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Il decreto Sicurezza approvato dal governo Meloni lo scorso 4 aprile 2025 - e firmato e reso esecutivo dal presidente della Repubblica Mattarella l'11 aprile - ha introdotto una significativa restrizione riguardante la cannabis light. In particolare, il provvedimento vieta espressamente l'importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l'invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze di canapa coltivata, comunemente note come cannabis light. Una misura che mira a colmare un vuoto normativo che aveva permesso la proliferazione di punti vendita di cannabis light, spesso pubblicizzati come "legali" nonostante l'ambiguità della normativa precedente e che rappresenta un passo importante - seppur ci sia ancora tanto da fare - nella direzione della protezione della salute e della sicurezza degli italiani, in particolare dei giovani.
PROTESTE STRUMENTALI CONTRO UNA NORMA DI CIVILTÀ
Il contrasto ad ogni tipo di droga e, in questo caso, alla cannabis light incontra - lo sappiamo - le barricate di sinistra, progressisti e radicali che vorrebbero invece andare nella direzione opposta, quella di una legalizzazione (chi parziale, chi addirittura totale) per la diffusione e l'uso di certe sostanze, in barba alle devastanti conseguenze sulla salute che hanno. Proteste, dichiarazioni al vetriolo, levata di scudi e addirittura chi si è messo in pubblica piazza, con aria di sfida, a fumare apertamente degli spinelli proprio per protestare contro questa norma dell'attuale Governo. Proteste e critiche in realtà strumentali, che evidenziano come anche la legalizzazione della cannabis light - come in generale delle droghe cosiddette "leggere" - sia diventata una bandiera ideologica per alcuni esponenti politici, che utilizzano proteste, contestazioni e gesti provocatori. Tali azioni, però, sembrano avere poco a che vedere con la normale e legittima contestazione politica e con la dovuta libertà di opposizione delle minoranze e sembra piuttosto banalizzare proprio il dibattito pubblico, rischiando di promuovere modelli culturali che minimizzano i rischi associati all'uso di sostanze psicoattive, anche se - come in questo caso - a basso contenuto di Thc. Al di là delle fazioni politiche, vi spieghiamo perché la legalizzazione della cannabis light - e in generale di quelle che vengono, tra l'altro imprudentemente, chiamate "droghe leggere" - sia pericolosa e assolutamente da evitare.
PERCHÉ LEGALIZZARE LA CANNABIS SAREBBE UN GRAVE ERRORE
Il primo motivo è che legalizzare queste sostanze significherebbe, dal punto di vista sociale, normalizza l'uso della droga e abbassa le difese culturali. Anche se contiene una bassa percentuale di THC, infatti, la cannabis light abitua culturalmente all'uso della droga e veicola un messaggio pericoloso: che fumare cannabis sia "normale" o "innocuo". Ma la droga non è mai innocua. È una porta d'ingresso verso forme più pesanti e più dannose.
Indebolisce la vigilanza educativa. La diffusione legale e tollerata della cannabis light mina il ruolo educativo di genitori e insegnanti. Se lo Stato permette o promuove l'uso della cannabis, anche "light", i giovani penseranno che sia giusto farlo. E questo riduce la credibilità degli adulti che cercano di prevenire le dipendenze.
Espone i più fragili a gravi rischi per la salute. Anche a dosaggi bassi, la cannabis ha effetti sul sistema nervoso, sul controllo dell'attenzione, sulla memoria e sull'umore. Gli adolescenti e i soggetti vulnerabili rischiano danni cerebrali irreversibili, con gravi conseguenze sul rendimento scolastico, lavorativo e relazionale.
Apre la strada a una legalizzazione totale. La cannabis "light" è spesso usata come cavallo di Troia per ottenere l'approvazione sociale della legalizzazione della cannabis tout court. Dove è stata introdotta la cannabis light, le lobby hanno poi spinto per legalizzare anche le droghe pesanti. È un primo passo verso un baratro.
È un business, mascherato da libertà, sulla pelle dei giovani. Dietro la cannabis light c'è un mercato che lucra su una sostanza che può generare dipendenza e danni psicofisici. È inaccettabile che lo Stato o le aziende promuovano un commercio che mette a rischio la salute pubblica, specialmente quella delle nuove generazioni.
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