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Aveva ragione da vendere, il compianto cardinal Giacomo Biffi, quando, parlando della immigrazione, affermava che «un ecumenismo politico astratto e imprevidente», incapace di comprendere i criteri con cui accogliere gli immigrati, avrebbe preparato per il nostro popolo «un futuro di lacrime e di sangue». E quel futuro di lacrime e sangue è arrivato. Ma, occorre ribadirlo, il problema non sono innanzitutto loro, gli islamici, bensì noi, i cristiani (o, meglio, i post-cristiani), che stiamo segando con masochistico livore il ramo su cui la nostra civiltà sta appollaiata.
Il fatto: in una scuola media della provincia di Treviso, due studenti sono stati esonerati dallo studio della Divina Commedia di Dante Alighieri su richiesta dei genitori musulmani, che hanno ritenuto l'opera incompatibile con la propria religione, sostenendo che contenga offese all'islam. Ma c'è di più: l'insegnante di lettere della scuola di Treviso, infatti, ha avuto la "geniale" idea di chiedere agli alunni che non seguono l'ora di religione (chissà perché solo a loro...) di sondare il parere dei genitori sull'insegnamento di opere a carattere religioso e, guarda un po', di fronte al prevedibilissimo parere negativo, ha sostituito d'emblée lo studio di Dante con quello di Boccaccio.
Indubbiamente, la Divina Commedia non è tenera con il fondatore della religione islamica, ma ha le sue buone ragioni. Dante lo colloca all'Inferno, al canto 28esimo, tra i dannati, colpevole di non essere cristiano e per avere favorito la separazione della comunità degli uomini. Del resto, la storia non mente, e sin dagli inizi (e ancora oggi) l'impeto per la sottomissione degli "infedeli" ha prodotto carneficine, "guerre sante" di conquista, distruzione di luoghi sacri e altre multiformi forme di oppressione nei confronti di chi aderisce ad altri credo religiosi. Come pena per tali azioni, Dante descrive Maometto sottoposto ad orrende mutilazioni del corpo da parte di un diavolo, con il corpo squartato e le interiora che fuoriescono.
DIVINA COMMEDIA INDIGESTA
Certamente non deve essere piacevole, per chi professa la fede islamica, leggere simili cose, tuttavia - al di là delle ragioni che da parte cristiana si potrebbero addurre - occorre tenere presente che chi si trasferisce in un paese straniero, sede di una tradizione e religione diverse dalla propria, è tenuto a integrarsi, accettando e rispettando anche ciò che non è conforme alle proprie convinzioni. Diversamente, meglio scegliere un paese con una cultura affine alla propria.
Assistiamo, invece, alla dinamica opposta, particolarmente nei paesi europei. Già da qualche anno, per esempio, in alcuni paesi come Olanda e Belgio (sedi di importanti comunità islamiche), è stata adottata una versione della Divina Commedia curata dalla traduttrice fiamminga Lies Lavrijsen, ritradotta in modo tale da evitare di urtare i musulmani. «Questa versione si rivolge a lettori più giovani e il cambiamento è pensato per non ferire inutilmente gli islamici», spiegò a suo tempo la traduttrice, affermando (vergognosamente!) che nella Divina Commedia «Maometto subisce un destino crudo e umiliante solo perché è il precursore dell'islam»; per questo motivo, pur riportando tutto l'episodio descritto da Dante, viene omesso il nome di Maometto, ritenuto «non necessario per la comprensione del testo letterario».
L'episodio della scuola di Treviso, che si inserisce sulla scia di quanto accaduto in occasione della fine del Ramadan e, in questi ultimi giorni, della vicenda della preghiera islamica all'interno della Università di Torino, altro non è che una ulteriore prova del processo di integrazione a rovescio che si sta attuando.
LA "PROFEZIA" INASCOLTATA DEL CARDINALE GIACOMO BIFFI
Forse vale la pena, allora, nella speranza che possano essere di aiuto a invertire la rotta o, quanto meno, a favorire una sana riflessione, rispolverare le raccomandazioni che il Cardinale Biffi fece allo Stato Italiano e anche alle comunità cristiane.
Tre convincimenti nei confronti dello Stato italiano:
«Di fronte al fenomeno dell´immigrazione, lo Stato non può sottrarsi al dovere di regolamentarlo positivamente con progetti realistici (circa il lavoro, l´abitazione, l´inserimento sociale), che mirino al vero bene sia dei nuovi arrivati sia delle nostre popolazioni».
