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Chi ha visto il recentissimo Il primo re, film italiano (di Matteo Rovere, con Alessio Lapice e Alessandro Borghi, recitato in protolatino e sottotitolato) che ripercorre, romanzandole, le vicende di Romolo e Remo, forse sarà rimasto leggermente spiazzato da quel che ha visto. Può darsi che le cose siano realmente andate così e che nel 753 a.C. la vita fosse ancora all'età della pietra. Ma l'eccesso di realismo può rendere una storia del fondatore di Roma indistinguibile dalla crudezza enigmatica di, per esempio, un Valhalla rising, film danese del 2009 con Mads Mikkelsen. Eppure ci corrono quasi duemila anni di differenza.
Insomma, si rischia di non capire come abbia fatto un pecoraio laziale di padre ignoto a diventare il capostipite dell'Impero romano, che fu il culmine della civiltà antica. Roma, infatti, fu scelta da Dio per irradiare la Buona Novella di suo Figlio, come i Padri della Chiesa e lo stesso san Paolo non mancarono di sottolineare. Il cattolicesimo è «romano» non certo per caso, ma per preciso disegno divino. E pure la civiltà occidentale contemporanea non può non dirsi romana, visto che il diritto romano si studia ancora nelle università, il latino è base di molte delle lingue correnti e perfino le categorie politiche ne conservano le nomenclature (provincia, prefetto, questore, comizi, tributi, eccetera).
Una più convincente ricostruzione di quei primordi è fornita da un romanzo appena uscito - Romolo, il primo re - di Franco Forte e Guido Anselmi (Mondadori, pp. 355, €. 19). Anche qui, certo, non si dà credito alla leggenda pagana della vestale Rea Silvia ingravidata dal dio Marte. Chi ama questa versione può andare a ripescare Romolo e Remo, film del 1961 con i culturisti Steve Reeves e Gordon Scott, già noti ai cultori del genere peplum come Ercole e Maciste. Questa pellicola ebbe come regista Sergio Corbucci e come sceneggiatore Sergio Leone, dunque di tutto rispetto, e vedeva nel cast nomi come Virna Lisi, Massimo Girotti e, addirittura, Ornella Vanoni (nei panni di Tarpeia). No, nel romanzo cartaceo di cui ci stiamo occupando i due gemelli Quiriti (nome con cui vennero divinizzati in seguito) sono figli di un uomo mortale e, dopo la scoperta del fattaccio, allevati da una «lupa», cioè una prostituta (così i romani chiamavano le lavoratrici dei «lupanari»). E Remo non trasgredisce calpestando volutamente il solco di fondazione, bensì scala le mura appena costruite e consacrate con apposita cerimonia religiosa: Romolo, di fronte a tutti, deve a malincuore punire il responsabile.
Anche il Ratto delle Sabine è raccontato nel nuovo libro con una notevole aderenza a quella che deve essere stata la realtà storica, con fanciulle contentissime di essere state «rapite» perché magari i loro padri le avevano promesse a vecchi grassoni con cui erano indebitati. La nascita della potenza di Roma, poi, è resa credibile con un racconto pieno di dettagli plausibili. Infatti, la morte di Remo avviene a circa metà libro, e il resto è dedicato alle fatiche di Romolo, come primo re, per consolidare le strutture della nuova città-Stato e le guerre per affermarsi sui vicini. Non manca, se si vuol coglierla, un'apertura per un eventuale seguito. Infatti, c'è un bambino adottato da Romolo che si chiama Ostilio. Chi ha una certa età ricorderà che un tempo, alle elementari, ci facevano imparare a memoria l'elenco dei sette re di Roma: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo. Magari gli autori hanno in mente altri sei sequel...
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