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Il lungo discorso di Gesù a Cafarnao, su cui andiamo in queste domeniche riflettendo, ha la caratteristica di diventare a mano a mano più intenso.
Più che di un discorso, anzi, si tratta di un dibattito. È l’urto di due mentalità opposte: i Giudei, che vogliono piegare Gesù a diventare operatore continuo di prodigi che, come quello della moltiplicazione dei pani, appaghino i loro immediati interessi; e Gesù che vuol elevare la loro attenzione e il loro desiderio e cerca di farli entrare nella logica più alta di Dio. Procuratevi – aveva detto loro – non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna.
Ma questo è da notare: quanto più cresce l’incomprensione degli ascoltatori e la chiusura del loro cuore alle prospettive divine, tanto più il discorso di Gesù si fa incalzante, esigente, fino a diventare, si direbbe, addirittura provocatorio.
Ai Giudei, che non riescono a cogliere il valore e il significato della sua origine dal cielo, assillati come sono dai problemi materiali della loro vita terrestre, Gesù non cerca di facilitare le cose, non attenua il suo annuncio, non cala di prezzo, ma propone un argomento ancora più sovrastante e più arduo; e parla per la prima volta del mistero eucaristico: La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. I giudei si misero a discutere.
E allo sconcerto dei Giudei (che appaiono qui come pulcini ghermiti dal falco e portati ad altezze irrespirabili), al loro scandalo: Come può costui darci la sua carne da mangiare?, Gesù non addolcisce le sue dichiarazioni, ma le precisa e le rende più forti: Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non ber rete il suo sangue, non avrete in voi la vita.
Certamente è impossibile arrivare alla fede nell’Eucaristia a chi non crede all’origine divina di Gesù di Nazaret. Tutta la ragione dell’incredulità dei Giudei sta in quel “costui”: chi pensa a Gesù di Nazaret come a un uomo qualsiasi, uno che si può chiamare “costui”, non può accettare niente del fatto cristiano, della vita cristiana, della speranza cristiana. Gesù lo sa, ma sa anche che non si può mutilare il messaggio per farlo più facilmente accogliere, e propone subito il disegno divino nella sua totalità.
Questo è lo stile di Cristo. Contrariamente a quello che talvolta noi possiamo immaginare, Gesù non è affatto una persona accondiscendente e incline al compromesso, quando si tratta della verità.
Se si imbatte in uomini che sembrano disinteressati all’annuncio (che è l’unica strada di salvezza), non per questo cambia l’annuncio o lo riduce. Non si affanna a inseguire le ottusità e le svogliatezze del mondo o a rincorrere i capricci dei suoi contemporanei. Egli è il portatore del dono del Padre e la sua preoccupazione è quella di offrirlo integralmente, non di imporlo a ogni costo alla cattiva volontà di chi lo rifiuta. Egli sa già in partenza che molti rifiuteranno il dono; questo lo fa soffrire, ma non lo induce a formulare una proposta meno impegnativa e più conforme alle attese degli uomini. Solo dalle attese di Dio egli fa che la sua vita e la sua missione siano gui date. Volete andarvene anche voi?
E nessuno pensi che tutto questo sia mancanza di amore. Al contrario, è proprio l’amore che spinge Gesù a non cedere di fronte alle nostre esigenze, alle nostre proposte di adattare la verità di Dio ai gusti umani, ai nostri tentativi di immiserire la grandezza e la bellezza del disegno del Padre.
A Cafarnao, per esempio, resistendo con fermezza ai suoi contemporanei che gli chiedono un discorso più facile da accettare da parte degli uomini, Gesù salva per noi e per la nostra vita il segno più alto, più efficace, più commovente del suo amore che rinnova, nutre, rianima, cioè il sacramento dell’Eucaristia.
E su questo dono – incomprensibile e vitale, misterioso e inebriante, come tutti i regali di Dio – noi siamo chiamati oggi a riflettere e a esaminarci.
CON QUALI DISPOSIZIONI D’ANIMO CI ACCOSTIAMO AL BANCHETTO EUCARISTICO?
L’Eucaristia non è solo il segno dell’amore del Padre, è anche il segno della autenticità e della intensità della nostra risposta all’appello divino.
Un cristiano che lo ritiene un gesto puramente for male, e perde con facilità la messa, e non partecipa mai alla comunione, o vi partecipa senza reale con versione interiore, non è un cristiano che abbia capito molto dell’insegnamento di Cristo.
Un cristiano che vi partecipa svogliato, distratto, magari chiacchierando, magari annoiandosi come capita quando si assiste a uno spettacolo mal riuscito, è un cristiano che ha bisogno di tanta luce e di tanta misericordia.
Come a Cafarnao, anche oggi Gesù non costringe nessuno ad andare a lui: la sua è un’offerta, che lascia intatta la nostra libertà di decisione.
Ma nessuno può andare a lui e nutrirsi delle sue parole, se insieme non si nutre – con consapevolezza, con commozione, con fede – della sua carne, data per la vita del mondo: Chi mangia questo pane, vivrà in eterno.
Sarebbe però una grave incomprensione dello spirito del Signore, se da questa fermezza di Cristo al servi zio della verità e dell’amore ricavassimo un sentimento di apprensione, di paura e quasi di angoscia, nei confronti del banchetto eucaristico.
Gesù conosce quel che c’è nell’uomo. Sa che siamo deboli, peccatori e molte volte privi di saggezza. Ma questo cibo è dato proprio per noi, perché possiamo cambiare e trovare la strada della vita. La Sapienza ci invita con le sorprendenti parole che abbiamo ascoltato nella prima lettura: Chi è inesperto accorra qui! A chi è privo di senno essa dice: Venite, mangiate il mio pane.
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
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