«Poiché non è pensabile che si possano accogliere tutti, è ovvio che si imponga una selezione. La responsabilità di scegliere non può essere che dello Stato italiano, non di altri; e tanto meno si può consentire che la selezione sia di fatto lasciata al caso o, peggio, alla prepotenza».
«I criteri di scelta non dovranno essere unicamente economici e previdenziali: criterio determinante dovrà essere quello della più facile integrabilità nel nostro tessuto nazionale o quanto meno di una prevedibile coesistenza non conflittuale. Un "ecumenismo politico" (per così dire), astratto e imprevidente, che disattendesse questa elementare regola di buon senso amministrativo, potrebbe preparare anche per il nostro popolo un futuro di lacrime e di sangue».
Tre persuasioni semplici ed essenziali per le comunità cristiane:
«Non è per sé compito della Chiesa e delle singole comunità risolvere i problemi sociali che la storia di volta in volta ci presenta. Noi non dobbiamo perciò nutrire nessun complesso di colpa a causa delle emergenze anche imperiose che non ci riesce di affrontare efficacemente».
«Dovere statutario del popolo di Dio e compito di ogni battezzato è di far conoscere Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, e il suo necessario messaggio di salvezza. E´ un preciso ordine del Signore e non ammette deroga alcuna. Egli non ci ha detto: "Predicate il Vangelo a ogni creatura, tranne i musulmani, gli ebrei e il Dalai Lama».
«Allo stesso modo, è nostro dovere l´osservanza del comando dell´amore. Di fronte a un uomo in difficoltà - quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza - i discepoli di Gesù hanno il dovere di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità».
Sono raccomandazioni che risalgono a più di venti anni fa, ma conservano tutta la loro forza e ragionevolezza. Se i nostri politici e il nostro popolo avessero avuto la volontà e la forza di seguirle, forse oggi staremmo tutti meglio. Anche gli immigrati musulmani, che magari sarebbero molto meno numerosi, ma sicuramente più integrati e con maggiori possibilità di una vita dignitosa.
Nota di BastaBugie: Anna Bono nell'articolo seguente dal titolo "A Torino il jihad in Università ha una lunga tradizione" spiega cosa è successo nella sede universitaria di Palazzo Nuovo che però era già stato teatro di azioni estremiste, come nel 2003 quando si inneggiò ai terroristi di Nassiriya.
Ecco l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 27 maggio 2024:
Il 23 maggio l'imam Brahim Baya ha pregato a Palazzo Nuovo, una delle sedi universitarie di Torino occupate dagli studenti che vogliono il boicottaggio degli atenei israeliani. Sembra che l'idea sia partita dagli studenti musulmani che aderiscono alla protesta contro Israele. Era previsto che il giorno successivo, un venerdì, pregasse anche al Politecnico, presso la sede centrale, ma su richiesta del Rettore del Politecnico, Stefano Paolo Corgnati, la Questura di Torino ha diffidato l'imam e l'evento è stato annullato.
«È scandaloso che la Questura abbia vietato una preghiera. Il problema è l'islamofobia di questo paese». Questa è stata la reazione di Baya e mai accusa è stata più infondata perché è quel che lui ha detto a Palazzo Nuovo la ragione della diffida. Parlando sia in arabo che in italiano l'imam ha lanciato un invito al jihad contro Israele definendo quella dei palestinesi una resistenza necessaria contro l'ingiustizia e il male. Il popolo palestinese - ha detto - ha resistito «di fronte a questa furia omicida, questa furia genocida, uscita della peggiori barbarie della storia che non tiene in considerazione nessuna umanità, nessun diritto umano».
Penoso, per non dire altro, è stato il tentativo di difesa dell'imam che, secondo quanto riportano i mass media, sostiene di non aver attaccato Israele e dice che il significato della parola "jihad" effettivamente da lui usata è stato frainteso, questo perché «degli pseudo musulmani l'hanno utilizzata per seminare violenza e morte, bestemmiando Dio». Non si direbbero degli «pseudo musulmani» i gruppi jihadisti - Hamas compreso - che in tutto il mondo obbediscono all'ordine di conquistare all'islam l'umanità intera, se necessario con la forza come aveva incominciato a fare Maometto dopo essersi trasferito dalla Mecca a Medina.
