« Torna agli articoli di I


LA PRESIDENTE DEL BRASILE SCEGLIE UN'ABORTISTA COME MINISTRO DELLA POLITICA PER LE DONNE
Prima delle elezioni la Rousseff si era impegnata a non introdurre l'aborto libero, ma si temeva che fosse solo una balla per ingannare i cattolici... ora ne abbiamo la certezza
di Gherardo Milanesi
 

Cambio della guardia polemico al ministero della Politica per le Donne, l'equivalente del dicastero per le Pari Opportunità italiano. Esce la moderata Iriny Lopes ed entra l'irriducibile femminista Eleonora Menicucci, 67 anni, ex militante di sinistra durante la dittatura militare, compagna di cella della "presidenta" Rousseff e sociologa con post dottorato all'Università degli Studi di Milano.
Dilma – come la chiamano i brasiliani – ha detto che l'insediamento della Menicucci, conosciuta per le sua determinazione a favore dell'aborto, segnerà una svolta importante. «Eleonora diventerà parte del governo più femminile della storia del Brasile –ha enfatizzato la leader –, non solo perché alla presidenza per la prima volta è stata eletta una donna, ma perché ben dieci ministri del governo sono donne». Dieci sono anche i ministri che, in 11 mesi, Dilma ha fatto fuori o che hanno lasciato il governo in grande maggioranza per motivi di corruzione. Il cambio della guardia al ministero della Politica per le Donne, sembra, però, causato solo dalla decisione strategica di rafforzare la posizione del governo su alcune politiche che favoriscono le donne, non ultima quella legata all'aborto. La Menicucci, subito interrogata dai rappresentanti dei cattolici in Parlamento, ha evitato di rivelare quali saranno i suoi primi passi sulla delicata questione. E ha chiarito diplomaticamente: «La mia posizione personale a favore dell'aborto è nota. Ma assumendo questo incarico mi adeguerò alla politica e alle decisioni del governo». Durante la campagna elettorale, Dilma Rousseff aveva recepito le preoccupazioni della Chiesa brasiliana.
Ex guerrigliera di estrema sinistra, ex capo di gabinetto del presidente Lula, Dilma Rousseff aveva messo nero su bianco la sua promessa di non presentare nessuna legge che legalizzasse l'aborto o il matrimonio tra omosessuali. «Se sarò eletta presidente della Repubblica – si era addirittura impegnata per iscritto davanti ai cristiani di tutto il Brasile –, non prenderò iniziative per modificare l'attuale legislazione che vieta l'aborto e protegge la famiglia». Una smentita delle posizioni espresse dalla leader nel passato. Solo due anni prima di essere eletta, Dilma dichiarava ai giornali che «la depenalizzazione dell'interruzione volontaria di gravidanza è una necessità», per combattere la piaga degli aborti clandestini. È un dato di fatto, tuttavia, che una parte considerevole della coalizione al governo ritenga l'articolo 124 del codice penale antiquato e lo voglia emendare per flessibilizzare la pratica dell'aborto nel Paese. Ma è altrettanto vero che l'interruzione di gravidanza sia malvista da una grande maggioranza di brasiliani, soprattutto donne.
Eleonora Menicucci, nella sua prima intervista da neo ministro, non ha lasciato spazio ad interpretazioni: «L'aborto per me è una questione di sanità pubblica e non ideologica. È un problema come la droga, l'Hiv o il dengue (infezione grave tropicale provocata dalla puntura della zanzare, ndr ). Gli aborti clandestini rappresentano la quarta causa di morte nel nostro Paese».
Oggi sono al vaglio delle Camere diverse proposte di legge ed emendamenti legati al tema dell'aborto. Ma la più importante, quella che prevede la depenalizzazione della pratica, ha subito diverse sconfitte e appare ora congelata.
A questo proposito la Menicucci ha comunque elogiato gli sforzi compiuti finora: «Presentando una proposta di legge per depenalizzare l'interruzione volontaria di gravidanza entro la dodicesima settimana, il governo ha fatto la sua parte. L'approvazione ora dipende però esclusivamente dalla capacità dei parlamentari di capirne l'importanza ». Un richiamo ancora sfumato a riaprire un dibattito che era stato politicamente dimenticato in un cassetto.

 
Fonte: Avvenire, 19/02/2012