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La sentenza della Corte suprema americana del 26 giugno scorso che obbliga gli Stati dell'Unione a riconoscere il matrimonio omosessuale è tragicamente importante. Essa segna il passaggio alla non negoziabilità dei principi contrari ai principi non negoziabili. Non è un gioco di parole. I principi non negoziabili non solo vengono contestati ma vengono dichiarati non negoziabili i principi contrari. Mentre molti cattolici non digeriscono la non negoziabilità dei principi non negoziabili, gli altri si accaparrano proprio quella – la non negoziabilità – e la fanno propria. Quello che noi buttiamo via per pararci le spalle dall'accusa di integralismo, gli altri fanno propria senza paura di essere accusati di integralismo.
La società ha comunque bisogno di principi non negoziabili, ossia ha bisogno di assolutezza. Sono stati combattuti i "nostri" principi non negoziabili e noi non li abbiamo sufficientemente difesi perché abbiamo pensato che la società non avesse più bisogno di assolutezza per non sembrare integralisti, ma ai nostri sono stati sostituiti i "loro", che godono ugualmente di non negoziabilità. Anche quando quello all'aborto è stato considerato un diritto si era varcata quella linea rossa. Anche quando si è parlato – al Cairo, a Pechino e poi dappertutto – di "diritti sessuali e riproduttivi" si era varcata quella soglia rossa. Erano nuovi principi non negoziabili sulla base dei quali vietare anche l'obiezione di coscienza. Ma con la sentenza della Corte suprema americana del 26 giugno la cosa appare perfino più dirompente. Ma quello americano non era un buon esempio di una laicità aperta? Di una laicità moderata che, a differenza del giacobinismo francese, non vuole diventare a sua volta una nuova religione? Eppure, anche in America lo Stato si pone non in posizione di neutralità ma di assolutezza: il riconoscimento del matrimonio omosessuale non è negoziabile.
La cosa è molto interessante perché evidenzia che i soggetti che lottano per la secolarizzazione non si accontentano, ma si fanno guidare dai principi. E questo proprio quando tra i cattolici c'è una grande tentazione di mettere da parte i principi e firmare col mondo una tregua. Tregua unilaterale, perché invece il mondo continua a farsi guidare dai "suoi" principi. Il mondo continua ad avere chiaro il progetto strategico, che è di principio. Continua ad essere esigente e coerente e a non fermarsi mai fino a che ottiene il massimo.
La natura della sentenza americana ha questo significato. Intenderla solo come frutto occasionale di una serie di contingenze o limitarsi a valutarne il significato solo come vulnus alla democrazia perché i giudici della Corte sono nominati e non eletti, oppure, anche, considerarla solo come una negazione del diritto alla libertà religiosa è riduttivo.
Nei confronti del processo di secolarizzazione i cattolici sono stati troppo ottimisti. Hanno coltivato nei suoi confronti idee che oggi si rivelano non solo superate ma sbagliate: la possibilità di una "fede secolare democratica" comune, la possibile convergenza di tutti verso il riconoscimento di una comune natura umana, l'esistenza di una laicità democratica aperta e rispettosa. Questo ed altro essi si sono sognati, non tenendo conto, come avvertiva Cornelio Fabro, che "secolarizzazione e secolarismo" sono la stessa cosa e non c'è secolarizzazione che non aspiri a diventare secolarismo. Essa non dorme di notte fino a che non lo diviene. Nella secolarizzazione c'era e c'è qualcosa di più, un'anima "religiosa" che pretende tutto e che procede indefettibilmente per principi, anche quando tatticamente sembra accontentarsi di poco. Ormai si tratta della realtà o del suo rovescio. Davanti c'è un avversario che procede per principi mentre spesso ci si illude di poter scendere a patti con esso.
La Corte suprema americana ha scritto, per dirla con le parole che Christopher Dawson ha adoperato per la rivoluzione francese, "una nuova religione civica che avrebbe avuto uno spirito interamente totalitario e che non avrebbe riconosciuto alcun dovere superiore al servizio allo Stato". Su questa base c'è da attendersi, come nel periodo del Terrore, una "guerra civile religiosa" durante la quale saranno puniti, come disse allora Saint-Just, "non solo i traditori ma anche gli indifferenti".
Nota di BastaBugie: in questi giorni 26 milioni di utenti hanno modificato la loro foto su Facebook con i colori della bandiera omosessualista. Solidarietà al mondo omosessuale? Esultanza per la sentenza della Corte Suprema americana? Macché!
L'articolo dal titolo "Facebook: un'indagine di mercato dietro l'iniziativa delle foto gay-friendly" ci svela il trucco.
Ecco l'articolo pubblicato il 30 giugno 2015 da "Emerge il Futuro":
In caso abbiate deciso di staccare la spina al pc per qualche giorno e di disinteressarvi della vita in formato digitale, magari per concedervi una meritata gita fuori porta al riparo dall'afa, avrete sicuramente notato al rientro come le foto del profilo di molti tra i vostri amici avessero assunto un'insolita colorazione arcobaleno.
Una volta esclusa l'ipotesi legata a danni permanenti alla retina causati dalla sovraesposizione a raggi UV, sarà stato sufficiente collegare la bandiera arcobaleno con l'imminente Gay Pride, fare due più due e comprendere che l'iniziativa proposta da Facebook altro non era che un modo per esprimere solidarietà ai manifestanti e alle loro istanze a favore di norme che regolamentino unioni e matrimoni tra persone dello stesso sesso.
E invece no: la campagna andata in scena sul social network più popolato al mondo altro non era che un'indagine di mercato abilmente camuffata sotto la variopinte spoglie arcobaleno di una manifestazione sociale tutta in salsa digitale.
A confessarlo sono stati gli stessi responsabili di Facebook che hanno reso note, nella giornata di oggi, le reali volontà dell'azienda e il fatto che dietro l'iniziativa gay-friendly si celasse una ricerca di mercato finalizzata allo studio della propagazione dei fenomeni virali.
In pratica, Zuckerberg e soci, spinti dalla volontà di analizzare i flussi e le tempistiche che consentono la diffusione di un dato messaggio attraverso la Rete, hanno deciso di cogliere al balzo la palla Gay Pride e di sfruttare l'occasione per racimolare dati utili alla genesi di altre eventuali app, mescolando il tutto con una buona dose di finta solidarietà e altrettanto finto trasporto emotivo.
Gli oltre 26 milioni di utenti che hanno aderito alla campagna si sono posti dunque come inconsapevoli cavie di un test finalizzato a valutare le reazioni emotive individuali e collettive di fronte alla proposizione di un tema di attualità. [...]
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