso pratico. Hanno creduto che, a far bene la loro parte, bastasse uno spensierato entusiasmo; non hanno fatto nessuna previsione, e si sono trovate al momento buono nella notte con la lampada spenta. Così, un giorno che doveva essere tutto di letizia, un giorno che tanto avevano vagheggiato, si conclude per loro amaramente, tra le lacrime disperate di una esclusione. Non vi conosco, si sentono dire; e mentre giungono fino a loro dalla sala del banchetto le voci allegre e le risa e il piacevole tintinnare dei piatti e dei bicchieri, trovano una porta chiusa e restano fuori. La scenetta è graziosa, e noi possiamo ben pensare che quelle ragazze si saranno ben presto consolate della loro delusione. Ma l'insegnamento che ci viene proposto sotto i veli della narrazione è tra i più seri e decisivi di tutto il Vangelo.
IL TRAGUARDO DELLA NOSTRA VITA E' UNA FESTA SENZA FINE
In questa parabola tutta la nostra vita è splendidamente rappresentata. Secondo il pensiero di Gesù, la nostra vita è un invito a nozze, è la chiamata a partecipare a una grande gioia. C'è nella casa di Dio una festa che non finisce, alla quale siamo tutti convocati. Nel giorno dei Santi abbiamo intravisto la "moltitudine immensa" che già è entrata nella letizia eterna; nel giorno dei morti abbiamo ravvivato la speranza che i nostri cari defunti siano già arrivati a questo traguardo di luce, che è anche il nostro traguardo. Oggi ci vien detto che la nostra esistenza è un cammino verso questa festa senza fine. Noi non ci pensiamo mai e non ne parliamo mai, occupati come siamo nelle tante futilità che ci vengono quotidianamente offerte e quasi imposte da tutti i mezzi di comunicazione; ma questa è al tempo stesso la verità più necessaria e più bella, la sola che dia un senso al nostro vivere e alla nostra pena di quaggiù. Senza questa prospettiva, la vita dell'uomo sulla terra apparirebbe solo come un assurdo correre incontro a una totale catastrofe; perché non c'è scampo: anche la vita più fortunata e più felice termina sempre con una sciagura.
LA LAMPADA ACCESA DELLA FEDE OPEROSA SULLA STRADA DELLA VITA
Questo racconto ancora ci dice che sulla strada della vita bisogna provvedersi di una lampada, cioè della luce della fede, e il Signore ce l'ha data. Ma questa luce deve essere alimentata dall'olio dell'impegno operoso. Le vergini stolte, che restano fuori e dicono: Signore, Signore, aprici!, ricordano un'altra frase importante di Gesù: Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli (Mt 7,21). È una verità che non dobbiamo mai dimenticare, specialmente noi che frequentiamo la Chiesa. Certo, prima di tutto bisogna pregare il Signore, ma poi bisogna che la nostra vita sia realmente conforme alla nostra pratica religiosa. La volontà del Padre è che tentiamo ogni giorno di essere giusti; che ogni giorno ci impegniamo a rispettare i comandamenti di Dio; che, quando per la nostra debolezza manchiamo contro la legge del Signore, abbiamo almeno l'umiltà del pentimento e il proposito di cambiare; che ci sforziamo di comportarci tra noi e verso gli altri secondo il grande precetto dell'amore.
SAPER VEGLIARE PER COGLIERE PRONTAMENTE OGNI OCCASIONE DI BENE
In terzo luogo, la narrazione evangelica è un ammonimento alla vigilanza, virtù che nel cristiano non deve mai mancare. Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora, è la conclusione del Signore. Vegliare vuol dire non dimenticare mai che di ogni atto, di ogni pensiero, di ogni parola dovremo rispondere di fronte a colui che ci dovrà giudicare. Vegliare vuol dire non dimenticare che la vita è bella se è vissuta per qualcuno che non delude, per qualcuno che sembra talvolta ritardare agli appuntamenti e nascondersi alle nostre invocazioni, ma alla fine arriva e illumina tutto. Vegliare vuol dire stare attenti a cogliere ogni interiore ispirazione di bene, per tradurla subito in concreta operosità.
IL TEMPO PER OPERARE NON CI E' DATO ALL'INFINITO
La porta chiusa. C'è un'ultima importante verità, che in questa pagina di Vangelo è richiamata dall'immagine della porta chiusa, che divide per sempre chi è riuscito a entrare nella festa e chi è rimasto fuori. Questa porta chiusa significa che nel gioco tra l'uomo e Dio entra a un certo momento l'irrevocabile. Finché c'è vita, c'è sempre tempo per raddrizzare ogni interiore situazione e per ritornare in amicizia col Signore; ma il tempo non ci è dato all'infinito: poi arriva il momento in cui l'avventura si conclude, arriva il momento dopo il quale non c'è più rimedio. Perciò questa vita va presa sul serio: perché non ne abbiamo un'altra in cui decidere il nostro destino. Quando lo Sposo viene, la vicenda finisce: bisogna impegnarsi prima. Il Signore, che ci ha dato la luce della sua parola, ci dia la grazia e la forza di tradurla in pratica.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
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