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Imbevuti di progresso tecnologico e allo stesso tempo sulla via del regresso cognitivo ed etico. Sono quelli che Maurizio Blondet, giornalista e saggista di lungo corso, ha chiamato "Selvaggi con il telefonino" (Effedieffe, 2006). Un tipo umano inconsapevole del fatto che l'imbarbarimento passa anche dal touch screen e dai pantaloni col cavallo basso.
Cosa sta succedendo?
«L'uomo-massa vive nella civiltà come il selvaggio della foresta amazzonica vive nella Natura. Prende smartphone, internet, auto, medicinali, come se nascessero sugli alberi. Tutto ciò che rende loro facile la vita nella società complessa - non solo le tecnologie più avanzate ma le istituzioni, l'istruzione gratuita, le libertà politiche, lo stato di diritto - lo vivono come se fossero "naturalmente" a disposizione, gratis come l'aria. Non sa che sono invece il prodotto dei più grande apparato artificiale mai esistito, la civiltà occidentale, frutto di sforzi, coraggio, geniali intelligenze che i nostri antenati hanno profuso per tremila anni. Usano computer e il web senza nemmeno conoscere come funzionano, anzi senza averne alcuna curiosità. Ancor più per le istituzioni, che danno per scontate, sono per loro diritti acquisiti e non si sentono obbligati a mantenerle, migliorarle e restaurarle. Non sanno che la civiltà ha bisogno di "manutenzione", e da selvaggi, la "consumano" soltanto, erodendola, e alla fine si trovano davvero nella giungla che hanno creato».
Internet è però anche una formidabile risorsa di conoscenza e di "auto-formazione", no?
«È la biblioteca d'Alessandria del nostro secolo; ma i neo-selvaggi non sanno che farsene della biblioteca d'Alessandria: credono di nascere "già imparati" (come si dice a Napoli), e di aver studiato "anche troppo". Basta vedere cosa cercano sul web: pornografia, calcio, "luoghi" digitali dove possano soddisfare le loro rabbie, far rigurgitare la loro "pancia", coltivare le loro ossessioni e idee fisse minime (basta vedere i militanti frequentatori del blog di Beppe Grillo: ecologisti, credenti nelle scie chimiche e in altri complottismi svaporati, ugualitari fanatici, aspiranti psico-poliziotti che vogliono la totale "uguaglianza" e "purezza" politica, come certi settari medievali). Nell'insieme, questo tipo umano - che è maggioranza oggi - frequenta il web come sostituto dei rapporti umani che non riesce ad avere (vedi Facebook), come il luogo dove può sviluppare i suoi mono-ideismi senza trovare contraddittorio: in pratica, come consolazione autoerotica».
Nel costume c'è una forte attrazione per l'arcaico, per il barbarico: creste da Mohicani, tatuaggi che una volta contraddistinguevano galeotti e criminali, pîercing che prima si trovavano solo fra gli indigeni di qualche arcipelago polinesiano... si tratta solo di mode effimere o c'è altro dietro?
«Potrei rispondere: niente di strano che i neo-selvaggi, quelli con lo smartphone, si coprano di tatuaggi, si buchino orecchie, naso e lingua e persino le parti intime: è esattamente il tipo di abbigliamento a pelle e di auto-mutilazioni dei selvaggi di ieri, dei congolesi della giungla. Le ragazze sono già pronte per il gonnellino di paglia, già mostrano le mammelle come le ottentotte e zulù (che non lo fanno più). Ma a voler essere più profondi (non so se ne vale la pena) ricordo che è stato Nietzsche il primo ad annunciare all'Europa protestante, civile e repressa, che lui andava "in Africa", nella barbarie. E perché? Perché Wagner, che lui tanto ammirava per la sua libertà sessuale, lo aveva "tradito" col Parsifal: nel Parsifal, scrisse in modo rivelatore, "la predicazione della castità resta una istigazione alla negazione della natura"; quello del vecchio Wagner, un tempo suo eroe e modello trasgressivo, è un vile "prostrarsi ai piedi della Croce". Ora basta, urlò Nietszche: io emigro verso "la serenità africana", dove (secondo lui) vigeva "l'amore (sessuale) come fatum, come fatalità, cinico, innocente, crudele", dove la "felicità è breve, improvvisa, senza remissione". Nietszche, "solitario di Sils Maria" trovò la sua Africa nella demenza. Molti altri intellettuali poi hanno seguito la sua direttiva, a modo loro. Thomas Mann, in Morte a Venezia, "scrisse una meditazione intrinsecamente moderna che ruota attorno a un quesito: se la cultura occidentale valga la sublimazione sessuale" (Michael Jones, il Ritorno di Dioniso, Effedieffe). E' un quesito tipicamente protestante, dove la grazia manca, e il sesso era repressione, senza grazia, insostenibile. Ma l'Europa e gli Usa hanno risposto alla domanda di Mann: no, la civiltà non vale la repressione sessuale, ergo rinunciamo alla civiltà. Il selvaggismo dei giovani tatuati è in fondo la banalizzazione del niccianesimo, l'ultimo livello più basso dove l'abbandono della civiltà è diventato "normalità". In questo basso livello, l'adozione del barbarico comporta una precisa conseguenza: la brutalità. Il culto e la pratica della brutalità. Fino a quello che i media, in piena malafede, chiamano "femminicidio" frequente».