Ma non è questo il punto. Brahim Baya, che pur di attaccare le autorità accademiche nega di essere un imam, dovrà semmai rendere conto di queste affermazioni ai suoi correligionari. Il fatto rilevante è che le sue parole sarebbero gravi, allarmanti, minacciose anche se le avesse pronunciate in una moschea e non in una laica, indipendente sede accademica.
E allora la domanda che sorge è chissà quante volte le ha in effetti già proferite in una moschea; e in quante moschee italiane si parla in questi termini contro Israele, l'Occidente, gli infedeli. Sono trascorsi più di 20 anni da quando Magdi Cristiano Allam per la prima volta ha rivelato, dimostrandolo, che ci sono moschee in Italia nelle quali si istiga all'odio contro l'Occidente e si esalta il jihad. Aveva ascoltato e tradotto i sermoni pronunciati il venerdì nella Grande Moschea di Roma e in altri centri islamici.
Ma di grave c'è molto altro. Ancora una volta un gruppo del tutto esiguo di studenti occupa delle sedi universitarie, impedisce lo svolgimento delle attività didattiche, usa edifici che appartengono alla collettività, destinati a funzioni di pubblico interesse, a propria discrezione praticamente senza trovare ostacoli, senza che le autorità accademiche chiedano l'intervento delle forze di sicurezza, e, almeno stando a quanto è successo finora, senza che poi, a occupazione terminata, i responsabili dei danni materiali causati alle strutture e di quelli inflitti ai docenti e soprattutto agli altri studenti - lezioni sospese, sessioni di esame e discussioni di tesi di laurea rimandate - siano chiamati a risponderne con sanzioni e provvedimenti disciplinari.
Questa volta si sono anche permessi di invitare un musulmano a fare l'apologia del jihad. Hanno scelto Palazzo Nuovo, la sede storica dei corsi di laurea umanistici e delle contestazioni fin dal '68, quando il movimento studentesco trasferì la sua sede nell'edificio da poco terminato. Da allora Palazzo Nuovo ha una lunga storia di "profanazioni", di utilizzo improprio dei suoi spazi e delle sue risorse.
Il 2005 è una delle volte in cui oggetto delle proteste è stato Israele. Solo perché una docente aveva osato invitare il vice ambasciatore israeliano a tenere una lezione, per protesta gli studenti del Collettivo universitario autonomo divisero a metà l'immenso atrio di Palazzo Nuovo con una alta e solida barriera, lasciando soltanto una piccola apertura. Spiegavano con assemblee e volantini che serviva a far capire "l'infamia" del muro di Israele, quello costruito per meglio controllare gli ingressi dalla Cisgiordania e che servì a ridurre drasticamente gli attentati suicidi. Gli autonomi inoltre raccolsero firme per chiedere che l'università non invitasse rappresentanti istituzionali di Israele a partecipare a iniziative o lezioni. Neanche gli evidenti, serissimi problemi di sicurezza di una simile barriera eretta in un edificio frequentato all'epoca da oltre duemila docenti e 70mila studenti valse a far sì che il rettore prendesse provvedimenti.
Ma l'episodio più deplorevole risale al 2003. L'Italia partecipava all'operazione militare "Antica Babilonia", in Iraq. Il 12 novembre un camion cisterna pieno di esplosivo scoppiò davanti all'ingresso di Maestrale, una delle due basi italiane a Nassiriya. L'esplosione fece una strage. Morirono 12 carabinieri, cinque soldati dell'esercito, due civili italiani e inoltre nove irakeni. All'epoca i militanti di un centro sociale da tempo si erano impadroniti di un'aula di Palazzo Nuovo e ne avevano fatto la loro sede sotto gli occhi di tutti, nell'indifferenza del corpo accademico e, salvo pochi, delle migliaia di studenti che ogni giorno frequentavano la sede. I militanti di quel centro sociale prepararono un volantino per festeggiare il massacro, nei giorni successivi distribuito all'ingresso del palazzo e fatto circolare in città. "Dieci, cento, mille Nassiriya" c'era scritto. Corse fondata voce che avessero fatto le fotocopie usando la fotocopiatrice della facoltà di Lettere.
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