Per quanto riguarda le brutture veicolate da tanta cultura pop(olare) e non solo: quanto è l'estetica a essere un riflesso dell'etica e quanto è invece l'estetica che influenza l'etica?
«Pensiamo cos'era la musica "popolare" ancora trent'anni orsono: Edith Piaf, la canzone napoletana, Mina, il "melodico" mantenevano un legame con l'identità nazionale, ne parlavano la lingua, raccontavano storie... Oggi invece: metal, rave, rap. Ritmi brutali che hanno superato di molto (verso il basso) i tam-tam "africani", ripetitivi, linguaggio inarticolato con rime stupide; il rap: una produzione che non richiede alcun ingegno né impegno, che chiunque può "comporre". E' come se di colpo, una generazione avesse "cambiato lingua", abbandonato la propria. E quando un essere umano non sa usare il linguaggio per dare espressione (ordinata, se non artistica) ai propri sentimenti, inevitabilmente ricorre al "linguaggio" della barbarie: la violenza fisica, lo stupro, il passare alle vie di fatto. Avviene tra le tifoserie calcistiche, come ai giovinotti abbandonati dalla donna: l'ammazzano, si ammazzano, si bruciano con i figli. E' gente che è stata allevata, convinta, abituata – educata, diciamo – a obbedire ai propri impulsi primari.
Questo è il messaggio che martellano tutte le "agenzie diseducative" veramente potenti: pubblicità, tv, consumismo, pedagogie permissive e ideologie delle "libertà" trasgressive: "soddisfa la tua sete". Era uno slogan della Coca Cola, ma è la metafora generale del messaggio dominante: non porre freno ai tuoi desideri, godi qui ed ora, lo scopo della vita è "innamorarsi", soffrire non ha senso, tutti hanno diritto alla felicità, che consiste nel diritto al piacere senza subire impedimenti; l'idea che la liberazione dalle "inibizioni" sia necessaria per sviluppare una personalità fiorente, equilibrata, moderna e laica. La massa di sprovveduti così "educati" dalla pubblicità scopre poi che è la realtà a porre ostacoli, ostacoli a cui nulla li ha preparati. Lui incontra lei, si "amano"; le ragazze si propongono come oggetti sessuali, i ragazzi ci cascano, e solo dopo scoprono che dietro i caratteri sessuali di lei, desiderabili, da pornodivetta, esiste una personalità: estranea, e spesso insopportabilmente antipatica, perché anche lei è stata "educata", come lui, a prendere senza dare, a inseguire la propria felicità e obbedire ai propri impulsi, "vivere la mia vita". Lui vuole, di lei, gli organi sessuali, ma non sopporta la sua "persona"; lei è caduta nello stesso equivoco, accorgendosi che il bel palestrato con cui si è fatta in discoteca è un banalissimo, noiosissimo, viziatissimo figlio di mammà... Le condizioni per la tragedia ci sono tutte. Se non finisce in femminicidio, finisce almeno in infelicità, odii senza fine, separazioni litigiose, figli sballottati, mariti devastati economicamente, altre convivenze, sempre alla ricerca della "felicità", dell'"amore", che pubblicità, cinema e rotocalchi avevano garantito. E senza mai giungere all'ovvia conclusione dell'esperienza: che il sesso non è facile ma problematico, che non esiste un diritto al piacere, che la felicità è qualcosa di più complesso dello "sballo" o dell'orgasmo; che "realizzare se stesso" si può solo "dimenticando se stesso" in un'opera, in un compito».
San Paolo ci ricorda che la vera battaglia non è contro "creature di carne e di sangue, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra". Abbiamo forse perso l'allenamento a leggere la presenza del demonio dietro a certi fenomeni culturali?
«Soprattutto la Chiesa, intesa come clero, ha perso questa capacità. E' proprio come avesse acquistato un angolo cieco, o una sordità specifica a certe "lunghezze d'onda" del profondo. Da qui le cantonate tragicomiche che la Chiesa ha preso sui "segni dei tempi" , che ha smesso di saper leggere proprio quando ha cominciato a vantarsene, col Concilio: al punto da vedere un "umanesimo integrale", un "cristianesimo anonimo" nella secolarizzazione compiuta, che invece avanzava verso gli esiti di nichilismo, omicidi e anti-umani che abbiamo qui sopra descritto.
Ancora oggi, ridicolmente, molti nella Chiesa invocano pedagogie burocratiche come "una educazione alla legalità", aderendo alla pedagogia illuministica terminale secondo cui i giovani si educano facendo loro leggere e studiare la Costituzione Italiana. Nemmeno ci si rende conto che i giovani non hanno bisogno di "etica"; hanno bisogno di "epica". Ossia di essere incitati ad imprese grandi, belle, al cavalleresco sprezzo del pericolo, alla nobile indipendenza interiore, alla lotta solitaria e orgogliosa contro il "quel che fanno tutti", alla aristocrazia: come diceva Goethe, "vivere a proprio gusto è del plebeo – il nobile aspira a un ordine e a una legge". E chi insegna più, ad essere nobili?».
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